Amazon punta (ancora di più) ai robot, prevedendo di cancellare 600 mila posti di lavoro negli USA, da qui al 2033. Avanza la sua innovazione robotica, al punto che ora ipotizza di automatizzare il 75 per cento delle sue operazioni.
Sogno o incubo capitalista?
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Amazon e i licenziamenti causa robot
Secondo il New York Times[i] – che avrebbe consultato documenti interni all’azienda di Jeff Bezos –Amazon starebbe per iniziare una delle più vaste operazioni di automazione mai avviate da un’impresa capitalistica ergo di possibili distruzioni di posti di lavoro.
I documenti interni stimano che l’automazione permetterà un risparmio di circa 0,30 dollari per articolo spedito entro il 2027, con un risparmio aggregato stimato in circa 12,6 miliardi di dollari nel periodo 2025-2027
In realtà le cose sono – come sempre – più complesse; e quanto ai numeri bisognerebbe anche calcolare quanti posti di lavoro e quante imprese nella piccola e media distribuzione ha distrutto nel mondo, in questi anni, Jeff Bezos, imprenditore monocratico/autocratico che ha sempre agito con la complicità o il silenzio/assenso dei governi, insieme applicando a noi consumatori il marketing della libertà, cioè di poter comprare tutto ciò che si desidera stando seduti comodamente nel divano di casa.
Ovviamente – essendo un capitalista – Bezos non si è minimamente curato e preoccupato dei costi sociali e ambientali che la sua azione imprenditoriale globale, senza responsabilità e priva di ogni idea di sostenibilità faceva ricadere sugli altri.
E le retoriche che da anni insistono invece sulla responsabilità sociale delle imprese, sulla sostenibilità, sui lavoratori che devono essere visti come collaboratori dell’impresa e dell’imprenditore? Tutto di nuovo buttato nel cestino, o in discarica, insieme ai lavoratori, eppure a quelle retoriche, che ci accompagnano da decenni abbiamo creduto – e moltissime imprese virtuose hanno investito molto, non c’è solo irresponsabilità e greenwashing.
La lezione di Olivetti. E quella di Amazon è barbarie
Ora arrivano altri robot e l’IA, addio lavoro umano, addio responsabilità, addio psicologia del lavoro (sempre falsa e falsificante del reale), addio imprenditori illuminati. E invece vogliamo qui ricordare ancora una volta che per Adriano Olivetti (era un suo principio morale che gli veniva dal padre Camillo), “Tu puoi fare qualunque cosa tranne licenziare qualcuno per motivo dell’introduzione dei nuovi metodi [di lavoro], perché la disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligge la classe operaia”[ii]. Aggiungendo che il profitto non è e non deve essere l’unico fine di un’impresa e di un imprenditore. E invece, il mondo rovesciato del tecno-capitalismo procede altrimenti. Irresponsabilmente.
Che dire, allora? Che se quello di Olivetti era umanesimo, quello di Bezos (e degli altri come lui, che pure ci ostiniamo a chiamare visionari) è barbarie, se sempre deve pre-valere il motto positivistico dell’Esposizione Universale di Chicago del 1933, ovvero “la scienza scopre, l’industria applica, l’uomo si adegua”. E oggi ci dobbiamo adeguare anche all’IA e agli effetti che produce.
L’avviso di Acemoglu, nobel all’Economia
Ma se non vogliamo andare così indietro, ci basti l’economista del MIT Daron Acemoglu e premio nobel, che distingue tra due tipi di innovazione: le “tecnologie buone” e le “tecnologie so-so”.
Le prime ampliano le capacità umane, rendendo le persone più produttive e creando nuovi compiti e nuovi lavori. Sono le innovazioni che, nel lungo periodo, innalzano i salari, la domanda di lavoro e la produttività complessiva. È ciò che accadde, per esempio, con il personal computer o con le rivoluzioni meccaniche dell’Ottocento: strumenti che non eliminarono lavoro, ma lo trasformarono, aprendo interi settori economici.
Le “tecnologie so-so”, invece, sono quelle che sostituiscono i lavoratori senza generare nuove opportunità. Servono soprattutto a ridurre i costi, ma portano benefici limitati alla società nel suo insieme. Il classico esempio è quello dei chioschi automatici nei fast food o nei supermercati: semplificano l’operatività per l’azienda, ma non migliorano la produttività del sistema né la qualità del servizio.
Secondo Acemoglu, molta dell’automazione contemporanea – compresa quella nei magazzini di Amazon o in alcuni impieghi dell’intelligenza artificiale – rientra in questa seconda categoria. Non è una tecnologia “cattiva” in sé, ma una tecnologia “so-so”: migliora i margini aziendali, ma non arricchisce il tessuto produttivo né la collettività. In altre parole, accresce il capitale ma non il benessere diffuso.
Per l’economista, il punto non è arrestare l’innovazione, ma indirizzarla. Le società dovrebbero incentivare le tecnologie che potenziano l’essere umano invece di sostituirlo. “Ogni epoca decide – scrive – se usare la tecnologia per emancipare o per sostituire”.
Acemoglu ora dice al New York Times che “nessun altro ha lo stesso incentivo di Amazon a trovare il modo di automatizzare”. “Una volta capito come farlo in modo redditizio, l’idea si diffonderà anche ad altri”.
Se i piani andranno in porto, “uno dei maggiori datori di lavoro degli Stati Uniti diventerà un distruttore netto di posti di lavoro, non un creatore netto”, ha affermato Acemoglu.
I robot di Amazon
Amazon è capofila dell’automazione nella logistica, con prodotti che sembrano destinati a essere adottati anche da altri nel mondo e un impatto quindi vasto sul mercato del lavoro.
Kiva (Drive / Pod-Robot)

Si tratta del robot originario (acquisito con Kiva Systems nel 2012) che trasporta internamente negli stabilimenti Amazon dei “pod” (scaffali mobili) fino a una postazione operatore.
Hercules

Utilizzato per trasportare gli scaffali (pod) e avvicinarli agli operatori nelle attività di picking.
Pegasus
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Utilizzato nei centri di smistamento/logistica per trasportare pacchi finiti verso le zone di imballaggio o spedizione.
Xanthus (detto anche “X-bot”)

Versione più snella e versatile dei robot di trasporto.
Pensato per ambienti più densi o per compiti differenziati, grazie a sensori migliorati.
Titan

Robot “drive” progettato per sollevare carichi più grandi/bulkier rispetto a modelli precedenti
Cardinal

Braccio robotico (workcell) che solleva pacchi e li inserisce in carrelli o su nastri, parte della linea di automazione fine: manipolazione e smistamento pacchi/oggetti.
Sparrow

Robot braccio che opera su articoli individuali con visione artificiale e ventose.
Aiuta nelle parti del processo dove serve manipolazione fine di oggetti (diversi per forma, dimensione).
Vulcan


Robot relativamente nuovo che integra sensori tattili (“sense of touch”) e AI.
Permette manipolare oggetti in spazi ristretti (pods) con maggiore delicatezza e precisione, il 75 per cento di quelli Amazon.
Proteus

Robot mobile autonomo (AMR) progettato per muoversi in ambienti condivisi con persone. Un passo verso la cooperazione uomo-robot in ambienti logistici.
Blue Jay



Sistema robotico più recente, annunciato a ottobre 2025.
Testato in South Carolina, dedicato alla rete di consegna “same-day” per Amazon.
Questa lista non è esaustiva: Amazon ha sviluppato diversi altri modelli o varianti (es.: “Robin”, “Bert”, “Ernie”, “Scooter”, “Kermit”, etc) che coprono compiti specifici o sono in fase di test.
Redazione
Automazione ovvero deficit di democrazia
Luciano Gallino – maestro troppo presto dimenticato – chiamava tutto questo (le imprese che decidono a loro piacimento e a loro discrezione come farci vivere/lavorare/consumare, senza che noi si possa dire alcunché, neppure quando le loro azioni e le tecnologie che introducono sono così pervasive e invasive come oggi), un gigantesco deficit di democrazia tale da costituire un problema politico di prima grandezza.
Ma a cui nessuno pensa. E invece, quando oggi si parla di crisi della democrazia, non dovremmo dimenticare questo elemento essenziale, fondamentale: cioè che il capitalismo e la tecnica, per propria essenza, tendono a uccidere non solo libertà, società e biosfera, ma anche la democrazia[iii].
Ma i seicentomila lavoratori da rottamare sono anche l’ultima beffa prodotta dal signor Bezos, che era in prima fila – insieme agli altri oligarchi dell’Hi-Tech e davanti ai ministri del governo statunitense, giusto per sottolineare le nuove gerarchie del potere – il giorno dell’insediamento di Trump, lo scorso 20 gennaio.
Quel Trump che aveva catturato il voto di milioni di lavoratori americani impoveriti promettendo America First e di salvare il lavoro degli americani. E adesso arriva Bezos, che gli demolisce quella promessa. Perché come tutti i rubber barons/moguls/tycoons/olig-archi del passato e di oggi, anche Bezos ha un solo obiettivo, il profitto, tutto il resto non conta. E “analysts expect Amazon to see billions of dollars in cost savings every year as it automates more of the logistics process, both through increased efficiency and reduced need for humans”[iv].
L’antico sogno del capitale, la disoccupazione tecnologica
In realtà, la disoccupazione tecnologica non è cosa di oggi e basterebbe richiamare le riflessioni dell’economista John M. Keynes, ma la differenza da allora è la velocità molto accresciuta con cui si produce tale disoccupazione, con un saldo sempre negativo quanto a nuova occupazione creata. Perché il sogno del capitale è quello di poter sostituire la manodopera umana (sempre inefficiente, sempre da formare, sempre sindacalizzata – un autentico spreco…), con forza lavoro macchinica e in machine learning.
E nessuno intanto governa e meno che meno democratizza i processi di innovazione tecnologica, nessuno richiama/impone alle imprese i doverosi principi di responsabilità sociale e ambientale (anzi, anche la UE li sta smantellando, preferendo l’industria bellica e il fossile al Green Deal) e di democrazia. Ovvero, siamo sempre fermi al 1933.
Bibliografia
[i] https://www.nytimes.com/2025/10/21/technology/inside-amazons-plans-to-replace-workers-with-robots.html?smid=nytcore-android-share
[ii] A. Olivetti, “Ai lavoratori”, Edizioni di Comunità, Roma-Ivrea, 2012, pag. 41
[iii] L. Demichelis, “Tecno-archía, o la Nave dei folli”, DeriveApprodi, Bologna, 2025
[iv] https://archive.fo/bpO50












