Oltre oceano l’AI Slop ha già assunto le dimensioni di un’ondata. In pochi mesi è nata – dal nulla – una nuova categoria di creator che ha imparato a usare strumenti video basati sull’intelligenza artificiale generativa per immettere sul web clip brevissime, iper-assurde o – in alcuni casi – anche iper-realistiche, prodotte in serie e ottimizzate esclusivamente diventare (o almeno provarci) ad essere virali.
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Il fenomeno AI slop negli Usa
È un’economia dell’attenzione spinta ai limiti (al ribasso ovviamente): testi semplici scritti dall’IA, voci sintetiche, immagini create o “potenziate” da modelli di diffusione (modelli generativi tipo text to photo o text to video) e, infine, video montati in automatico.
Il risultato è un numero infinito di video nei feed dei social media, spesso indistinguibili da quelli realizzati professionalmente, che macina visualizzazioni e – soprattutto – ricavi.
Negli Stati Uniti la tendenza è già diventata un caso culturale.
Drew Harwell sul Washington Post ha raccontato la crescita di un mercato soprannominato “AI slop”, letteralmente “poltiglia di intelligenza artificiale”, dove creator senza formazione tecnica sfornano centinaia di video alla settimana grazie a strumenti generativi e monetizzano migliaia di dollari con i programmi delle piattaforme.
Emblematica la storia di Luis Talavera, trentunenne dell’Idaho, passato dal lavoro d’ufficio alla ribalta social con sketch volutamente demenziali, ma costruiti con pipeline IA che gli permettono di pubblicare di continuo e incassare dal programma per creator di TikTok.
Talavera sa che i suoi video non sono arte di alto livello. Ma ha dichiarato che gli fruttano circa 5.000 dollari al mese tramite il programma per i creatori di TikTok, per cui ogni sera e ogni fine settimana passa ore a sfornarli comodamente dal divano di casa sua.
AI slop: Meta, OpenAI e Tiktok accelerano sui social
OpenAI questa settimana ha compiuto un passo decisivo nell’evoluzione dei contenuti audiovisivi generati dall’intelligenza artificiale. L’azienda ha annunciato Sora 2, nuova versione del suo modello di video generativi, e contestualmente ha lanciato l’app Sora, un prodotto che non si limita a creare clip ma introduce un vero e proprio ecosistema sociale con feed verticale, meccaniche di interazione e raccomandazioni personalizzate.
È la prima volta che OpenAI entra nel terreno dei social video, fino a oggi dominato da TikTok, YouTube Shorts e Instagram Reels. La mossa trasforma Sora da semplice dimostrazione tecnologica a piattaforma di consumo e distribuzione, con l’obiettivo di intercettare il tempo d’attenzione degli utenti in un settore già estremamente competitivo.
2PA) e strumenti per attribuire in modo univoco i contenuti alla loro origine.
L’app Sora: da laboratorio a social network
La nuova app, disponibile al momento su invito negli Stati Uniti e in Canada, riprende il modello di TikTok: feed verticale, like, commenti e possibilità di “remixare” i contenuti altrui. A differenza dei social tradizionali, però, non consente di caricare video o immagini dal rullino: tutti i contenuti devono essere generati dall’intelligenza artificiale.
Una delle funzioni più discusse è Cameo: gli utenti possono verificare la propria identità e autorizzare l’uso del proprio volto nei video creati da altri. Un’innovazione che apre prospettive creative inedite, ma solleva anche interrogativi etici e legali sulla gestione dell’identità digitale.
Il contesto competitivo: TikTok e Meta si muovono prima
L’ingresso di OpenAI avviene mentre i big del settore stanno accelerando sui contenuti generati da IA.
- TikTok ha introdotto la funzione AI Alive, che consente agli utenti di trasformare immagini statiche in brevi video animati con prompt testuali. Oltre alla distribuzione, la piattaforma cinese diventa così anche uno strumento di creazione generativa.
- Meta, invece, ha appena lanciato Vibes, un feed interamente dedicato a video brevi generati dall’intelligenza artificiale, disponibile sull’app Meta AI e sul sito meta.ai. I video vengono mostrati insieme al prompt originale usato per crearli, e gli utenti possono generare nuovi contenuti o remixare quelli esistenti. Da Vibes i video possono poi essere condivisi su Instagram e Facebook, creando un ponte diretto tra la sperimentazione AI e i social mainstream.
Meta descrive Vibes come uno spazio pensato per l’ispirazione creativa e per l’interazione con i suoi strumenti di generazione e remix. Alcuni osservatori lo hanno già definito un laboratorio di “AI slop”, ovvero contenuti sintetici a forte impatto visivo ma privi di coerenza narrativa. In prospettiva, però, l’obiettivo è chiaro: moltiplicare la quantità di contenuti brevi a basso costo e mantenere gli utenti più a lungo all’interno dell’ecosistema Meta.
Casi di studio e testimonianze dirette
Adele, una studentessa ventenne della Florida ha dichiarato (tenendoci a restare anonima) al Washington Post di essersi presa una pausa dall’università per concentrarsi sui guadagni derivanti dai suoi video basati sull’intelligenza artificiale.
“L’AI slop sta inondando Internet di contenuti che sono essenzialmente spazzatura, danneggiando comunità e artisti e saturando piattaforme come YouTube di contenuti di scarsa qualità”, l’opinone di Akhil Bhardwaj, professore associato presso la facoltà di management dell’Università di Bath nel Regno Unito.
YouTube intanto corre ai ripari, dalla metà di luglio ha aggiornato la sua politica per il YPP (Youtube Partner Program). I contenuti generati dall’IA, non autentici e praticamente completamente automatizzati non potranno guadagnare soldi dal loro programma partner.
Ci sono però non pochi dubbi su come faranno a far rispettare tale policy dalle parti di San Bruno, in California, quartier generale del secondo sito più visitato al mondo dopo Google.
Le dinamiche di mercato dell’AI Slop
Negli Stati Uniti il fenomeno “AI slop” si è innestato su due forze di mercato.
La prima è l’ipertrofia della domanda pubblicitaria digitale: il mercato americano è di gran lunga il più ricco al mondo per spesa pubblicitaria pro capite, condizione che rende più redditizia ogni view monetizzabile e incentiva produzioni seriali a bassissimo costo.
La seconda è l’evoluzione dei programmi di remunerazione: TikTok ha sostituito il vecchio Creator Fund con il Creator Rewards Program, che premia contenuti originali e, soprattutto, più lunghi di un minuto, spingendo i creator a costruire format “industrializzati” con IA per massimizzare watch time e frequenza di pubblicazione.
Il reportage del Washington Post mostra come creator “non tecnici”, come Talavera o la studentessa Adele, riescano a estrarre entrate mensili significative ricombinando prompt testuali, voci sintetiche e montaggi automatici.
Sul fronte YouTube, il 15 luglio 2025 è entrata in vigore una riscrittura della policy YPP: la vecchia categoria “Reused/Repetitious Content” è stata riorganizzata sotto “Inauthentic Content”, e la piattaforma chiarisce che flussi “praticamente completamente automatizzati” e media sintetici non autentici non sono idonei alla monetizzazione.
È un tentativo di drenare la marea di clip generate a catena senza valore aggiunto umano. Resta però il nodo dell’enforcement: marketer e inserzionisti salutano la stretta, mentre molti creator temono falsi positivi e incertezza operativa; identificare in modo affidabile video generati o alterati dall’IA, a volumi da miliardi di upload, è un problema tecnico e organizzativo tutt’altro che banale.
In Italia scala (ancora) limitata
In Italia la scena è più frammentata. Un pattern riconoscibile è “Italian brainrot”: un filone di meme e micro-narrazioni con personaggi assurdi, voci robotiche e gag nonsense che attingono a cliché linguistici e culturali locali.
Nato in Italia, il formato ha travalicato i confini: non solo feed social, ma anche prodotti fisici (ad esempio figurine e card ufficiali in edicola o giochi da tavolo) e mondo gaming, con esperienze di gioco che replicano estetica e ritmo del brainrot.
Il fatto che brand internazionali come Ryanair e Duolingo abbiano pubblicato contenuti parodistici nello stile brainrot conferma la permeabilità del mainstream a questo linguaggio.
- “Gatto impazzito” da giugno ha iniziato a postare, (quasi) quotidianamente, contenuti video realizzati con l’intelligenza artificiale generativa raccogliendo migliaia di views e reaction.
- Intelligenza Artificiale – account con una descrizione chiara “tutti i video più belli creati con l’intelligenza artificiale!” posta video ben fatti dai contenuti grotteschi e demenziali e in meno di due mesi ha già superato – su Instagram – i 22 mila followers.
- Nello stesso periodo ha fatto meglio “Napoletani artificiali” con 48 mila followers e video seguitissimi.
Fattori limitanti del mercato italiano
Ma la massa critica di creator “industrializzati” sul modello USA è inferiore.
Perché? Tre fattori.
Primo: la dimensione economica. L’Italia è un mercato pubblicitario più piccolo e con minore spesa pro capite rispetto agli USA; a parità di visualizzazioni, il potenziale di monetizzazione è mediamente inferiore e alza l’asticella per sostenere “fabbriche di contenuti” IA.
Secondo: la lingua. L’inglese garantisce un bacino globale immediato; l’italiano, salvo format che “saltano” in traduzione o vengono ri-doppiati, rimane più locale.
Terzo: la regolazione europea. Il Digital Services Act e, via via, l’AI Act introducono pressioni di trasparenza e governance dei contenuti sintetici che, pur non vietando i meme IA, spingono piattaforme e brand a maggiore cautela (etichettatura, disclosure, moderazione).
Opportunità di marketing nell’AI slop
Partiamo dalle potenzialità.
- Costo marginale quasi zero. Con pipeline standardizzate (prompt+TTS+montaggio auto), un singolo creator può pubblicare decine di clip al giorno.
- Serialità come leva. La ripetizione di personaggi e catchphrase/slogan alimenta riconoscibilità e favorisce l’algoritmo.
- Trasmedialità. Il passaggio dal feed a prodotti fisici (figurine, gadget) o a minigame aumenta ricavo medio per utente (ARPU) e longevità del format.
- Brand hijacking positivo. Il tono parodico del brainrot consente ai brand “agili” di inserirsi con call-out ironici e conquistare share of voice a costi contenuti.
Non mancano le controversie però.
- Qualità e saturazione. Come nota Bhardwaj, una marea di media sintetici “poveri” può deprimere la qualità percepita dell’ecosistema, mettere in ombra artisti originali e confondere le community.
- Autenticità e fiducia. Piattaforme e inserzionisti temono l’“AI slop” per rischi di disinformazione, spam e brand safety; YouTube chiede autenticità e originalità per pagare, TikTok premia durata e watch time: i contenuti iper-brevi e “fatti a stampo” rischiano l’esclusione dai programmi premium.
- Enforcement incerto. Riconoscere in automatico contenuti generati è difficile; policy nuove senza strumenti robusti di detection producono zone grigie e precarietà per i creator.
- Compliance europea. L’AI Act prevede obblighi di trasparenza per media sintetici realistici (timeline di implementazione tra 2025 e 2026), spingendo a disclosure e labeling che possono ridurre l’ambiguità “virale” di certi format.
Saremo “invasi” da AI Slop?
“Il mercato era, e resta, quello dell’attenzione e della rilevanza. Dopotutto anche oggi è possibile per chiunque fare un video senza competenze e avere un pubblico: basta avere un telefono per riprendere qualcosa e pubblicarlo su qualche social. Ora con l’AI è più facile fare video complessi…Però ciò che rimarrà a galla sarà chi riuscirà ad essere rilevante per un pubblico. La cosa interessante è che l’AI permetterà a tantissimi talenti di esprimersi e di avere una voce più articolata di quanto non si potesse fare prima” il punto di vista di Nicola Bigi, Presidente di TIWI Studio casa di produzione video tra le più innovative nel panorama italiano.
Per Bigi “Oggi si fanno molte visualizzazioni con masse di contenuti fatte con la AI, perché è una novità a cui le piattaforme danno risalto e a cui le persone danno attenzione. A breve però c’è il rischio che il ‘mercato’ dei video si saturi e che le piattaforme daranno prevalenza ai contenuti originali.
Modelli Usa-Italia a confronto
Negli USA l’equazione scala linguistica + incentivi ricchi + tolleranza storica ai format automatizzati ha generato un mercato dove anche creator senza background tecnico possono estrarre reddito con catene produttive di IA.
In Italia la via più promettente è diversa: serialità local-first, personaggi riconoscibili, e un mix di canali dove la monetizzazione non dipende solo dall’Adsense della piattaforma, ma da branded content, marketplace dei creator, merchandising e licenze leggere.
È significativo che TikToK, anche in Europa, indirizzi i reward verso contenuti originali con durata superiore ai 60 secondi: chi usa l’IA come “co-autore” per format più lunghi, con una scrittura e un montaggio non puramente generativi, ha più chance di entrare nei programmi di remunerazione stabili.
Conclusioni
A breve termine, è plausibile una normalizzazione. La stretta YPP di YouTube alzerà la soglia minima di qualità e intervento umano richiesto per monetizzare, spingendo parte dell’offerta “slop” fuori dal perimetro pubblicitario.
Al tempo stesso, i format memetici IA più riusciti (brainrot & co.) proseguiranno la loro corsa cross-piattaforma, specie quando riescono a contaminare altri canali (gaming, edicole, media tradizionali) e a farsi ‘adottare’ dalle aziende e dai loro brand.
Molto dipenderà dall’esecuzione dell’enforcement: se le piattaforme non riusciranno a distinguere bene tra “IA-assisted” e “IA-slop”, si rischiano false esclusioni e frizioni con i creator; se invece l’asticella resterà chiara cioè “originale, autentico, con valore aggiunto umano” il mercato italiano potrà ritagliarsi una nicchia sostenibile, meno bulimica e più creativa.
Da Tiwi Studio vedono che si sta delineando la possibilità di maggiori opportunità per i singoli creator di essere coinvolti dalle aziende e dai loro brand proprio per portare un punto di vista diverso e umano su determinati contenuti.
In sintesi:
- Negli USA l’AI slop è già industria (il punto è quanto durerà?), spinta da incentivi e scala.
- In Italia è laboratorio, con il meme in testa, che, quando dialoga con cultura pop e brand, può creare valore.
Ma la distanza tra “assurdo virale” e “ricavo ricorrente” si colma solo con format proprietari, disclosure trasparenti e un uso dell’IA che aumenti e non sostituisca il lavoro creativo umano.












