sentenza sul caso Meta

Diritto di accesso autonomo: svolta Ue nella tutela dei cittadini



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La Corte europea separa definitivamente diritto di accesso e diritto di difesa nel procedimento GDPR. L’interessato può accedere agli atti senza dimostrare pregiudizi concreti, trasformando il rapporto cittadino-amministrazione

Pubblicato il 17 set 2025

Francesca Niola

Research Fellow Legal manager @ Aisma srl



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La sentenza T-183/23 del Tribunale dell’Unione Europea segna una svolta storica nell’evoluzione del diritto di accesso ai fascicoli amministrativi, elevandolo da strumento accessorio a garanzia fondamentale del cittadino europeo. La decisione, scaturita dal caso Meta-Facebook, ridefinisce profondamente il rapporto tra trasparenza amministrativa e tutela processuale.

Origine del caso e percorso procedurale

Il caso al centro della sentenza del Tribunale UE T-183/23  trae origine da un reclamo presentato in Austria contro Facebook Ireland per violazioni del Regolamento (UE) 2016/679 Gdpr.

L’Autorità austriaca ha ravvisato  carattere transfrontaliero del trattamento e pertanto ha trasmesso il fascicolo alla Data Protection Commission irlandese, competente in quanto autorità capofila. Il procedimento ha preso quindi la via del meccanismo di cooperazione e coerente applicazione previsto dagli articoli 60 e 65 del GDPR, con interlocuzioni tra autorità nazionali e successivo coinvolgimento del Comitato europeo per la protezione dei dati.

In tale frangente l’interessata, assistita dallo European Center for Digital Rights, ha presentato istanza di audizione e di accesso integrale al fascicolo. Il Comitato pose come condizione la prova di un pregiudizio concreto. La questione è quindi approdata dinanzi al Tribunale dell’Unione, che nella causa T-183/23 ha affermato l’autonomia del diritto di accesso ai sensi dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, con funzione non subordinata al perimetro strettamente difensivo e connessa al canone della buona amministrazione.

L’articolo 41 come garanzia operativa

La vicenda processuale colloca l’articolo 41 della Carta nel baricentro della legalità amministrativa europea: imparzialità, trasparenza, motivazione e termine ragionevole cessano di valere come postulati ornamentali e acquisiscono la forza di garanzie operative. In questa cornice, l’accesso al fascicolo assume la natura di prerogativa cognitiva dell’interessato, distinta dal diritto di difesa ex articolo 47 e tuttavia intimamente connessa alla sua effettività.

L’accesso come strumento di controllo democratico

Il fascicolo custodisce la trama viva del potere amministrativo: rilievi istruttori, minute decisorie, scambi tra autorità, opzioni interpretative. La disponibilità di tale trama consente alla persona un controllo razionale sul procedimento, riduce l’asimmetria informativa, incentiva una motivazione sorvegliabile e costruita su basi verificabili. L’accesso, in questa prospettiva, produce ordine: disciplina la scrittura amministrativa, rafforza la tracciabilità dei passaggi decisionali, irrobustisce la coerenza tra fatti, norme e conclusioni.

Il meccanismo del GDPR conferisce a questa lettura un rilievo ulteriore. I casi transfrontalieri mettono in moto una catena decisionale a più centri, nella quale autorità nazionali e Comitato europeo convergono su soluzioni vincolanti. Una tale architettura esige un presidio cognitivo all’altezza: l’interessato, attraverso l’accesso, acquisisce gli elementi necessari per comprendere criteri, pesi istruttori, equilibri tra diritti e libertà in gioco. La qualità del procedimento cresce attraverso la conoscenza, perché ogni attore istituzionale opera sotto uno sguardo informato e quindi esigente. L’accesso funge da leva di accountability: stringe il rapporto tra istruttoria e decisione, valorizza il principio di proporzionalità, impedisce scarti argomentativi privi di fondamento, innalza il livello di accuratezza tecnica e giuridica della decisione finale.

Autonomia tra diritto di accesso e diritto di difesa

La distinzione tracciata dal Tribunale tra diritto di difesa e diritto di accesso risponde a una precisa esigenza di sistema. Il primo reagisce a un atto che incide sulla sfera giuridica dell’interessato; il secondo opera nella fase anteriore e rende intelligibile l’itinerario che conduce alla decisione. La difesa senza conoscenza si riduce a gesto formale; la conoscenza senza difesa resta incompiuta. La combinazione dei due piani genera invece una cittadinanza procedimentale matura, capace di misurare la tenuta delle scelte amministrative alla luce di fatti documentati e di criteri applicati con metodo. In tal modo l’articolo 41 agisce da norma organizzatrice: orienta la prassi delle autorità, sostiene il contraddittorio, alimenta il circuito virtuoso tra amministrazione e giurisdizione.

Il caso Meta come banco di prova della trasparenza

Il procedimento Meta, proprio per la sua natura tecnica e multinodale, offre un banco di prova esemplare. Il fascicolo racchiude modelli valutativi, metriche di rischio, posizioni interne delle autorità coinvolte; la loro conoscenza affida al destinatario della decisione gli strumenti per un vaglio critico informato.

L’amministrazione, consapevole di questo controllo, cura il linguaggio degli atti, ancora la discrezionalità a criteri espliciti, espone la relazione tra dati istruttori e opzione conclusiva. L’accesso, così inteso, consolida una forma di legalità esigente: meno affidata a formule apodittiche, più ancorata a un tessuto argomentativo verificabile.

Verso una cittadinanza amministrativa europea

La sentenza T-183/23 compie infine un’operazione teorica di ampio respiro. L’accesso al fascicolo, proiettato sul terreno dell’articolo 41, cessa di apparire strumento ancillare e assume statuto di diritto di cittadinanza amministrativa. L’interessato costruisce la propria posizione giuridica su conoscenze complete; il giudice esercita il controllo con pienezza di elementi; l’autorità governa il procedimento entro un perimetro di responsabilità scritta. Da questa triangolazione prende forma un diritto amministrativo europeo più denso, nel quale la protezione dei dati non costituisce un settore isolato, ma un laboratorio di legalità capace di irradiare metodo e disciplina su ogni ambito affidato a poteri indipendenti.

Il fondamento normativo della cooperazione GDPR

Il cuore della decisione non può comprendersi senza una ricostruzione precisa del tessuto normativo. Il Regolamento (UE) 2016/679 ha istituito un meccanismo di cooperazione e coerenza che intreccia in maniera stretta le competenze delle autorità nazionali con quelle del Comitato europeo per la protezione dei dati. Tale struttura presuppone che il fascicolo procedimentale diventi la sede nella quale si depositano le valutazioni istruttorie, le proposte di decisione, le osservazioni reciproche e i criteri interpretativi. La disponibilità di questo materiale non costituisce una concessione discrezionale, bensì una necessità intrinseca alla natura del procedimento multilivello, nel quale la pluralità di autorità coinvolte genera un corpus documentale che, proprio perché condiviso, necessita di una regola trasparente di accessibilità.

L’articolo 41 della Carta e la buona amministrazione

Su questo terreno si innesta la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, che all’articolo 41 consacra il diritto a una buona amministrazione. Non si tratta di una clausola generica, ma di una disposizione che vincola ogni istituzione, organo e organismo dell’Unione a garantire imparzialità, tempestività, motivazione e soprattutto accesso al fascicolo. La disposizione, nata da una tradizione amministrativa continentale che attribuisce valore sostanziale al contraddittorio, viene assunta dal Tribunale come fondamento autonomo del diritto di accesso, distinto e complementare rispetto al diritto a un ricorso effettivo previsto dall’articolo 47. La difesa processuale necessita infatti di strumenti che la precedano, e l’accesso agli atti fornisce proprio quella base cognitiva che rende possibile un controllo consapevole della legalità amministrativa.

Il principio di effettività, elaborato dalla giurisprudenza europea, completa questa costruzione. L’accesso al fascicolo, concepito in forma autonoma, assicura che il cittadino non resti confinato in una condizione di attesa passiva rispetto alle decisioni delle autorità, ma disponga di un diritto attivo che rende verificabili i criteri seguiti dall’amministrazione.

Il principio di accountability nei fascicoli europei

Il Tribunale, richiamando l’articolo 41, non ha quindi soltanto individuato una garanzia procedurale: ha riconosciuto che la legalità amministrativa europea si regge sull’intreccio tra buona amministrazione e tutela giurisdizionale, in una relazione che trova nell’accesso la cerniera logica e funzionale.

In questa prospettiva il fascicolo diventa la sede materiale del principio di accountability: le autorità devono predisporre un’istruttoria tracciabile, fondare ogni passaggio su elementi conoscibili, organizzare il procedimento con la consapevolezza che ogni documento potrà essere oggetto di scrutinio critico. L’accesso, dunque, non opera come diritto accessorio, ma come espressione diretta della struttura normativa che regge l’intero sistema europeo di protezione dei dati e, più in generale, l’idea stessa di amministrazione nell’ordinamento dell’Unione.

Equazione tra memoria e trasparenza

Il Tribunale ha individuato nell’articolo 41 della Carta la chiave interpretativa capace di ridefinire la posizione dell’interessato nel procedimento europeo di protezione dei dati. La decisione non si limita a risolvere un conflitto tra la ricorrente e il Comitato: essa dischiude una diversa comprensione del diritto di accesso, che non dipende dalla prova di un pregiudizio ma si radica nella logica stessa della buona amministrazione. L’argomentazione del giudice si articola su un doppio piano. Da un lato, l’accesso viene distinto dal diritto di difesa, che si attiva al momento della lesione individuale; dall’altro, viene riconosciuto come prerogativa autonoma che appartiene al cittadino in quanto parte del procedimento amministrativo.

La ratio decidendi poggia su un’equazione semplice e radicale: il fascicolo contiene la memoria del procedimento, e senza accesso a tale memoria l’individuo non dispone degli strumenti per esercitare con consapevolezza i propri diritti. Il diritto di difesa presuppone infatti una base cognitiva, e l’accesso fornisce quella base senza la quale la giurisdizione rischierebbe di operare nel vuoto. L’articolo 41, letto in questa chiave, diviene una clausola di ordine sistemico: non un complemento del processo, bensì un presidio che garantisce la razionalità stessa del procedimento amministrativo.

Temporalità diverse di accesso e difesa

La distinzione tra accesso e difesa assume rilievo perché chiarisce la diversa temporalità dei due diritti. La difesa interviene quando la decisione incide sulla sfera giuridica dell’interessato; l’accesso, invece, agisce in una fase anteriore, offrendo alla persona gli strumenti per orientarsi, valutare, decidere se adire il giudice. Questa sequenza logica restituisce all’interessato un ruolo attivo, trasformando il procedimento da spazio chiuso tra autorità in terreno aperto a una partecipazione informata. L’argomentazione del Tribunale mostra dunque che la trasparenza documentale non costituisce un bene accessorio, ma la condizione che rende effettivi i principi di imparzialità e proporzionalità, i quali a loro volta reggono la legittimità dell’azione amministrativa europea.

In tal senso la sentenza T-183/23 si inscrive in una traiettoria che rafforza la connessione tra legalità e conoscenza. L’autorità che sa di dover esporre le proprie valutazioni a uno sguardo esterno cura la coerenza delle argomentazioni, struttura la motivazione in modo controllabile, riduce gli spazi di opacità. L’individuo che ottiene accesso, a sua volta, diventa parte di un circuito che alimenta il controllo giurisdizionale con dati completi e verificabili. Il Tribunale ha così riconosciuto che l’accesso non funge da mero supporto alla difesa, ma incarna la precondizione di ogni giudizio effettivo sulla legalità del potere amministrativo.

L’innovazione sistemica del diritto europeo

La sentenza T-183/23 introduce un mutamento profondo nel diritto dell’Unione, perché separa in modo netto il diritto di accesso dal diritto di difesa e lo innalza a garanzia autonoma dell’individuo nei confronti delle istituzioni. L’innovazione non si consuma nella formula, ma nell’effetto sistemico che essa produce: l’accesso non dipende più da una logica reattiva, bensì diventa diritto anteriore e originario, destinato a ordinare il procedimento prima ancora che si generi un conflitto giuridico. In questa prospettiva, il Tribunale attribuisce all’articolo 41 della Carta un ruolo ordinante che investe non soltanto i casi di protezione dei dati, ma l’intera fisiologia dei procedimenti amministrativi europei.

Dal modello reattivo alla partecipazione attiva

Il riconoscimento dell’autonomia dell’accesso consente di superare un modello procedimentale costruito sulla centralità della decisione finale. Il fascicolo non è più considerato uno strumento tecnico disponibile solo a chi dimostri un danno, ma diventa la trama stessa della legalità amministrativa, nella quale ogni atto assume rilievo perché concorre a orientare la scelta conclusiva. L’interessato, disponendo di tale trama, ottiene la possibilità di misurare la coerenza dell’iter istruttorio, di individuare eventuali discrasie logiche, di contestare l’adeguatezza delle motivazioni. L’amministrazione, di conseguenza, si trova vincolata a una disciplina più esigente, consapevole che ogni documento sarà sottoposto a lettura critica e potrà fondare un ricorso dinanzi al giudice.

La buona amministrazione come parametro operativo

L’innovazione si avverte anche nella concezione della buona amministrazione. L’articolo 41 viene inteso non come clausola di stile, ma come parametro operativo che obbliga le istituzioni a strutturare i propri procedimenti in modo aperto e verificabile. L’accesso non funge da semplice corollario, bensì da espressione diretta del principio di imparzialità e della necessità di una motivazione sorvegliabile. Ne deriva una ridefinizione del rapporto tra individuo e istituzione: il cittadino non resta destinatario passivo di atti amministrativi, ma partecipa al procedimento attraverso un diritto cognitivo che condiziona la stessa qualità delle decisioni.

Equilibrio tra trasparenza e funzionalità amministrativa

Sul piano critico, la decisione del Tribunale impone di riflettere sull’equilibrio tra trasparenza e funzionalità amministrativa. L’apertura dei fascicoli comporta un aggravio di oneri per le autorità, le quali devono predisporre atti redatti con precisione, gestire documenti complessi e garantire che ogni passaggio istruttorio resti accessibile. Tale impegno, lungi dall’assumere il carattere di un appesantimento burocratico, costituisce invece il presupposto della qualità procedimentale. Un’amministrazione consapevole della futura verificabilità delle proprie scelte tende infatti a curare con maggiore rigore la formulazione delle argomentazioni, a ridurre le ambiguità, a rafforzare la coerenza tra i dati istruttori e la decisione finale. La trasparenza, in questo senso, non sottrae efficienza, ma la rifonda su basi più solide: una decisione chiara e tracciabile risulta meno esposta al rischio di contenzioso e produce una fiducia istituzionale più duratura rispetto a una scelta rapida ma opaca.

Da questa prospettiva discende un ulteriore rilievo, che riguarda la condizione stessa dell’interessato. L’accesso al fascicolo muta la sua posizione da destinatario passivo a soggetto cognitivo dell’azione amministrativa. La persona non riceve più soltanto protezione contro un atto sfavorevole, ma esercita un diritto che gli consente di incidere sulla dinamica procedimentale, di controllarne l’andamento e di orientarne gli esiti. In questo mutamento di statuto si manifesta la portata sistemica della pronuncia: la qualità del procedimento non dipende unicamente dall’autodisciplina delle autorità, ma si alimenta della vigilanza informata dei cittadini. La legalità amministrativa europea, per effetto di questa trasformazione, non si misura più soltanto sull’atto conclusivo, ma trova fondamento nella trama documentale che sorregge ogni decisione e che, proprio perché accessibile, diventa il luogo in cui si realizza la sostanza della buona amministrazione.

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