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Copyleft, la forza etica che difende il software libero



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Le licenze copyleft garantiscono che il codice rimanga aperto, libero e condiviso. Un principio fondamentale dell’etica open source che contrasta l’appropriazione del software da parte delle grandi aziende

Pubblicato il 31 ott 2025

Italo Vignoli

Open Source Software Advocate



Big Tech e software open source (1); sovranità digitale Codice di condotta produttori software copyleft

Il copyleft è la colonna portante dell’open source, un principio che difende la libertà del codice e la collaborazione tra sviluppatori. Comprendere la sua funzione è essenziale per preservare l’etica e l’equilibrio dell’ecosistema digitale contemporaneo.

La scelta della licenza nel software open source

Il software open source è alla base dell’informatica moderna: dai server web ai sistemi operativi, è il motore della maggior parte dei servizi che usiamo ogni giorno. A differenza del software proprietario, però, dove ogni azienda ha una propria EULA (End User License Agreement) vessatoria nei confronti degli utenti), la condivisione del codice sorgente è regolata da una serie di licenze suddivise in due famiglie: le licenze permissive e le licenze copyleft.

Sta agli sviluppatori scegliere la licenza più appropriata per il proprio progetto, tra quelle disponibili (di cui parleremo più avanti). Ovviamente, il fatto che ci siano più licenze anche abbastanza simili tra loro può creare confusione, e troppo spesso gli sviluppatori ne ignorano l’importanza e quindi ne scelgono una a caso, oppure ne scrivono una completamente nuova che è spesso in contraddizione con l’Open Source Definition, il decalogo gestito da OSI (Open Source Initiative) che definisce i parametri per cui una licenza può essere definita open source. Questo è un errore.

Io sono stato per quasi sei anni nel board di Open Source Initiative, e ho visto le richieste di approvazione per licenze che secondo gli autori erano open source ma che nella realtà erano esercizi di fantasia che con l’open source non avevano nulla in comune, e avevano sempre l’obiettivo di impedire l’uso del software a qualcuno per i motivi più svariati, compreso quello di essere antipatico agli sviluppatori.

Controllo, etica e futuro della tecnologia

La comprensione delle licenze open source non riguarda solo la sicurezza legale, ma anche il controllo, l’etica, la collaborazione e il futuro della tecnologia. In questo articolo analizzo le licenze open source più comuni, con una particolare attenzione sulle licenze copyleft e sul motivo per cui sono più importanti che mai nel panorama tecnologico odierno. Questo perché sono uno strenuo sostenitore del copyleft e un nemico delle licenze permissive, che non a caso sono quelle che piacciono di più alle Big Tech (perché nella realtà dei fatti, nonostante le dichiarazioni di amore per il software open source, non tollerano la presenza della comunità di volontari perché sono culturalmente agli antipodi con la sua cultura di condivisione).

Definizione e categorie delle licenze open source

Una licenza open source è un contratto legale, che definisce le modalità di utilizzo, modifica e condivisione del codicesorgente. Senza una licenza, il codice sorgente è protetto dalla legge sul copyright, e questo significa che nessuno può copiarlo, modificarlo o distribuirlo legalmente.

Le licenze variano in base alla libertà che offrono agli utenti e alla protezione dei diritti degli sviluppatori. È qui che avviene la divisione delle due grandi categorie: le licenze permissive, con restrizioni minime, che permettono di utilizzare il codice in quasi tutti i modi, anche nel software proprietario (alla faccia dei volontari che lo hanno sviluppato); e le licenze copyleft, che proteggono i diritti degli sviluppatori e quindi impongono la condivisione del codice con la stessa licenza.

Le licenze permissive sono sicuramente più semplici, e forse per questo sono più facili da comprendere per gli autori delle licenze proprietari, ma le licenze copyleft sono più in linea con lo spirito dell’open source: condivisione della conoscenza, collaborazione reciproca e libertà etica.

I vantaggi strategici del copyleft

Le licenze copyleft sono spesso fraintese, al punto che alcuni sviluppatori le evitano per paura di implicazioni legali, e altri pensano che in questo modo il loro codice sia meno utilizzabile.

In realtà, il copyleft protegge il bene comune, assicura che tutti i miglioramenti apportati al codice sorgente rimangano liberi e aperti, favorisce una collaborazione sostenibile, e impedisce che il lavoro dei volontari venga trasformato in un software proprietario. Senza il copyleft, infatti, le aziende possono cooptare il lavoro aperto e chiuderlo. Quindi, in un’epoca in cui numerose Big Tech sfruttano il software open source senza contribuire nulla in cambio dell’utilizzo gratuito del software, le licenze copyleft sono uno strumento di equilibrio che mantiene aperto l’ecosistema open source.

La famiglia copyleft: le licenze chiave

Esaminiamo licenze copyleft più influenti, alle caratteristiche che le rendono uniche, e i motivi per cui sceglierle.

GNU General Public License (GPL)

La madre di tutte le licenze open source, con un copyleft forte che si applica all’intero codice sorgente se il codice GPL è combinato con altro codice, richiede che anche le opere derivate vengano rilasciate con licenza GPL, e se il software GPL viene modificato obbliga al rilascio del codice sorgente. La versione attuale è la GPLv3.

I vantaggi: garantisce che il progetto rimanga aperto, incoraggia una cultura di condivisione dei miglioramenti, e protegge dalla cosiddetta “tivoizzazione” e dalle minacce dei brevetti. È la licenza del kernel Linux (GPLv2) e di GIMP. Lo svantaggio: alcune aziende evitano il codice GPL a causa dei suoi obblighi.

GNU Lesser General Public License (LGPL)

Deriva dalla licenza GPL, ma ha un copyleft debole: le modifiche al codice LGPL devono essere comunque condivise, ma consente il collegamento con il software proprietario senza applicare la GPL all’intera applicazione, per cui è adatta per le librerie software. La versione attuale è la LGPLv3.

I vantaggi: bilancia l’apertura con la compatibilità, e incoraggia l’adozione pur preservando alcune libertà degli utenti. È la licenza di Ffmpeg.

Mozilla Public License (MPL)

È una licenza copyleft a livello di file, che richiede che i file modificati rimangano sotto MPL ma consente la combinazione con codice proprietario, purché i file MPL rimangano aperti. La versione attuale è la MPL 2.0.

I vantaggi: rappresenta una via di mezzo tra la GPL e le licenze permissive, è più semplice da rispettare rispetto alla GPL, incoraggia lo sviluppo aperto modulare ed è ideale per i grandi progetti che richiedono una certa protezione ma hanno bisogno di flessibilità. È la licenza di Firefox e Thunderbird, di Bugzilla e di LibreOffice.

Affero General Public License (AGPL)

È la licenza copyleft di rete: simile alla GPL, impedisce la “scappatoia SaaS” e richiede la pubblicazione del codice sorgente se il software viene utilizzato su una rete. La versione attuale è la AGPLv3.

I vantaggi: obbliga i fornitori di servizi cloud a contribuire in cambio dell’utilizzo gratuito del software, e protegge il software che gira sui server dallo sfruttamento proprietario. È la licenza di Nextcloud.

Attenzione, però, perché ci sono software come OnlyOffice che hanno modificato la licenza AGPL rendendola di fatto proprietaria, in quanto non consentono il fork del software imponendo limitazioni incompatibili con la OSD.

Sfatiamo i miti delle licenze copyleft

Mito 1: il copyleft è contro il business. Falso. Aziende come Red Hat, Canonical, SUSE, Acquia e Automattic hanno costruito attività fiorenti sul software copyleft, che incoraggia i modelli basati sui servizi rispetto alle licenze proprietarie.

Mito 2: nessuno userà il mio codice se è GPL. Falso. Progetti estremamente diffusi come WordPress, VLC e Git sono rilasciati con licenza GPL, perché gli sviluppatori sono molto più interessati alle funzionalità e alla comunità che agli ostacoli legati alle licenze.

Mito 3: il copyleft è rischioso dal punto di vista legale. Falso. Il copyleft è stato ampiamente testato dal punto di vista legale, e sia GPL che MPL hanno resistito in tribunale. Fino a quando si seguono le linee guida, si può stare tranquilli.

Le licenze permissive e i loro limiti

Come ho già avuto modo di affermare, sono contrario alle licenze permissive, che preferisco chiamare predatorie perché consentono alle aziende di appropriarsi del lavoro degli sviluppatori volontari senza alcun tipo di restituzione del maltolto. In particolare, detesto la Apache License – e quindi Apache Software Foundation – in quanto ha di fatto ucciso il progetto OpenOffice accettando di gestire il progetto, invece di trasferire il codice alla comunità (come sarebbe stato logico fare).

Una rapida lista delle licenze permissive più diffuse:

Licenza MIT

In pratica, fai quello che vuoi, basta che tu includa la licenza con il codice sorgente, che può tranquillamente essere riutilizzato all’interno di software proprietari.

BSD 2-Clause/3-Clause

Licenza molto simile alla MIT, con piccole differenze nelle clausole di attribuzione.

Licenza Apache 2.0

Anch’essa simile alla MIT, ma con l’aggiunta della protezione dei brevetti (come se non bastasse la predazione del software). È la preferita dalle aziende, che in questo modo possono continuare ad affermare il loro amore per il software open source, e per Linux, proseguendo nella loro strategia di rilascio di software proprietario.

Il copyleft come baluardo dei valori open source

Le licenze copyleft sono il migliore alleato di chi crede nel software open source e nei suoi valori – libertà, collaborazione e trasparenza – perché proteggono il codice sorgente e garantiscono che rimanga aperto, proteggono i contributori volontari e rafforzano la comunità, e creano un circolo virtuoso di condivisione.

In un mondo in cui le grandi aziende tecnologiche si nutrono sempre più di software open source senza dare nulla in cambio, il copyleft è una linea di demarcazione.

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