Mi capita spesso, durante conferenze o corsi dedicati all’intelligenza artificiale, di iniziare con una provocazione che all’inizio fa sorridere. Dico: “Non è vero che stiamo regalando i nostri dati all’AI.” Poi lascio passare qualche secondo e aggiungo: “Sapete perché? Perché glieli abbiamo già dati tutti: nome, cognome, movimenti, gusti, abitudini. Ci resta solo da dargli le nostre emozioni. E purtroppo ci stiamo arrivando, in massa, velocemente.” A quel punto, il sorriso scompare. Perché non è una battuta.
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AI: se l’affetto si fa servizio, la solitudine diventa business
Milioni di persone affidano le proprie emozioni a chatbot e assistenti vocali. Anziani soli, giovani che cercano conferme, relazioni sintetiche in abbonamento. Non è solo tecnologia: è un fenomeno culturale. Ci stiamo abituando al surrogato senza accorgercene. Ma cosa ci resta se deleghiamo anche l’affetto?
Consulente e docente in digital marketing, divulgatore della cultura digitale

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