Per anni abbiamo provato a costruire sistemi intelligenti capaci di navigare nel patrimonio informativo di un’azienda.
Abbiamo creato dashboard, modelli semantici, knowledge base, connettori, motori di search, pipeline RAG. Ogni soluzione funzionava, ma funzionava da sola. Tutti parlavano di IA, ma l’IA non aveva davvero un posto in cui “vivere”: si muoveva tra silos, ricombinava segnali eterogenei, provava a inferire relazioni che nessuno aveva mai definito esplicitamente.
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Dall’intelligenza a silos al contesto unificato, il Microsoft Ignite 2025
In altre parole, spesso l’IA era costretta a indovinare. E quando un sistema deve indovinare, inevitabilmente sbaglia.
Durante Microsoft Ignite 2025, il grande palcoscenico annuale in cui l’azienda svela la direzione tecnologica dei prossimi anni, appena andato in scena a San Francisco, questo paradigma si rompe.
Non con un nuovo modello, non con un nuovo chip, non con un nuovo Copilot, ma con un’idea molto più profonda: la nascita di un unified context layer, un vero cervello semantico in grado di dare coerenza, continuità e significato a tutto ciò che un’organizzazione sa, produce e comunica.
L’obiettivo dichiarato, concreto, ambizioso e già in preview, è quello di ricostruire lo stesso tipo di contesto che permette a un essere umano di ragionare con fluidità, di usare conoscenze pregresse, di collegare concetti distanti e di prendere decisioni che tengono insieme numeri, documenti, conversazioni e segnali operativi.
Per capire la portata di questo cambiamento, bisogna partire da un fatto semplice: oggi i dati vivono in tre mondi separati. C’è il mondo della collaborazione, dove mail, chat, documenti e riunioni virtuali disegnano un grafo delle interazioni quotidiane. C’è il mondo degli analytics, dove modelli semantici, metriche e KPI danno forma alle performance di business. E c’è il mondo delle applicazioni, dei database operativi, dei log, dei sistemi line-of-business che custodiscono la verità transazionale.
Ogni mondo, spesso, ha la sua idea di cliente, di ordine, di ricavo. Ogni mondo parla una lingua diversa. E il risultato è che gli agenti IA, per quanto potenti, devono spesso improvvisare traduzioni continue tra concetti incoerenti: è da qui che nascono errori, fragilità, e anche “allucinazioni”, ma soprattutto la sensazione che l’IA possa avere difficoltà per riuscire a essere realmente integrata nel cuore dell’azienda.
Cervello aziendale: nascita dell’unified context layer
La risposta proposta da Microsoft è una stratificazione nuova, in tre livelli, che insieme formano qualcosa di qualitativamente diverso da una semplice integrazione. Work IQ, Fabric IQ e Foundry IQ non sono tre prodotti. Sono tre parti di un unico cervello.
Uno pensa alle persone e ai documenti, uno ai dati strutturati e alle operazioni, uno alla conoscenza diffusa e al retrieval ragionato. Insieme compongono quello che Microsoft definisce Unified IQ Layer: il tessuto semantico che permette agli agenti di ragionare come ragionano gli esperti umani.
Work IQ: lato umano del lavoro e del contesto
Work IQ è il lato più umano di questo cervello aziendale. Vive dentro Microsoft 365 e alimenta Copilot nelle applicazioni di produttività. Oggi però è qualcosa di molto più evoluto rispetto alla prima generazione di assistenti. Ha una memoria conversazionale persistente, che deriva dall’uso di modelli AI all’avanguardia (i cosiddetti Frontier Models), che consente al sistema di non ripartire da zero a ogni interazione. Capisce il contesto, ricorda le preferenze, mantiene traccia dei thread. E soprattutto utilizza in modo strutturato i metadati di SharePoint: non si limita a leggere un documento come un blocco di testo, ma interpreta colonne, classificazioni, campi strutturati. In sostanza, non trova solo informazioni: le comprende.
Fabric IQ: semantica unica per i dati di business
Fabric IQ è invece il cervello dei dati di business. Non è “Power BI con qualcosa in più”. È l’estensione naturale del semantic model di Power BI a tutto ciò che riguarda la definizione formale dell’azienda. Entità, relazioni, processi, regole: tutto viene modellato una volta sola, e quella definizione diventa una fonte di verità condivisa da analytics, applicazioni e agenti AI.
La grande intuizione è che questa ontologia non parte da zero: oggi esistono oltre venti milioni di semantic model sulla piattaforma, costruiti in anni di lavoro dai clienti. Significa ridurre la frizione, preservare gli investimenti e trasformare la BI nel fondamento dell’intelligence operativa.
Foundry IQ: retrieval come processo orchestrato
Foundry IQ è il cervello del recupero della conoscenza. È l’evoluzione del concetto di RAG in una forma più consapevole, orchestrata, agentica. Non si limita a cercare in un indice vettoriale: pianifica, itera, verifica, combina risultati provenienti da fonti diverse, tiene conto dei permessi di ogni utente grazie a Purview e sintetizza solo ciò che serve davvero. È retrieval come processo, non come funzione.
Dal cervello aziendale ai casi d’uso concreti
La vera rivoluzione però non sta nei singoli layer, ma nella composizione complessiva.
Quando i tre livelli lavorano insieme, nasce un’intelligenza unificata che attraversa i confini tra dati, documenti e conversazioni. Un esempio banale lo rende evidente.
Proviamo a fare un esempio concreto.
Vorrei chiedere al mio sistema: “Come sta andando la pipeline rispetto al Q4 dell’anno scorso, e ci sono segnali di ritardo nelle conversazioni con i clienti?”
Scenario attuale: strumenti separati e lavoro manuale
Oggi, con quanto si ha a disposizione, si dovrebbe aprire il CRM, cercare una dashboard nei nostri analytics, scorrere thread di conversazioni, rileggere mail, collegare informazioni qualitative e quantitative.
Scenario con Unified IQ Layer integrato
Con unified IQ layer succede qualcosa di differente: Fabric IQ sa cos’è la pipeline, quali sono le misure corrette e come filtrare i periodi; Work IQ recupera con precisione le conversazioni rilevanti; Foundry IQ collega i due mondi, capisce quali segnali emergono e li inserisce nella risposta finale. Il tutto rispettando governance, permessi, sicurezza, compliance, etichette di sensibilità.
Come il cervello aziendale riduce le allucinazioni dell’IA
È in questa modalità che le allucinazioni diminuiscono drasticamente. Il problema, infatti, raramente è il modello: è l’assenza di contesto. Le allucinazioni nascono quando l’IA deve colmare un vuoto semantico, quando non sa come definire un concetto, quando non può verificare un’ipotesi.
Con Fabric IQ la semantica è unica, con Foundry IQ il retrieval è ragionato, con Work IQ la memoria è persistente. Non spariscono gli errori, ma vengono meno le condizioni che li generano.
Governance, semantica e il futuro dell’impresa che pensa
Ignite 2025 segna quindi un passaggio concettuale importante: non stiamo più costruendo strumenti, stiamo costruendo un’intelligenza unificata. È un modello che obbliga le aziende a ripensare i fondamenti: servono entità e relazioni modellate bene, servono metadata chiari, serve una governance forte. Ma in cambio si ottiene qualcosa che finora non era disponibile: un’IA che conosce il business con la stessa profondità con cui lo conoscono le persone che lo gestiscono.
Un sistema che non solo cerca, ma capisce. Non solo risponde, ma ragiona. Non solo propone, ma collega.
È il primo vero passo verso un’impresa che non è più un insieme di silos, ma un organismo che pensa.







