rapporto istat

IA nelle imprese: cresce l’adozione, ma resta il gap di competenze



Indirizzo copiato

Anche dall’ultimo rapporto Istat su Imprese e ICT emerge la mancanza di competenze come uno dei principali fattori di ritardo nell’adozione dell’IA. Ma il problema è più ampio, coinvolge l’approccio all’innovazione nel sistema educativo e dell’apprendimento permanente e tocca sia le competenze di e-leadership che l’alfabetizzazione digitale come diritto

Pubblicato il 23 dic 2025

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione



competenze_manageriali_per_il_cloud_agendadigitale; AI CISO; legge italiana AI profili penali Etichettatura contenuti IA; sovranità digitale UE sicureza cloud Competenze intelligenza artificiale generativa

Tra i diversi aspetti positivi rilevati dall’indagine Istat “Imprese e ICT” recentemente pubblicata, oltre all’incremento dei valori relativi agli indicatori previsti nel programma europeo del Decennio Digitale, come il Digital Intensity Index, è certamente l’introduzione dell’intelligenza artificiale (IA) nelle imprese con almeno 10 addetti, che registra nell’ultimo anno una crescita particolarmente significativa, dall’8,2% del 2024 al 16,4% del 2025, ancora inferiore alla media europea del 20%, ma certamente più vicina.

La mancanza di competenze adeguate emerge tra i principali fattori che ritardano l’adozione dell’IA, così come si lega alla mancanza di competenze avanzate l’accentuarsi del ritardo delle PMI su alcune aree.

Considerando il contesto più ampio di sviluppo di sistema, anche europeo, appare però da porre maggiormente sotto attenzione e rafforzare un approccio organico all’innovazione, reso ancora più urgente dall’evoluzione e dalla pervasività sempre più rapida dell’IA.

Una riflessione su competenze digitali e PMI

La mancanza di competenze adeguate, secondo l’indagine Istat, frena l’adozione dell’IA in quasi il 60% delle aziende che hanno valutato, ma poi non realizzato, investimenti in IA. Nel complesso, la diffusione dell’IA presenta ancora ampi spazi per una ulteriore crescita: l’83,6% delle imprese non adotta alcuna tecnologia di IA, segnalando un livello di penetrazione ancora molto contenuto, soprattutto tra le PMI.

L’indagine evidenzia nel 2025, rispetto al 2023, una lieve riduzione dell’ampio divario delle PMI rispetto alle grandi imprese. Il divario, invece, non si riduce o addirittura aumenta nelle aree legate a competenze avanzate. In particolare, le differenze maggiori sono riscontrate nelle attività che richiedono competenze specialistiche avanzate, come l’analisi dei dati (41,9% le PMI e 83,6% le grandi imprese; rispettivamente 25,7% e 74,1% nel 2023), e in generale, l’adozione di tecnologie di IA.

In questo caso il divario nell’intensità di utilizzo tra grandi imprese e PMI si amplia passando da circa il 20% nel 2023 al 25% nel 2024, fino al 37% nel 2025.

In più, mentre per le grandi imprese è sempre più matura la finalità dell’adozione (qui prevalgono le aree di marketing e vendite), per le PMI è ancora significativa e in aumento la quota delle imprese che non dichiarano una finalità specifica (circa un quarto delle PMI che adottano l’IA).

Si tratta pertanto non soltanto di una difficoltà a reperire competenze avanzate, ma anche di disegnare un approccio di sistema per le competenze necessarie alla trasformazione digitale, incluse necessariamente quelle di e-leadership.

Innovazione e IA, la centralità delle competenze

Alla situazione rilevata dall’indagine Istat si associa una percezione prevalente di timore e negatività legata all’IA (a seconda dei sondaggi, si raggiunge circa la metà della popolazione soggetta a indagine), molto legata probabilmente all’ancora non adeguata e approfondita comprensione del fenomeno. La concezione ancora prevalente, infatti, non definisce l’IA come tecnologia (seppur di particolare e straordinariamente ampio impatto) e rispetto alla sua capacità di azione. In questo contesto è certamente da riferimento la definizione che ne dà Luciano Floridi: “Malgrado sia molto efficiente, l’intelligenza artificiale non pensa, non capisce, non è una mente. È altro: è agency, ossia ha capacità di agire nel mondo in modo efficace, senza possedere alcuna intelligenza. Potente, sì. Ma non viva”.

L’IA è allo stesso tempo agente abilitatore oltre che acceleratore di cambiamento e innovazione, e che richiede una visione, una strategia di utilizzo, nell’ambito però di un approccio organico all’innovazione, di cui l’IA non può che essere “al servizio”

In questo senso l’IA non crea un’area nuova per i processi di innovazione, ma contribuisce all’accelerazione, alla trasformazione e alla riconfigurazione di quelli già in atto o da disegnare. E richiede uno sforzo ulteriore per il loro orientamento, il loro governo e la loro attuazione, sforzo che è direttamente legato alla consapevolezza e alle competenze della popolazione nei diversi ruoli e settori.

Rispetto a questo punto di vista, può essere utile ripercorrere alcune aree di contesto e di azione per evidenziare quegli elementi che, con l’obiettivo di trarre massimo vantaggio dalla capacità di azione dell’IA, appaiono non ancora sufficientemente trattati.

Con una premessa, relativa alla centralità delle competenze.

Il ruolo centrale delle competenze

Come ho cercato di evidenziare nel recente testo “Come cambia l’e-leadership con l’Intelligenza Artificiale” è fondamentale tornare a focalizzarsi su quello che possiamo definire “il paradigma della partecipazione”. Nella società civile, nel mondo del lavoro, è sempre più essenziale che le scelte sul modo di concepire, direzionare e attuare l’evoluzione tecnologica siano, infatti, co-progettate con chi poi deve utilizzare le applicazioni e ne può avere diretto beneficio o danno.

Il senso, profondo e radicale, è che “non può esistere innovazione senza partecipazione”. In qualsiasi ambito.

Ad esempio, nel mondo del lavoro, questa consapevolezza si intreccia con la capacità di essere architetti della rivoluzione digitale e quindi, necessariamente, architetti dei nuovi lavori. Perché, per produrre impatto positivo, nulla può essere imposto come determinato e irreversibile.

Tutto è però dipendente dalla presenza di adeguate competenze digitali e consapevolezza ai diversi livelli, dai cittadini ai decisori politici, dai manager ai lavoratori del settore pubblico, del privato, del terzo settore. E diventa chiave, così, l’acquisizione della necessità della centralità delle competenze in un contesto di approccio organico e di un sistema educativo e di apprendimento permanente, dal ciclo di istruzione all’età anziana. Dove i termini “organico”, “permanente” e “per tutta la vita” diventano la configurazione indispensabile, fattore critico di successo. Per questo per i ruoli decisionali, di coordinamento, di guida, abbiamo bisogno di visione, di competenze di e-leadership. E di una e-leadership che deve farsi diffusa.

L’innovazione e la scuola

Nel contesto della Scuola in cui si registra l’ottima novità delle recenti “Linee guida per l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale nelle Istituzioni scolastiche”, il rischio che si corre è di non orientare il cambiamento nella direzione di una organica innovazione didattica, e di focalizzarsi sull’uso dell’IA e delle piattaforme. Occorre un approccio che stimoli la curiosità e la proattività, l’approfondimento critico e la creatività, contrastando, in questo senso, la tendenza alla navigazione superficiale sulla rete, nei social media, e alla riduzione della capacità di attenzione. Si tratta di un approccio che richiede innovazione e quindi ribaltamenti delle modalità, dei sistemi e dei processi attuali, sapendo che la creazione di contesti efficaci di apprendimento significa costruire ambienti ibridi dove i percorsi si integrano tra palestre online, scenari di gioco e sperimentazione e spazi fisici per lo scambio e l’interazione in presenza, in cui però l’efficacia dell’interazione non può prescindere dalla struttura, dagli strumenti e dalle funzionalità degli spazi. Si tratta dell’adeguatezza e dell’innovazione degli spazi fisici, con la stessa profondità con cui si indirizza la costruzione di quelli online.

La situazione attuale è stata ben raffigurata dal rapporto di Save The Children “XVI Atlante dell’Infanzia (a rischio) – Senza Filtri”, dove, nel quadro con focus su adolescenti e IA si evidenzia il grande utilizzo degli adolescenti ma anche il rischio connesso di eccessiva fiducia.

In particolare, si riscontra che il 74,2% degli adolescenti italiani utilizza l’IA tutti i giorni o quasi (30,9%) o qualche volta a settimana (43,3%), a confronto di una percentuale di utilizzatori giornalieri o settimanali tra gli adulti che si ferma al 25,1%. La percezione dell’IA è anche di conseguenza differente e la maggioranza degli adolescenti, se la dovesse personificare, la identifica con “un esperto”, mentre la maggioranza degli adulti la vede come “un collaboratore”, e tra gli adolescenti non è bassa la percentuale di coloro che dichiarano di aver chiesto consigli su qualcosa di serio e di importante per la propria vita (58% degli utilizzatori). L’impatto che l’avvento dell’IA generativa sta già producendo e continuerà a produrre su tutte le sfere della crescita dei bambini, delle bambine e degli adolescenti è innegabilmente molto significativo.

Come rileva l’Atlante, l’impiego delle piattaforme IA nella didattica è, pertanto, solo uno dei tanti aspetti da considerare, e sono da considerare anche la dimensione emotiva, il benessere psicologico, le possibili dipendenze affettive. L’urgenza di approfondire tutti questi aspetti è necessaria per ridisegnare per tempo percorsi educativi, responsabilità, regole di condotta e quadri normativi per accompagnare gli adolescenti nell’attraversare opportunità e rischi di questa rivoluzione industriale.

Questa credo sia la dimensione in cui costruire l’innovazione didattica che ci occorre.

Ecosistemi di innovazione territoriale

Per produrre il cambiamento culturale necessario occorre occuparsi della creazione di ecosistemi di innovazione, che si traduce, in particolare, nella presenza efficace di una rete strutturata di istituti superiori, ITS, università, centri di ricerca, imprese, amministrazioni pubbliche e autonomie locali, organizzazioni del territorio. Le imprese di un territorio si sviluppano grazie alle competenze che riescono a valorizzare ed è necessario perseguire con coerenza e determinazione la strategia di crescita nella filiera educativa fino ai luoghi della ricerca e quindi ai contesti applicativi.

Puntare a poli di eccellenza, ad esempio, sul fronte delle tecnologie di IA, in linea con la proposta del premio Nobel Giorgio Parisi, significa creare le condizioni per la creazione di queste competenze. Prevedendo, ad esempio, indirizzi di studio e progetti già negli istituti superiori, con possibilità di contaminazioni durante il percorso scolastico con università, centri di ricerca e imprese, ma anche preoccupandosi delle condizioni logistiche e di “qualità della vita” degli studenti superiori ed universitari, tema rispetto al quale le amministrazioni locali e regionali possono avere un peso fondamentale.

Come sottolineato nel recente contributo di Giuliano Noci e Marco Bentivogli su IA e manifattura non si può costruire una visione del futuro nel contesto dell’attuale rivoluzione industriale se non si considera il tema della definizione e dell’orientamento di una politica industriale. In questo senso per l’Europa (e soprattutto per l’Italia) significa focalizzarsi sulle PMI, che costituiscono la parte più numerosa delle imprese del nostro tessuto industriale.

In questo ambito il tema delle competenze manageriali sull’IA (quello che si può chiamare il tema dell’e-leadership) è indicato anche come uno dei pilastri di azione.

Innovazione, IA e lavoro

Nell’ambito degli impatti dell’IA sul lavoro, e trattato nella proposta citata di Bentivogli e Noci, un tema non ancora centrale è quello, duplice, del diritto del lavoratore all’alfabetizzazione digitale (inclusa l’IA) e quindi alla formazione continua, ma anche di chi ricopre un ruolo di guida e di gestione, nella direzione di competenze di e-leadership che sempre di più devono consentire un governo dell’organizzazione con l’utilizzo delle tecnologie (e in particolare dell’IA).

Questa dimensione dell’innovazione organizzativa si configura nella costruzione di un’organizzazione “intelligente”, basata sulla conoscenza e nella dimensione della sociotecnica 5.0, secondo la definizione di Federico Butera di adozione integrata di tecnologie abilitanti e “intelligenza artificiale giusta”.

L’innovazione richiede, da questo punto di vista, di considerare la conoscenza e le competenze come asse portante dell’organizzazione, base per abilitare reali processi di innovazione ma anche per rendere efficaci le azioni, necessarie, verso una richiesta di trasparenza degli algoritmi e del loro monitoraggio rispetto all’utilizzo nei processi decisionali ed operativi.

In questa direzione vanno anche le raccomandazioni dell’Osservatorio sulle competenze digitali dell’edizione 2025 da parte di Anitec-Assinform, AICA e Assintel, rispetto alle risorse da dedicare alla formazione continua e all’aggiornamento delle competenze digitali in tutti i settori, favorendo agevolazioni e strumenti di sostegno per le imprese, con una strategia di azione che consenta di superare la frammentazione delle diverse iniziative. E non è un caso che nella proposta di Bentivogli e Noci per una delle sei priorità, identificata nel sistema di competenze, siano indicate tra le diverse azioni l’affermazione del diritto soggettivo alla formazione sull’IA e la definizione di conti formazione a disposizione dei lavoratori in una logica di formazione continua.

Competenze diffuse nella popolazione e riflessioni conclusive

Nella nostra società sempre più complessa e in rapido cambiamento porre come centrale il tema delle competenze è necessario. Oggi possedere adeguate competenze (digitali e di IA, ma non solo) è una condizione essenziale per poter partecipare appieno alle attività quotidiane e lavorative e alle opportunità connesse. L’alternativa è di sprofondare nell’esclusione sociale oltre che di perdere l’autonomia sulle proprie scelte.

L’apprendimento permanente è una necessità e un diritto. Occorre quindi comprendere come renderlo effettivo per tutti. È questo anche l’indirizzo della Carta europea dei diritti digitali, come sottolineato qualche tempo fa da Viola e De Biase: “Di fronte alla portata gigantesca dei cambiamenti tecnologici, economici, ecologici, organizzativi che si stanno verificando in questa grande trasformazione, la popolazione dovrà essere in grado di imparare non solo nei primi anni di vita, ma per tutta la vita. Questa sfida richiederà una riorganizzazione del sistema educativo della portata di quella che ha accompagnato l’industrializzazione”.

La costruzione dell’infrastruttura del sistema educativo per l’apprendimento permanente dovrebbe giovarsi di alcune esperienze in atto, e quindi basarsi su alcune caratteristiche che, ad esempio, già sono presenti nel progetto della Rete dei servizi di facilitazione digitale:

  • capillarità, intesa come presidio fisico nei territori (pensiamo alle scuole e ai punti di facilitazione digitale) e nelle sedi lavorative (secondo la logica delle palestre educative), a cui può collegarsi la rete digitale di offerta di servizi e contenuti educativi;
  • puntualità, intesa come proposizione di contenuti e percorsi di apprendimento immediatamente declinabili nelle attività quotidiane e lavorative;
  • dinamicità, in quanto è importante che i percorsi di apprendimento siano costantemente allineati alle esigenze dell’evoluzione della società onlife, in termini di contenuti e di metodologie.

La costruzione e la governance di questa infrastruttura diventa, allo stesso tempo, condizione e garanzia del presidio dell’adeguamento delle competenze della popolazione alle esigenze sociali ed economiche e quindi dell’efficace contrasto delle disuguaglianze.

Nella definizione attuale la rete dei punti di facilitazione digitale include oltre 3700 presìdi (anche itineranti) collocati in vari luoghi (ad esempio, biblioteche, sedi comunali, centri per l’impiego, aziende sanitarie, scuole) e con declinazione progettata rispetto alle esigenze del territorio e che ha già permesso di fornire un servizio di accompagnamento, facilitazione e formazione sul digitale e sull’IA a oltre due milioni di persone, di tutte le fasce d’età e di vari livelli di istruzione. Questa infrastruttura di presìdi può essere da base per l’apprendimento permanente, dove l’attenzione all’IA può e deve essere via via maggiore quanto più è fondamentale per le attività quotidiane.

Ma il tutto funziona se concepito in modo organico, in un duplice senso: rispetto alla filiera educativa, dalla scuola all’università ai luoghi di lavoro agli spazi pubblici, e anche in senso orizzontale e territoriale, rendendo organica l’azione da parte di più soggetti privati, pubblici e del terzo settore.

La strategia generale non può che considerare centrale l’affermazione del diritto soggettivo all’alfabetizzazione digitale e di IA e, di conseguenza, la costruzione delle condizioni perché possa essere positivamente richiesto. Tema cruciale e necessario. Esigenza collettiva per la sostenibilità e il futuro del nostro ecosistema.

guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati

0
Lascia un commento, la tua opinione conta.x