In Italia, quando si parla di intelligenza artificiale, il discorso è quasi sempre dominato dalle grandi aziende e dai colossi tecnologici. Eppure, i dati raccontano una realtà diversa e, per certi versi, sconcertante.
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Il ritardo italiano nell’adozione dell’IA
Solo l’8,2% delle imprese italiane con più di dieci dipendenti utilizza tecnologie di intelligenza artificiale, mentre la media europea supera il tredici per cento e in Paesi come la Danimarca si superano abbondantemente i venticinque punti percentuali. Non è un semplice ritardo statistico, ma un divario che rischia di trasformarsi in un freno strutturale alla competitività dell’intero sistema produttivo nazionale.
Il paradosso è che proprio le piccole e medie imprese, che rappresentano l’ossatura del Made in Italy, sono anche quelle che più avrebbero da guadagnare dall’adozione dell’IA, ma sono le stesse che mostrano la maggiore diffidenza. Questa resistenza non nasce soltanto da limiti tecnologici o da questioni economiche, ma affonda le radici anche in un atteggiamento culturale. In molte realtà imprenditoriali permane infatti l’idea che l’intelligenza artificiale sia qualcosa di troppo complesso, pensato per le multinazionali, distante dalla quotidianità di un’impresa di venti, trenta o cinquanta addetti. È un approccio prudente, quasi difensivo, che porta molti imprenditori a rimandare la decisione di innovare, nell’attesa che siano altri a fare il primo passo.
Le ragioni della diffidenza delle PMI
Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, solo il sette per cento delle piccole e il quindici per cento delle medie imprese hanno avviato progetti concreti legati all’IA.
Le motivazioni sono note e spesso ripetute:
- mancano competenze interne specializzate,
- gli investimenti vengono percepiti come troppo onerosi,
- i dati a disposizione non sono sufficienti o non hanno la qualità necessaria per alimentare algoritmi efficaci.
Tutti questi fattori alimentano una spirale di rinvio. Più si rimanda l’adozione, più cresce la sensazione che sia un passaggio difficile e rischioso, mentre nel frattempo altri Paesi corrono.
Strumenti e percorsi per superare il gap
Eppure, non mancano strumenti e percorsi per superare questa diffidenza.
La formazione
La prima leva è la formazione. L’Unione Europea ha fissato un obiettivo ambizioso: entro il 2030 la maggioranza delle PMI dovrà disporre di competenze digitali di base, comprese quelle relative all’intelligenza artificiale.
Già oggi esistono percorsi gratuiti, webinar, piattaforme online e iniziative sul territorio, come quelle organizzate dai Competence Center e dai Digital Innovation Hub, che permettono a imprenditori e dipendenti di avvicinarsi all’IA in modo graduale.
Soluzioni semplici pronte all’uso
La seconda leva è rappresentata dalla disponibilità crescente di soluzioni semplici e pronte all’uso. L’IA non è più un campo riservato a grandi team di data scientist, ma è già integrata in software gestionali, in CRM, in piattaforme di e-commerce. Con poche configurazioni è possibile introdurre un chatbot capace di rispondere alle domande dei clienti, un modulo predittivo che aiuta a capire quando riordinare le scorte, o un sistema di riconoscimento ottico dei caratteri che velocizza la gestione di fatture e documenti. Piccoli interventi, poco invasivi, ma capaci di far risparmiare tempo e migliorare processi quotidiani.
Il sostegno pubblico
La terza leva riguarda il sostegno pubblico. Il Piano Transizione 5.0 prevede, solo per il biennio 2024-2025, oltre dodici miliardi di euro di incentivi, con crediti d’imposta fino al quarantacinque per cento sugli investimenti in tecnologie avanzate, inclusa l’IA, purché accompagnati da miglioramenti dimostrabili dell’efficienza energetica. Accanto a queste risorse nazionali esistono i voucher digitali messi a disposizione dalle Camere di Commercio, i bandi regionali cofinanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale e i programmi europei come Digital Europe, che supportano direttamente le PMI.
Gli esempi virtuosi di uso dell’IA per la crescita strategica
Guardando ai casi concreti, emerge con chiarezza che l’IA non è soltanto uno strumento per automatizzare compiti o ridurre i costi operativi. Se usata correttamente, diventa un fattore di crescita strategica. Le imprese europee che hanno già integrato l’intelligenza artificiale nei processi riportano in media un aumento della produttività del trenta per cento e un ritorno sugli investimenti digitali superiore al quaranta per cento entro un anno. Non solo: i tempi di lancio di nuovi prodotti si riducono sensibilmente, in alcuni casi addirittura della metà, grazie a processi più rapidi e a decisioni supportate dai dati.
In Italia non mancano esempi virtuosi.
A Bologna, l’azienda Nimax ha adottato strumenti di intelligenza artificiale generativa per personalizzare le offerte commerciali. I venditori possono adattare in pochi minuti il linguaggio e i contenuti delle proposte a seconda del cliente, con il risultato di rendere le comunicazioni più efficaci e di accorciare i tempi di chiusura dei contratti.
A Rovigo, la Agricole Forte ha sfruttato ChatGPT per gestire le comunicazioni con i clienti esteri. Le email non solo sono state tradotte, ma anche adattate culturalmente al contesto dei diversi interlocutori, con un impatto diretto sul risultato: un nuovo contratto internazionale firmato grazie anche al supporto dell’IA.
A Cesena, Robatech Italia utilizza l’intelligenza artificiale per preparare riunioni e presentazioni. I tempi necessari si sono ridotti del novanta per cento, liberando risorse preziose, e la qualità dei contenuti ne ha tratto beneficio. Questi tre esempi raccontano storie diverse ma convergono su un punto: l’IA non è un lusso riservato a pochi, ma uno strumento quotidiano che consente di migliorare il lavoro, aprire mercati e liberare tempo.
IA nei settori chiave del Made in Italy: gli esempi di uso virtuoso
Anche i settori chiave del Made in Italy iniziano a sperimentare le potenzialità dell’intelligenza artificiale.
Nell’agroalimentare
Nell’agroalimentare, la startup trentina Biosmart ha sviluppato un sistema di visione artificiale applicato ai trattori che consente di stimare la resa dei raccolti. Grazie a videocamere stereoscopiche e algoritmi di computer vision, gli agricoltori possono contare i frutti sugli alberi, rilevare eventuali difetti o malattie, programmare in modo più preciso la filiera.
A Torino, la storica azienda Battaglio ha introdotto l’IA nelle linee di selezione della frutta, triplicando la capacità di lavorazione e riducendo gli errori manuali. Nel turismo, a Vieste è stato lanciato Pizzomunno AI, il primo chatbot turistico locale basato su intelligenza artificiale generativa, capace di fornire assistenza multilingue ai visitatori in qualsiasi momento del giorno.
Nella manifattura
Nella manifattura, una piccola impresa lombarda ha introdotto sensori IoT e algoritmi predittivi per la manutenzione dei macchinari, riducendo del quaranta per cento i fermi imprevisti e migliorando la puntualità delle consegne.
Questi casi dimostrano che l’IA non snatura le caratteristiche del Made in Italy, ma al contrario le rafforza: qualità, creatività, artigianalità e accoglienza diventano più solide e competitive quando sono sostenute dall’innovazione tecnologica.
La cornice strategica europea
Accanto ai casi aziendali, l’Europa fornisce una cornice strategica che non va sottovalutata. Con l’AI Act, l’Unione Europea ha deciso di regolamentare l’intelligenza artificiale fissando criteri chiari di sicurezza, trasparenza ed etica. Le imprese che si adeguano per tempo non solo eviteranno rischi e sanzioni, ma potranno presentarsi come partner affidabili nelle supply chain internazionali, guadagnando un vantaggio reputazionale.
Con il programma Europa Digitale, le PMI possono accedere a fondi e infrastrutture che permettono di testare soluzioni e formare il personale nei Digital Innovation Hub presenti in tutto il continente. Con il PNRR e la Transizione 5.0, l’Italia dispone oggi di una combinazione di incentivi fiscali e infrastrutture di supporto tra le più generose in Europa.
È il momento di agire
La domanda, dunque, non è più se le PMI debbano adottare l’IA, ma quando. E la risposta è chiara: il momento è adesso. Le imprese italiane possono cominciare a mappare i propri processi e individuare i punti in cui l’intelligenza artificiale può portare benefici immediati. Possono sperimentare soluzioni semplici senza attendere grandi progetti complessi. Possono appoggiarsi all’ecosistema di supporto fatto di PID, DIH, Competence Center ed EDIH, che offrono consulenze e servizi di orientamento spesso gratuiti. Possono investire sulla formazione dei dipendenti, sfruttando corsi online e incentivi fiscali dedicati. Possono infine utilizzare gli strumenti finanziari messi a disposizione per ridurre i rischi e i costi dell’adozione.
L’intelligenza artificiale non è più una promessa del futuro, ma una tecnologia già presente negli uffici, nelle linee produttive e nella relazione con i clienti. Le PMI italiane hanno davanti a sé l’opportunità di trasformare un ritardo storico in una occasione di rilancio competitivo. Ma per coglierla è necessario un cambio di passo: non aspettare che siano gli altri a muoversi, ma salire sul treno dell’innovazione oggi, prima che diventi troppo tardi.












