delibera agcom

Capitanio: “Il nostro equo compenso è battaglia di civiltà ed è solo l’inizio”



Indirizzo copiato

La delibera Agcom sull’equo compenso – relativa al contenzioso tra Meta e Gedi sull’utilizzo da parte di Facebook dei contenuti giornalistici del gruppo editoriale – è giusta e ponderata. Ecco in che modo e perché ora la battaglia continua con l’AI

Pubblicato il 14 lug 2025

Massimiliano Capitanio

Commissario Agcom



equo compenso agcom

La sfida del secolo, non solo dal punto di vista economico, ma anche democratico, è la battaglia a difesa del diritto d’autore. Una battaglia di civiltà e libertà.

Gli estremisti dell’internet libero non corrano alle armi: non sono in discussione il diritto all’accesso, la gratuita della navigazione, la condivisione universale e biblica del sapere.

Basta al saccheggio della proprietà intellettuale

Semplicemente è venuto il momento di dire basta al saccheggio della proprietà intellettuale, all’utilizzo del lavoro di tutti per il benessere di pochi, all’idea del far web, al mito di quell’isola digitale che non c’è dove è legale ciò che nella vita reale è illegale, normato e sanzionato.

Riconoscere un compenso per un lavoro giornalistico non è dichiarare guerra ai colossi della rete, non è privare l’umanità del diritto all’informazione né tantomeno combattere contro i mulini a vento.

Una lunga premessa per dire che la delibera Agcom sull’equo compenso – relativa al contenzioso tra Meta e Gedi sull’utilizzo da parte di Facebook dei contenuti giornalistici del gruppo editoriale – non è scandalosa, non è rivoluzionaria, non è algoritmica, non è sproporzionata: è semplicemente giusta e ponderata.

Equo compenso e Agcom: cosa è successo

Il 10 luglio il Consiglio dell’Autorità ha stabilito, dopo un lungo e complesso percorso di consultazione e regolamentazione, l’equo compenso dovuto da Meta per l’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico del Gruppo editoriali GEDI (tra cui, Repubblica e La Stampa) su Facebook.

La notizia ha avuto la propria eco perché si tratta del primo provvedimento che coinvolge un social network. E forse fa ancora di più rumore perché, di fronte alla cannibalizzazione dei contenuti da parte dei sistemi di intelligenza artificiale che stanno rottamando l’epoca dei motori di ricerca e dell’indicizzazione delle stringhe, sembra riferirsi a un passato remoto già superato.

Rimanendo ai fatti Agcom ha messo a terra i poteri disciplinati Regolamento (delibera 3/23/CONS) che può essere invocato a seguito del mancato accordo tra le parti, che resta la modalità prioritaria di trattativa tra chi produce un contenuto e chi lo sfrutta.

L’indipendenza e la neutralità dell’Autorità garante per le Comunicazioni è subito affermata: dall’analisi, in sede istruttoria, è emerso che nessuna delle proposte economiche formulate, sideralmente distanti una dall’altra in termini economici, fosse conforme ai criteri stabiliti dall’articolo 4 del Regolamento. In base alle tabelle del Regolamento e sulla base della documentazione fornita è stato dunque determinato l’equo compenso che, da quanto riportato da alcuni organi di stampa e non dalla comunicazione ufficiale di Agcom, si attesta attorno a una decina di milioni di euro per l’annualità oggetto della delibera.

La voce dell’Avvocatura generale sull’equo compenso

Nel dibattito si è inserita, non senza autorevolezza, la posizione dell’Avvocatura generale. L’Avvocato afferma testualmente che le disposizioni italiane contenute dell’articolo 43-bis della legge sul Diritto d’autore, in recepimento della Direttiva Copyright, sono conformi alla Direttiva stessa nel momento in cui si attribuiscono ad AGCOM “il potere di regolamentazione, di vigilanza e sanzionatorio, inclusa la possibilità di proporre criteri per determinare la remunerazione dovuta agli editori o l’importo di tale remunerazione”.

La valutazione sulla legittimità dei criteri spetterà al giudice amministrativo sempre ricordandoci che la sindacabilità sulla discrezionalità tecnica di una autorità indipendente incontra limiti stringenti.

Nel frattempo, chi sostiene che le contrattazioni tra le parti sono bloccate per via della rigidità dei criteri della delibera 3/23/CONS, a mio avviso, volontariamente e meno, non tiene conto proprio di un dei motivi principali per cui è stato introdotto l’istituto a livello UE: garantire delle procedure che facilitino gli editori ad ottenere una remunerazione della propria attività, a fronte della tradizionale ritrosia delle piattaforme a riconoscerla.

Le conclusioni dell’Avvocatura sono state rese nell’ambito del procedimento in Corte di Giustizia C-797/23 Meta Platforms Ireland, avviato a seguito di rinvio pregiudiziale da parte del TAR Lazio.

Il Tribunale italiano era stato infatti interpellato da Meta affinché venisse annullata proprio delibera AGCOM n.3/2023 con cui veniva attuata la normativa italiana. Quindi, nella sostanza, l’avvocato generale della Corte di Giustizia, Maciej Szpunar, si è pronunciato favorevolmente in merito alla normativa italiana sull’equocompenso.

Il metodo di calcolo dell’equo compenso

L’equo compenso spettante a GEDI risponde esattamente a questi criteri di calcolo. Come base sono stati utilizzati i ricavi pubblicitari del prestatore derivanti dall’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore, al netto dei ricavi di GEDI attribuibili al traffico di reindirizzamento generato sul proprio sito web dalle pubblicazioni di carattere giornalistico utilizzate online da Meta. A tale base di calcolo è stata applicata un’aliquota fino al 70% determinata secondo i criteri stabiliti al comma 3 dell’articolo 4 del Regolamento.

Nel determinare la base di calcolo, l’Autorità ha tenuto conto del modello di business di Meta e dei meccanismi di funzionamento dei relativi servizi, definendo altresì il perimetro entro cui l’equo compenso deve essere calcolato. Tale passaggio ha comportato la definizione dei servizi di Meta che fanno un utilizzo online delle pubblicazioni giornalistiche, l’analisi delle pubblicazioni di GEDI ammissibili e dei contenuti diffusi da Meta che si configurano come pubblicazioni di carattere giornalistico ai sensi dell’art. 43-bis della legge sul diritto d’autore e in base al Regolamento.

Alla base di calcolo l’Autorità ha applicato un’aliquota determinata sulla base dei criteri di cui al comma 3 dell’articolo 4 del Regolamento, considerati cumulativamente e con rilevanza decrescente:

a) numero di consultazioni online delle pubblicazioni sui servizi del prestatore;

b) rilevanza dell’editore sul mercato (audience on line);

c) numero di giornalisti, inquadrati ai sensi di contratti collettivi nazionali di categoria;

d) costi comprovati sostenuti dall’editore per investimenti tecnologici e infrastrutturali destinati alla realizzazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online;

e) costi comprovati sostenuti dal prestatore per investimenti tecnologici e infrastrutturali dedicati esclusivamente alla riproduzione e comunicazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online;

f) adesione e conformità, dell’editore e del prestatore, a codici di autoregolamentazione (ivi inclusi i codici deontologici dei giornalisti) e a standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking;

g) anni di attività dell’editore in relazione alla storicità della testata.

Per ciascuno dei menzionati criteri sono state applicate delle percentuali calcolate in base a quanto previsto dal Regolamento e dalla Nota metodologica elaborata dall’Autorità, che fornisce indicazioni di dettaglio sui diversi elementi che compongono il modello di calcolo cui si attiene Agcom per la valutazione della conformità delle proposte economiche delle parti o per la definizione dell’ammontare dell’equo compenso.

La rabbia e l’orgoglio di un fotografo

A proposito di utilizzo indiscriminato di contenuti e lavori protetti da diritto d’autore è destinata a fare letteratura una recente sentenza italiana. Il Tribunale di Torino ha segnato un punto a favore del fotoreporter Gianni Minischetti contro Meta. I giudici torinesi hanno stabilito che le foto scattate da Minischetti a Oriana Fallaci non devono essere usate senza consenso, riconoscendo la responsabilità della piattaforma social sull’uso improprio delle immagini. La sentenza arriva dopo continue e sollecite richieste di rimozione di contenuti usati in originale o anche trasformati in meme. In questo caso il risarcimento è più contenuto: 126 mila euro, oltre a 25 mila per le spese legali.

Casi che oggi sembrano quasi preistoria di fronte alla nuove fonte di preoccupazione degli editori: i sistemi di AI che mettono a disposizione sintesi di notizie giornalistiche scavalcando di fatto il ricorso ai link che conducono ai portali di quotidiani e riviste online.

guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati