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AI generativa e neurodivergenze: strumenti per l’inclusione



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Persone con ADHD, autismo e DSA utilizzano l’AI per scomporre task, migliorare la comunicazione e gestire il sovraccarico mentale. Le ricerche mostrano soddisfazione elevata, ma serve consapevolezza per evitare il masking e costruire empowerment autentico

Pubblicato il 23 dic 2025

Anna Iorio

CTO e Co-Founder di Flowerista



educazione digitale bambini Neurodivergenze e AI

Il rapporto tra neurodivergenze e intelligenza artificiale sta ridefinendo le possibilità di inclusione cognitiva e lavorativa. L’AI generativa è uno strumento che può supportare le persone con neurodivergenze, ma per usare al meglio questa tecnologia non bisogna mai dare nulla per scontato.


L’AI come traduttore cognitivo per le neurodivergenze

“L’AI ha livellato il campo di gioco per noi colleghi neurodivergenti”. Questa frase, pronunciata da una persona con ADHD durante un’intervista sul posto di lavoro cattura qualcosa di inaspettato: l’intelligenza artificiale generativa non è solo uno strumento di produttività. Per chi vive con neurodivergenze, può diventare un traduttore, un’impalcatura cognitiva, uno spazio dove esercitare abilità senza il peso del giudizio.

Ma perché questo accade? La risposta sta in un paradosso: l’AI funziona meglio quando non diamo nulla per scontato. Per persone con ADHD, autismo, dislessia o altre forme di neurodivergenza, non dare per scontato fa parte intrinsecamente della visione di mondo.

Spiegare che una metafora va decodificata. Chiarire l’intenzione dietro un tono di voce. Strutturare un compito in sotto-obiettivi perché il cervello funziona meglio così. Dare parole a necessità che per altri sono “automatiche”. Quello che per la maggior parte delle persone è implicito, per chi vive con le neurodivergenze richiede un lavoro esplicito, costante, spesso invisibile agli altri. Per questo, la co-progettazione con l’AI generativa risulta lineare: occorre fornire contesto, essere espliciti, dichiarare preferenze, personalizzare ogni richiesta.

Evidenze empiriche: come le persone neurodivergenti usano l’AI

Cosa emerge quando persone con neurodivergenze iniziano a dialogare con l’AI generativa? Le ricerche raccontano una storia inaspettata: quella di early adopters inconsapevoli, di usi creativi per far fronte a esigenze concrete.

Report globali: dati da Virginia Tech e workplace studies

Un gruppo di ricerca della Virginia Tech ha analizzato 55.114 conversazioni da 27 subreddit su autismo, ADHD, ansia sociale e dislessia, documentando come l’AI venga usata per comunicazione interpersonale, benessere emotivo, produttività, apprendimento e accessibilità. Il Department for Business and Trade del Regno Unito ha monitorato 300 dipendenti con Microsoft 365 Copilot: le persone neurodivergenti risultano significativamente più soddisfatte. Copilot “livella il campo di gioco”, riduce la fatica cognitiva nelle riunioni, alleggerisce il sovraccarico mentale nei task quotidiani.

La convergenza delle big consulting sulla neurodiversità strategica

Le grandi società di consulenza convergono sulla stessa conclusione. Deloitte definisce la neurodiversità una leva strategica, non un dettaglio HR. EY documenta come la riduzione del carico cognitivo si traduca in benessere emotivo. PwC introduce il concetto di “accomodamento universale”: quando strumenti come Copilot diventano infrastruttura quotidiana, smettono di essere soluzioni speciali e diventano accessibilità distribuita. McKinsey chiude il cerchio: i limiti non sono nelle persone, ma negli ambienti. La GenAI permette di aggirare barriere cognitive con meno fatica, rendendo visibile ciò che normalmente rimane sottotraccia. Includere la neurodiversità non è etico per dovere: è strategico perché fa funzionare meglio il sistema intero.

Guida pratica: applicazioni concrete per ADHD e DSA

L’AI generativa può diventare un’impalcatura cognitiva: rende espliciti passaggi che per molte persone sono impliciti e offre feedback immediato, riducendo blocchi, dispersione e fatica. Vediamo un po’ di esempi e applicazioni.

Esempi pratici per persone con ADHD

  • Scomposizione dei task: trasformare un progetto in micro-passaggi gestibili, con priorità e tempi realistici.
  • Email e comunicazione: riformulare mantenendo intenzione e tono, evitando testi troppo diretti o troppo lunghi.
  • Personalizzazione: istruire l’AI con preferenze e prompt ricorrenti per ridurre il carico decisionale.
  • Simulazioni: role-playing per preparare conversazioni e allenare soft skills senza pressione sociale.

Esempi pratici per persone con DSA Parafrasi e semplificazione: rendere leggibili testi complessi, spezzando concetti e linguaggio.

  • Supporto alla scrittura: dettare idee e lasciare che l’AI proponga una struttura coerente senza sostituire la voce originale.
  • Multimodalità: usare audio, schemi, mappe visive quando il testo lineare diventa un ostacolo.

Masking versus empowerment: il confine sottile

Masking o empowerment?

Il rischio è usare l’AI per apparire più neurotipicə, nascondendo difficoltà invece di affrontarle con i supporti adeguati. Il masking ha un costo alto in termini di benessere. Ma l’AI può anche fare l’opposto: aiutare a chiarire bisogni, formulare richieste di accomodamento e organizzare il proprio lavoro in modo compatibile col proprio funzionamento. La differenza sta nell’intenzione: tradurre il proprio pensiero non è mascherarsi, è rendere più accessibile un’espressione autentica di sé.

Gamification e AI: il caso Prompt’n’Play

Neurodivergenze, AI e gamification: il gioco come strumento per un’infrastruttura cognitiva

Le review più recenti mostrano una convergenza: AI e serious games per la salute, sistemi di tutoring adattivi e strumenti come Glaaster per la dislessia indicano che la gamification sta diventando infrastruttura cognitiva. Non più solo supporto, ma sistema che si adatta alla persona. In questa direzione si colloca il lavoro di Flowerista con Prompt’n’Play: un serious game dove il linguaggio diventa metodo per allenare pensiero critico, decision-making e comprensione di come i significati si trasformano quando entrano in contatto con la GenAI. Con scenari simulati e role-playing, diventa spazio per sperimentare, sbagliare, aggiustare e partecipare allo human in the loop.

Neurodivergenze come test di validità per l’AI etica

Governance etica e policy: perché le neurodivergenze rendono concreta l’etica dell’AI

C’è un punto che va chiarito: le persone neurodivergenti non sono solo beneficiarie di un’AI più accessibile. Sono il test di validità del sistema stesso. Quando un’AI funziona anche per chi vede il mondo sotto una diversa lente d’ingrandimento, allora le persone tutte ne beneficiano. Non è una questione di rappresentanza della diversità tanto per. È una questione di robustezza epistemica. Le neurodivergenze sono un’opportunità per l’apprendimento per rinforzo delle AI generative. Sono proprio le persone che scardinano l’implicito a diventare chiavi di volta per uno sviluppo degli LLM in ottica di Responsible AI. Il pluralismo del dato non è un vezzo etico: è la base per un’AI antropocentrica e inclusiva.

Policy europee: AI Act e strategie di accessibilità

L’Unione Europea sta costruendo un quadro normativo per costruire una visione d’insieme che bilanci innovazione e tutela. L’AI Act vieta sistemi che manipolano comportamenti in modo subliminale, sfruttano vulnerabilità legate a età o disabilità, o producono scoring sociale.

La Strategia Europea per i Diritti delle Persone con Disabilità 2021-2030 e l’European Accessibility Act rafforzano questo quadro: le tecnologie devono essere costruite per funzionare anche per chi ha esigenze diverse. Questo deve essere un principio di base, anziché un “di cui”.

Un sistema di policy per l’uso responsabile dell’AI è la differenza tra tecnologia che amplifica disuguaglianze e tecnologia che le riduce. Le diversità possono diventare la bussola per capire se la governance sta funzionando davvero.

Conclusioni: partecipare alla conversazione sull’AI

Torniamo al punto di partenza: l’AI risponde sempre, anche quando non dovrebbe. Riempie spazi, costruisce ponti, dà forma al senso. Per questo, dialogare con questi sistemi richiede di non dare mai nulla per scontato.

La domanda è: cosa vogliamo che l’AI diventi? Per chi vogliamo che funzioni? Se non partecipiamo a questa conversazione, il rischio è che questi strumenti continuino a essere costruiti sulla base di una visione miope. Il pluralismo del dato non è un vezzo etico: è la base per un’AI antropocentrica e inclusiva.

L’AI può dare i superpoteri, ma solo se teniamo acceso il cervello. Vale per tutte e tutti, neurodivergenti e neurotipici. La differenza, forse, è che chi vive il mondo in modo differente ha già imparato che nulla va dato per scontato, un elemento che può fare la differenza nell’uso consapevole e critico di queste tecnologie.

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