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Il cyberbullismo dilaga tra i giovani: i dati dell’emergenza



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Il Rapporto Istat 2025 fotografa la diffusione di bullismo e cyberbullismo tra gli 11-19enni. Le vittime più vulnerabili sono i preadolescenti, i ragazzi di sesso maschile e i minori di origine straniera, con percentuali allarmanti

Pubblicato il 28 ott 2025

Marco Mondello

Officina Informatica Diritto Etica Tecnologie, CRID – Unimore; ESSE-Ci Centro Studi



cyberbullismo e giovani

IIl cyberbullismo amplifica e trasforma le dinamiche del bullismo: messaggi, immagini e derisioni circolano senza limiti di tempo e spazio, raggiungendo platee potenzialmente indefinite. A differenza delle aggressioni nei contesti fisici, online l’offesa può essere immediata e continua: da qui la necessità di distinguere con precisione forme, frequenza e impatti delle condotte.
I dati raccolti dall’ISTAT nel Rapporto 2025 documentano l’estensione di un fenomeno che attraversa gli spazi digitali senza confini temporali né geografici, coinvolgendo la maggioranza degli adolescenti del Paese.

Il Rapporto dell’ISTAT Bullismo e cyberbullismo nei rapporti tra i ragazzi

Il 26 giugno 2025 è stato pubblicato il Rapporto Bullismo e cyberbullismo nei rapporti tra i ragazzi, curato dall’ISTAT, che raccoglie dati analizzati su un campione di ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 19 anni residenti in Italia, le cui risposte si riferiscono all’anno 2023. Questo documento rappresenta una preziosa fonte di informazioni, e di numeri, rispetto a un fenomeno – quello del (cyber)bullismo – che nello scenario contemporaneo sta assumendo contorni sempre più estesi e, per alcuni versi, imprevedibili.

Alcune differenze tra bullismo e cyberbullismo

È convenzionalmente riconosciuto che, se le forme di bullismo “tradizionale” si esplicano negli spazi fisici, a partire dalle scuole (ma in generale qualunque altro ambiente associativo vissuto da persone di minore età), rimanendo confinate nel tempo e nello spazio di permanenza in questi luoghi, le pratiche di cyberbullismo non presentano le stesse limitazioni: i messaggi offensivi o derisori (che siano privati o meno) possono essere inviati in qualunque momento, a condizione che si sia connessi alla rete. Al contempo, immagini, parole, contenuti lesivi della dignità, rischiano sempre di essere visti da un numero potenzialmente indefinito di soggetti, attraversando tutti i confini, rendendo imprevedibile il potenziale offensivo di queste condotte.

Questa è una delle ragioni che hanno suggerito un’importante distinzione nella definizione normativa dei due fenomeni: si possono configurare come forme di bullismo – alla lettera della L. 70/2024 che modifica la L. 71/2017 – solo aggressioni o molestie reiterate mentre, con riferimento alla definizione di cyberbullismo proposta dalla medesima norma, è sufficiente un solo comportamento offensivo.

L’estensione del fenomeno: vittime e frequenza degli episodi

La sopracitata distinzione aiuta anche a comprendere la rilevanza del primo, e più evidente numero, che emerge dal Rapporto Istat: il 68,5% dei giovani tra gli 11 e i 19 anni afferma di essere rimasto vittima di almeno un comportamento offensivo non rispettoso e/o violento, online e/o offline. Il 21% dichiara di essere rimasto vittima di bullismo (dunque, di forme di violenza connotate dalla reiterazione) più volte al mese. L’8% degli intervistati, infine, dichiara di subire forme di (cyber)bullismo più volte a settimana. Si tratta di numeri significativi, che testimoniano un’endemicità delle forme di violenza e un’espansione delle stesse attraverso gli spazi digitali: se più della metà di giovanissimi e giovanissime hanno subito almeno una forma di offesa o prevaricazione (digitale o non), più di un quinto degli adolescenti e pre-adolescenti si trova a subirle con allarmante frequenza. È d’altronde estremamente semplice produrre un contenuto, un’immagine o un messaggio di offesa online, specie nella considerazione che, secondo quanto affermato da un precedente Report ISTAT del 2024 dal titolo Nuove generazioni sempre più digitali e multiculturali, quasi l’85% dei giovani tra gli 11 e i 19 anni residenti in Italia dispone di almeno un profilo su un social media tradizionalmente inteso (Instagram, TikTok, Facebook, etc.). Va considerato, tuttavia, che atti e pratiche di cyberbullismo si possono consumare anche su applicazioni di messaggistica istantanea (WhatsApp, Telegram, Discord, etc.) e in spazi dalla configurazione più sfumata quali gruppi e lobby di videogiochi online: la possibilità di interagire con e tra giovanissimi e giovanissime online è, dunque, praticamente sempre aperta.

I preadolescenti come fascia più esposta alle violenze reiterate

Il Report Istat del 2025 indica poi un altro dato significativo: ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 13 anni sono più soggetti a condotte lesive reiterate con maggiore frequenza rispetto ai loro corrispettivi tra i 14 e i 19 anni (23,7% contro 19,8%). Le interpretazioni di questo dato possono essere molteplici, ma centrali dovrebbero essere due fattori: un accesso incontrollato alla rete già a partire da età pre-adolescenziali, e una mancanza di consapevolezza nell’uso degli strumenti e degli effetti (anche rilevanti dal punto di vista normativo: sul punto, ex multis: N.P. Barbuzzi, Cyberbullismo, odio in rete e diffamazione nell’era digitale. Analisi giuridica e strategie di tutela, Duepuntozero, Roma, 2024) delle proprie azioni. Una mancanza di consapevolezza dovuta, anche, alla presunta capacità di rimanere quanto più anonimi, protetti da un account fake o dal semplice “schermo” di distanza.

Differenze di genere nelle modalità e nell’intensità degli attacchi

Un merito che va riconosciuto al Rapporto è quello di aver assunto una prospettiva attenta anche al genere. Un dato rilevante è che l’8,9% dei ragazzi afferma di essere stato vittima di cyberbullismo almeno una volta al mese, contro il 6,6% delle ragazze. Ulteriore dato che risulta oltremodo interessante è che, per quanto riguarda i ragazzi, le diverse forme di (cyber)bullismo si manifestano soprattamente attraverso offese e insulti: per il 16% degli intervistati, e per il 12,3% delle intervistate, queste sono le principali forme di violenza ricevuta online e offline.

Il rapporto si inverte se si prendono in considerazione le forme di esclusione sociale e altre modalità “indirette” di (cyber)bullismo: rappresentano le principali modalità di vessazione subite per il 12% delle ragazze e per l’8,8% dei ragazzi. È significativo che, sulla base di questi dati, sono i ragazzi ad essere più soggetti alle forme “direttamente” violente di cyberbullismo. Un fatto che assume ancora più valore considerato che – a partire da uno sguardo ampio al rapporto tra genere e spazi digitali – le forme di vulnerabilità legate alla condizione femminile trovano specifiche e inedite traduzioni online nelle forme dei divari digitali di genere (si veda, da ultimo, Th. Casadei, I divari digitali di genere: nuova frontiera del “costituzionalismo digitale”?, in “Diritto & Questioni pubbliche”, 2025 (special issue), pp. 7-24).

Nell’ambito del (cyber)bullismo, le ragazze si trovano più spesso esposte a comportamenti offensivi connotati dal genere: dalle diverse forme del cd. bodyshaming, fino a casi di “pornografia non consensuale” o cd. revenge porn).

La manosphere e le narrazioni tossiche che alimentano la violenza

Una delle possibili traiettorie da indagare per spiegare i precedenti dati è quella che analizza quelle narrazioni oggettificanti, sessiste e patriarcali, coltivate e proposte in quelle maglie della rete conosciute come manosphere.
È stato evidenziato come gli ambienti più legati alla manosphere siano quelli che offrono maggiore anonimato, e che si connotano per l’offerta costante di interazione e, dunque, scontro.

Sono, allo stesso tempo, ambienti maggiormente frequentati da giovani ragazzi e adolescenti i quali, proprio per tale ragione, sono più frequentemente esposti ad attacchi, insulti e derisioni provenienti da propri coetanei. Nella manosphere, chi non rispetta le caratteristiche del maschio dominante e breadwinner (chi, dunque, non riflette quegli stereotipi di genere tradizionalmente declinati al maschile), si trova esposto a diverse forme di insulto.

Nello stesso modo, e in scala ridotta, il ragazzo che si comporta con caratteristiche attribuibili all’universo degli stereotipi femminili sarà, in qualunque luogo, più frequentemente destinatario di offese, scherno ed esclusione.

L’impatto del background migratorio sulla vittimizzazione

Un ultimo dato che merita di essere osservato è quello relativo all’origine etnica delle vittime di (cyber)bullismo: se il 21% di tutti gli intervistati ha dichiarato di essere vittima di comportamenti offensivi, lesivi o denigratori in maniera ripetuta, la stessa percentuale aumenta significativamente quando si osservano unicamente ragazzi e ragazze dal background migratorio (per un inquadramento: Th. Casadei, L. Pierini, B. Rossi (a cura di), Sconfinamenti. Confronti, ricerche e analisi sulle “seconde generazioni”, Giappichelli, Torino, 2023), arrivando al 26,8%.
Tra alcune comunità etniche il fenomeno assume numeri anche più elevati: ragazzi e ragazze di origine rumena e ucraina sono più frequentemente vittime di atti di bullismo e cyberbullismo, con percentuali rispettive del 29,2% e del 27,8%.

Quando il cyberbullismo si intreccia con l’odio razziale

Le forme di bullismo e cyberbullismo possono molto spesso essere assimilate a forme di odio interpersonale (per approfondimenti: B.G. Bello, L. Scudieri [a cura di], L’odio online: forme, prevenzione e contrasto, Giappichelli, Torino, 2022), che prescindono dalle caratteristiche identitarie della vittima.

Pare tuttavia intuitivo comprendere come in molti casi – al netto dei motivi che contraddistinguono la condotta, propri del foro interno del (cyber)bullo – alcune componenti identitarie della vittima possono trovarsi alla radice di una maggiore frequenza delle offese, in motivo delle numerose manifestazioni di odio che alcune soggettività ricevono dentro e fuori la rete.

Questo è il caso delle persone con background migratorio, e dei giovani presi in esame che, privati di una propria individualità e di altre caratteristiche distintive, appaiono ai loro (cyber)bulli quali soggetti altri contro cui spendere offese, minacce, odio, alimentati da un sottobosco di stereotipi, pregiudizi e considerazioni peggiorative di determinate condizioni personali.

Oltre la repressione: la necessità di strategie preventive strutturali

I dati che emergono dal Report richiamano, in conclusione, la necessità di risposte strutturali e sistemiche che vadano oltre le modalità tipiche della repressione dei comportamenti devianti e violenti. Il fenomeno colpisce un numero significativo di ragazzi e ragazze, con conseguenze importanti sulla salute psico-fisica, sulla partecipazione alla vita sociale (scolastica, sportiva, associativa). Se la normativa odierna, rappresentata dalla L. 71/2017, rappresenta un approdo importante per gli strumenti che introduce (G. Viggiani, Il cyberbullismo: considerazioni socio-giuridiche a cinque anni dall’entrata in vigore della legge 71/2017, in B.G. Bello, L. Scudieri [a cura di], L’odio online: forme, prevenzione e contrasto, cit., pp. 123-136), al contempo non se ne può non sottolineare la fragilità applicativa in luce della mancanza di sufficienti risorse economiche.

Il tema dell’educazione digitale e, più specificamente, quello della prevenzione e del contrasto ad atti di violenza, odio on line e cyberbullismo (per una dettagliata trattazione si rinvia a M.N. Campagnoli, Diritto e nuove tecnologie. L’educazione digitale tra rischi e opportunità, in G. Viggiani [a cura di], La didattica del diritto. Paradigmi, casi ed esperienze, Ledizioni, Milano, 2022, pp. 53-84 e, da ultimo, a Th. Casadei, V. Barone, B. Rossi [a cura di], Giovani in rete. Guida per un uso consapevole delle tecnologie, Giappichelli, Torino, 2025) richiederebbero un piano strategico nazionale, sostenuto da adeguati investimenti.

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