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Nomadi digitali: le nuove competenze del lavoro da remoto



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Una normalità fatta di autonomia, connessione e salute mentale: il lavoro da remoto tra bisogni psicologici e sfide organizzative

Pubblicato il 24 set 2025

Chiara Cilardo

Psicologa psicoterapeuta, esperta in psicologia digitale



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Il fenomeno dei digital nomads sta ridefinendo il concetto di lavoro da remoto, unendo autonomia, connessione e attenzione alla salute mentale. Comprendere valori e competenze delle nuove generazioni diventa essenziale per costruire modelli sostenibili e inclusivi.

Ciò che un tempo rappresentava una modalità alternativa, riservata a specifiche professioni o situazioni temporanee, oggi è una realtà quotidiana per milioni di lavoratori e, per un numero crescente di professionisti, rappresenta una condizione stabile, un’aspettativa implicita, persino un criterio per accettare o meno un’offerta di lavoro.

Secondo l’ultimo report di MBO Partners (2024), negli Stati Uniti i digital nomads sono oltre 18 milioni, con un incremento del 147% rispetto al 2019. Non si tratta solo di giovani in fuga verso mete esotiche: molti scelgono città più accessibili o si spostano stagionalmente all’interno dello stesso paese. A guidare questa trasformazione sono soprattutto Millennials e Gen Z, che insieme rappresenteranno il 74% della forza lavoro globale entro il 2030 (Deloitte, 2025). Per loro, il lavoro non è (più) solo un mezzo di sostentamento, è una dimensione integrata dell’identità personale e del benessere.
Ma lavorare da remoto in modo efficace non è scontato. Richiede un insieme ben preciso di competenze personali, relazionali e organizzative. E richiede soprattutto un cambiamento di mentalità.

Le competenze che rendono sostenibile il lavoro da remoto

Per molti, il nomadismo digitale rappresenta oggi il modo più sostenibile per conciliare lavoro, benessere e priorità personali. Non basta però saper usare gli strumenti digitali: servono autonomia operativa, capacità di gestire il tempo e lavorare in modalità asincrona, oltre a competenze relazionali per mantenere connessioni professionali a distanza.

In questo quadro, il lavoro distribuito valorizza abilità di norma considerate “soft” come una comunicazione chiara, l’intelligenza emotiva, la flessibilità culturale e la propensione ad apprendere in modo continuo. Si tratta di competenze sempre più centrali, soprattutto nell’adozione di tecnologie emergenti come la GenAI e le piattaforme collaborative.

Lavorare efficacemente da remoto non richiede semplici optional: oggi le competenze trasversali sono il vero cuore del lavoro. Secondo Deloitte (2025), Gen Z e Millennials individuano proprio in soft skill, gestione del tempo e competenze specialistiche i tre pilastri per la crescita professionale.
Questa visione però si scontra spesso con una cultura aziendale ancora legata al controllo delle attività quotidiane, alla presenza come sinonimo di produttività e modalità principale, se non unica, di apprendimento. Adottare stili di leadership differenziati, sensibili alle esigenze e ai valori delle diverse fasce d’età, contribuisce a costruire ambienti ibridi più collaborativi, inclusivi e resilienti e, soprattutto, rappresenta una leva concreta per rinforzare coinvolgimento, continuità e produttività (Dayal, 2024). Capacità di adattamento, gestione del tempo e delle relazioni, sono tutte qualità che vanno valorizzate a livello di strumenti, processi, cultura e relazioni.

Aspettative e valori a confronto: cosa cambia tra Gen Z e Millennials

Gen Z e Millennials condividono valori come flessibilità, benessere e senso del dovere, ma entrano nel mondo del lavoro con prospettive differenti. Mentre i Millennials, segnati dalla crisi del 2008, hanno sperimentato l’instabilità come norma e sono stati i primi a mettere in discussione i modelli aziendali tradizionali, la Gen Z, entrata nel mondo del lavoro in piena pandemia, ha interiorizzato la flessibilità come requisito di base e preferisce modelli ibridi che bilancino autonomia e confronto. Solo il 6% aspira a ruoli di leadership (Deloitte, 2025), non per mancanza di ambizione, ma per un diverso approccio alla carriera, più fluido e attento alla salute mentale. Anche nelle scelte lavorative emergono nuove logiche: cambiare spesso azienda o settore è vissuto come una strategia per conciliare stabilità economica e realizzazione personale. In questo senso, il nomadismo digitale e il lavoro da remoto sono una risposta concreta a un mercato percepito come instabile e a una cultura organizzativa ormai superata. Le differenze generazionali si riflettono anche negli stili di leadership: Millennials e Gen Z rispondono meglio a modelli partecipativi e orientati al coaching, rispetto agli approcci più strutturati preferiti da generazioni precedenti (Dayal, 2024).

Autonomia, ma non isolamento: la ricerca di connessione

Tra gli effetti collaterali più insidiosi del lavoro da remoto abbiamo la difficoltà nel costruire reti professionali solide e il senso di isolamento. Secondo la Montañez (2024), la solitudine è tra le principali cause di calo della produttività e del coinvolgimento nei team distribuiti. La Gen Z è particolarmente vulnerabile a questi effetti: il timore è di non avere un contesto di riferimento chiaro, minori occasioni di mentoring, di guida, di supporto, una mancanza di feedback diretto e di socializzazione professionale (MBO Partners, 2024)
Per rispondere a questo vuoto relazionale, molti puntano su pratiche che bilanciano autonomia, flessibilità e spazi strutturati di relazione come co-working virtuali o piattaforme per la collaborazione informale come Discord; la scelta insomma è quella di creare spazi condivisi e co-costruiti, non imposti dall’alto (Hill et al., 2025). Oltre al creare community professionali che siano davvero di valore, il digitale viene così sfruttato anche per integrare nella routine momenti di condivisione e gestione del carico cognitivo. La tecnologia può diventare non solo strumento di lavoro, ma infrastruttura sociale. Perché la flessibilità, da sola, non basta: il benessere richiede struttura, connessione e intenzionalità.

Progettare e sostenere il lavoro da remoto

L’adattamento delle imprese al lavoro da remoto non può ridursi a offrirlo come un semplice benefit. Serve un ripensamento della cultura organizzativa: strutture chiare a supporto dell’autonomia, investimenti in formazione e spazi reali di confronto. Per attrarre e trattenere talenti, soprattutto tra Gen Z e Millennials, è necessario un equilibrio tra flessibilità e sostegno. Il Job Demands–Resources Model aiuta a leggere questo bilanciamento: le richieste del lavoro cognitive, relazionali, organizzative, diventano sostenibili solo se accompagnate da risorse adeguate come feedback, strumenti, mentoring e attenzione al benessere psicologico (Dayal, 2024).

Le aziende che investono in questi aspetti non solo migliorano la produttività, ma costruiscono ambienti più umani e sostenibili (Montañez, 2024). Eppure, secondo Deloitte (2025), solo una minoranza di manager offre il supporto che Gen Z e Millennials si aspettano. Il micromanagement, ancora diffuso in molte realtà, riflette una difficoltà a fidarsi dell’autonomia dei collaboratori e a passare da una logica di controllo a una di supporto. Questo stile gestionale finisce per soffocare l’iniziativa, generare frustrazione e ridurre il coinvolgimento, soprattutto tra le nuove generazioni. Al contrario, le organizzazioni che puntano su cultura, formazione personalizzata e benessere si dimostrano più capaci di attrarre e trattenere talenti (Hill etal., 2025). I digital nomads, soprattutto tra Gen Z e Millennials, non cercano scorciatoie, ma modelli di lavoro coerenti con i propri valori. Per le imprese, riconoscere questo cambiamento significa ripensare ruoli, processi e metriche di successo. Non è solo una questione di produttività: si tratta di costruire un lavoro che generi valore umano, duraturo e condiviso.

Bibliografia

Dayal, M. (2024). Work-Life Balance and Psychological Capital Amongst Women: Gen Z and Millenials. International Journal of Social Science & Economic Research, 9, 784-802.

Deloitte. (2025). 2025 Gen Z and Millennial Survey: Growth and the pursuit of money, meaning, and well-being. https://www2.deloitte.com/

Hill, C., Rice, J., & Bell, R. L. (2025). What are the best leadership styles for managing Boomers, Generation X, Millennials, and Generation Z who work remotely. Journal of Management Policy and Practice, 26(1), 101-115.

MBO Partners. (2024). State of Independence in America 2024. https://www.mbopartners.com/state-of-independence/

Montañez, R. (2024). Fighting loneliness on remote teams. Harvard Business Review.

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