La recente sanzione irrogata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nei confronti di Apple per abuso di posizione dominante sul mercato della distribuzione di applicazioni iOS offre un punto di osservazione privilegiato su una trasformazione profonda del diritto della concorrenza nell’economia digitale.
La decisione prende le mosse dall’implementazione della App Tracking Transparency e dalla struttura dei meccanismi di acquisizione del consenso al trattamento dei dati personali a fini pubblicitari, elementi presentati come strumenti di tutela della privacy degli utenti.
Indice degli argomenti
Come il design incide sull’antitrust di Apple nell’App Store
Il caso porta al centro del discorso antitrust un oggetto che fino a tempi recenti rimaneva ai margini dell’analisi giuridica tradizionale: l’architettura dell’interfaccia. Le scelte relative alla configurazione dei prompt, alla sequenza delle richieste e soprattutto alla ripetizione degli atti di consenso incidono direttamente sulle condizioni di accesso al mercato pubblicitario digitale, alterando la capacità competitiva degli sviluppatori terzi e ridefinendo il valore economico del dato come fattore produttivo.
A ragione, secondo l’AGCM, la piattaforma esercita un potere normativo di fatto, capace di tradurre una decisione di design in una regola generale di mercato.
Perché l’ecosistema iOS rende l’App Store di Apple un nodo antitrust
Il perimetro concettuale entro il quale la decisione antitrust acquista piena intelligibilità richiede una qualificazione giuridica dell’ecosistema iOS come infrastruttura privata ad accesso condizionato. L’App Store costituisce l’unico punto di transito necessario per l’incontro tra sviluppatori e utenti finali all’interno dell’ambiente iOS, configurando una dipendenza strutturale che trascende la dimensione contrattuale bilaterale.
L’accesso al mercato delle applicazioni per dispositivi Apple passa integralmente attraverso questa infrastruttura, la cui gestione concentra in capo al gestore poteri di selezione, organizzazione e conformazione delle modalità di scambio. In tale ruolo, l’App Store ricopre la funzione di snodo essenziale, nel quale la disponibilità tecnologica si intreccia con la capacità di incidere sulle condizioni economiche e giuridiche dell’attività imprenditoriale dei terzi.
Potere normativo di fatto e regole antitrust nell’App Store di Apple
All’interno di questo assetto, il potere della piattaforma si manifesta come potere normativo di fatto. Le condizioni di accesso, definite unilateralmente, producono effetti che oltrepassano il perimetro del singolo rapporto contrattuale e si proiettano sull’intero settore.
Le regole tecniche, le policy operative e le scelte di design vengono recepite come standard obbligati, ai quali gli operatori devono conformarsi per permanere sul mercato. Tale dinamica determina una trasformazione delle condizioni private in parametri generali di comportamento economico, con un effetto regolatorio che opera in assenza di una fonte pubblica formale.
La piattaforma esercita una funzione ordinante che incide sulla struttura concorrenziale del mercato, stabilendo le modalità legittime di utilizzo dei dati, di interazione con l’utente e di monetizzazione dei servizi. L’unilateralità delle decisioni e la loro immediata generalizzazione producono un sistema di regole che orienta le strategie degli operatori e condiziona l’allocazione delle risorse.
Il diritto antitrust viene così chiamato a misurarsi con una forma di regolazione privata che agisce attraverso l’architettura tecnica e che richiede una lettura capace di cogliere la continuità tra infrastruttura, potere economico e disciplina del mercato.
Privacy, proporzionalità e antitrust: il passaggio chiave per Apple nell’App Store
Il riconoscimento della privacy come obiettivo legittimo costituisce il punto di passaggio più delicato dell’intero impianto argomentativo. La protezione dei dati personali diventa parametro di qualità dei servizi e di valore competitivo percepito dagli utenti.
In tale prospettiva, la scelta di rafforzare il controllo individuale sul trattamento dei dati gode di una piena legittimazione giuridica e sistemica, in quanto coerente con l’evoluzione del diritto europeo della protezione dei dati e con la centralità della persona nel mercato digitale. La tutela della privacy, tuttavia, interagisce con assetti economici complessi e incide su catene di valore fondate sull’utilizzo del dato come risorsa produttiva, imponendo un vaglio attento delle modalità attraverso le quali tale obiettivo viene perseguito.
Il test di proporzionalità trasposto in chiave antitrust
Il baricentro dell’analisi si sposta allora sul mezzo prescelto e sull’assetto complessivo delle soluzioni adottate. Il test di proporzionalità, trasposto in chiave antitrust, richiede una valutazione della coerenza tra finalità dichiarata e strumenti tecnici utilizzati.
L’Autorità valorizza la sproporzione tra l’obiettivo di tutela della privacy e l’onere imposto agli sviluppatori terzi attraverso la duplicazione della richiesta di consenso. Tale configurazione produce un aggravio procedurale che eccede quanto necessario per garantire una informazione chiara e consapevole dell’utente, soprattutto alla luce della disponibilità di soluzioni tecniche idonee a concentrare il consenso in un’unica richiesta neutra e simmetrica.
In questo passaggio, la decisione individua nell’architettura del consenso il punto di frizione tra protezione dei diritti fondamentali e corretto funzionamento del mercato.
Asimmetrie tra operatori: l’antitrust su Apple e App Store nella gestione del consenso
Questa valutazione conduce naturalmente al tema della coerenza interna dell’ecosistema e della parità di trattamento tra operatori. La comparazione tra il regime dei prompt imposto agli sviluppatori terzi attraverso la App Tracking Transparency e gli assetti interni adottati per i servizi di profilazione e advertising del gruppo rivela una divergenza strutturale.
I primi risultano assoggettati a un percorso autorizzativo più frammentato e oneroso, mentre i secondi beneficiano di un’integrazione funzionale che preserva continuità informativa ed efficienza operativa. Tale differenza incide sul valore economico del dato e sulla capacità di offrire servizi pubblicitari competitivi, introducendo una disparità che trova origine esclusivamente nella posizione di controllo esercitata sulla piattaforma.
La nozione di asimmetria regolatoria come condizione iniqua
Da questa comparazione prende forma la nozione di asimmetria regolatoria come indicatore di condizione iniqua. La piattaforma esercita una triplice funzione: definisce le regole di accesso, opera come soggetto economico attivo nei mercati a valle e beneficia direttamente delle scelte di design adottate.
Questa concentrazione di ruoli conferisce alle decisioni tecniche una portata regolatoria che trascende l’autonomia organizzativa dell’impresa e incide sulla struttura concorrenziale del mercato. L’interfaccia diviene così il luogo nel quale si manifesta un conflitto di interessi intrinseco, nel quale la disciplina privata del consenso orienta la distribuzione del valore economico a vantaggio dell’operatore integrato.
In tale quadro, la tutela della privacy e il principio di concorrenza si intrecciano, richiedendo un controllo giuridico capace di verificare la coerenza, la simmetria e l’equità delle regole che governano l’ecosistema digitale.
Antitrust Apple App Store nel dialogo con Commissione e autorità competenti
L’istruttoria si inserisce in un dialogo strutturato con la Commissione europea e con le autorità competenti, fondato su una ripartizione funzionale che distingue, pur mantenendo continuità, la tutela della concorrenza dalla protezione dei dati personali.
Tale assetto riflette una concezione policentrica della regolazione dei mercati digitali, nella quale le autorità nazionali operano come nodi di un sistema integrato, chiamato a garantire coerenza applicativa e convergenza interpretativa. In questo quadro, l’intervento antitrust nazionale contribuisce alla costruzione di un linguaggio comune, capace di leggere le architetture digitali come oggetto di scrutinio giuridico unitario.
Confronti europei: dall’ATT al DMA nella traiettoria antitrust su Apple e App Store
I parallelismi con altre esperienze europee rafforzano questa cornice sistemica. La sanzione irrogata dall’Autorité de la concurrence francese in relazione alla App Tracking Transparency conferma la centralità del design del consenso come fattore concorrenziale e come terreno di verifica del potere delle piattaforme.
Allo stesso tempo, la decisione della Commissione europea adottata nell’ambito del Digital Markets Act, con riferimento alle pratiche di anti-steering e al relativo apparato sanzionatorio, delinea un modello di governance dei gatekeeper fondato su obblighi strutturali e su un controllo ex ante delle regole di accesso al mercato.
Questi interventi, pur distinti per base giuridica e finalità immediate, convergono verso una medesima traiettoria: la regolazione delle piattaforme attraverso il controllo delle regole di interazione e delle condizioni di utilizzo delle infrastrutture digitali.
Rimedi di design e “consenso utilizzabile” nell’antitrust Apple App Store
All’interno di tale scenario, assume particolare rilievo il tema dei rimedi e della loro qualità costituzionale nel diritto dei mercati digitali. L’ordine di cessazione immediata dei comportamenti distorsivi, accompagnato dall’obbligo di relazione entro un termine definito, sposta l’attenzione dalla dimensione puramente sanzionatoria alla conformazione futura dell’ecosistema.
Il rimedio di design emerge come strumento centrale, in quanto idoneo a incidere direttamente sulle modalità di esercizio del potere economico. La prescrizione non si limita a riparare un illecito passato, ma orienta la struttura delle interfacce e delle procedure, incidendo sul modo in cui i diritti e gli interessi economici trovano composizione nello spazio digitale.
Criteri verificabili, standard pubblici e accountability
Una valutazione critica della loro efficacia richiede tuttavia criteri verificabili. La qualità del rimedio dipende dalla definizione puntuale degli standard applicabili all’interfaccia, dalla scansione temporale degli adeguamenti, dalla chiarezza dei contenuti informativi e dalla garanzia di un’equivalenza funzionale tra servizi di prima parte e di terza parte.
Solo un controllo fondato su parametri oggettivi consente di evitare soluzioni meramente formali e di assicurare che la riorganizzazione del consenso produca effetti concorrenziali sostanziali. Da qui si aprono questioni di sistema che accompagnano la chiusura problematizzante dell’analisi.
La definizione di uno standard pubblico di “consenso utilizzabile” negli ambienti chiusi interroga la capacità dell’ordinamento di promuovere soluzioni interoperabili, fondate su strumenti di gestione del consenso verificabili e sottoposti a forme di audit indipendente.
Tale esigenza si intreccia con il rischio di una trasformazione della privacy in vantaggio competitivo strutturale, nel quale la tutela dei dati diventa elemento di brand value e, al tempo stesso, barriera strategica all’ingresso. In questo scenario, concorrenza e protezione dei dati procedono come binario unico, richiedendo un test europeo condiviso fondato su proporzionalità, simmetria di trattamento e accountability delle scelte di interfaccia.
La regolazione dei mercati digitali passa così attraverso una riflessione comune sulla legittimità delle architetture che governano l’accesso al valore economico dei dati.












