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California, perché la nuova legge sull’AI apre allo scontro con le Big Tech



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Il governatore Gavin Newsom ha firmato il Transparency in frontier artificial Intelligence Act, la normativa più avanzata mai approvata a livello statale negli Stati Uniti. La California si conferma laboratorio normativo in assenza di una legge federale, tra pressioni delle Big Tech e nuove tutele per cittadini e lavoratori

Pubblicato il 3 ott 2025

Maurizio Carmignani

Founder & CEO – Management Consultant, Trainer & Startup Advisor



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 Il governatore della California Gavin Newsom ha firmato il Transparency in frontier artificial intelligence act, la normativa più avanzata mai approvata a livello statale negli Stati Uniti. La California si conferma laboratorio normativo in assenza di una legge federale, tra pressioni delle Big Tech e nuove tutele per cittadini e lavoratori.

La nuova legge californiana obbliga le aziende che sviluppano i sistemi di intelligenza artificiale più avanzati e con ricavi superiori ai 500 milioni di dollari a rendere pubblici i protocolli di sicurezza, segnalare i rischi maggiori e proteggere i whistleblower. Una mossa che rafforza il ruolo dello Stato come apripista nella regolazione tecnologica, ma che apre anche un fronte di scontro con le Big Tech, decise a spingere per una cornice federale meno frammentata. 

Cosa dice la nuova legge sull’AI della California

Con la firma del governatore Gavin Newsom, la California introduce una legge destinata a segnare un punto di svolta nella regolamentazione dell’intelligenza artificiale negli Stati Uniti. Il Transparency in Frontier Artificial Intelligence Act (S.B. 53) stabilisce infatti nuovi obblighi per le aziende del settore, imponendo la pubblicazione dei protocolli di sicurezza adottati nello sviluppo dei sistemi, la segnalazione dei rischi potenziali più elevati e la protezione dei dipendenti che denunciano pericoli per la collettività.

L’iniziativa, proposta dal senatore democratico Scott Wiener, arriva dopo anni di dibattiti e dopo un primo tentativo di legge bocciato dallo stesso Newsom nel 2024 a seguito di forti pressioni dell’industria. Il testo attuale rappresenta una versione più pragmatica: non prevede più test obbligatori né un “interruttore di emergenza”, ma punta a rafforzare la trasparenza e la responsabilità delle imprese. La reazione del settore non si è fatta attendere.

La reazione delle Big Tech alla legge sull’AI della California

Colossi come Meta, OpenAI e Google hanno denunciato il rischio di un mosaico normativo che potrebbe rallentare l’innovazione, sottolineando come negli Stati Uniti siano già decine le leggi statali in materia. Al contrario, la spinta delle Big Tech è verso un quadro federale uniforme che limiti le iniziative locali. Proprio per contrastare la crescente pressione normativa, alcune aziende hanno destinato centinaia di milioni di dollari a super PAC con l’obiettivo di sostenere candidati politici favorevoli a regole più leggere.

La legge californiana, però, si inserisce in un percorso coerente: lo Stato si è già distinto in passato con norme pionieristiche su privacy e tutela dei minori, mentre il Congresso resta paralizzato da anni su proposte simili. Non a caso Newsom ha rivendicato l’equilibrio raggiunto dal provvedimento, capace di proteggere le comunità senza frenare la crescita dell’industria.

Il nuovo quadro normativo prevede inoltre la creazione di un consorzio statale dedicato alla ricerca e sviluppo di intelligenza artificiale “sicura, etica, equa e sostenibile”, rafforzando così la vocazione della California come epicentro dell’innovazione tecnologica ma anche come laboratorio di governance. 

Gli impatti della nuova legge sull’AI in California

La legge californiana segna un passaggio importante non solo per gli Stati Uniti ma per l’intero dibattito internazionale sulla governance dell’intelligenza artificiale. È un segnale chiaro: in assenza di una cornice federale, saranno gli stati a muoversi in autonomia, costruendo regole che rispondano ai bisogni locali ma che inevitabilmente avranno effetti globali.

Questo modello multilivello rischia di produrre un quadro normativo frammentato e costoso da gestire, ma allo stesso tempo accelera la definizione di standard che possono poi diventare riferimento per il legislatore federale. Uno scenario possibile è che la pressione esercitata dalla California induca il Congresso a intervenire con una legge nazionale, proprio per evitare un patchwork ingestibile di norme divergenti. In questo caso, la dialettica tra innovazione e sicurezza si sposterebbe a Washington, con le Big Tech pronte a sostenere con forza un impianto normativo più uniforme e meno oneroso.

La possibilità di una competizione normativa tra stati

Un secondo scenario è quello di una vera “competizione normativa” tra stati, in cui ciascuno cercherà di posizionarsi come hub più o meno regolato per attrarre investimenti, ricercatori e startup. In questa logica, la California potrebbe consolidare il suo ruolo di apripista per una regolazione responsabile, mentre altri stati potrebbero giocare la carta di un approccio più permissivo, creando tensioni non solo legali ma anche economiche tra diversi territori.

C’è infine la dimensione internazionale: la nuova legge californiana potrebbe rafforzare i legami con l’Europa, che con l’AI Act ha già definito una cornice di regole avanzate. Le multinazionali che operano su scala globale si troveranno così a dover rispettare standard di sicurezza e trasparenza che, sebbene nati a livello locale, avranno un impatto transnazionale. Il punto di fondo è che la questione non riguarda soltanto la protezione dei consumatori, ma anche la capacità di bilanciare crescita economica, responsabilità sociale e competitività geopolitica.

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