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Il grande bluff dell’AI: è solo un nuovo “schema Ponzi”?



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L’analisi dell’Intelligenza Artificiale evidenzia come dietro l’entusiasmo si nasconda un modello economico insostenibile. I comportamenti dei principali attori del settore suggeriscono che la bolla potrebbe presto scoppiare, nonostante la narrativa predominante

Pubblicato il 7 mag 2025

Walter Vannini

Data Protection Officer autore del podcast DataKnightmare – L'algoritmico è politico (https://www.spreaker.com/show/dataknightmare)



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Human vs artificial intelligence concept. Business job applicant man competing with cartoon robots sitting in line for a job interview

L’Intelligenza Artificiale ci mostra il suo vero volto: dietro l’entusiasmo sfrenato e le promesse grandiose si nasconde un panorama ben più complesso e preoccupante.

Mentre manager, politici e giornalisti celebrano una rivoluzione tecnologica imminente, i segnali di mercato raccontano una storia diversa, fatta di investimenti insostenibili e modelli di business vacillanti.

La sorveglianza digitale quotidiana

Mi sono preso un paio di settimane di pausa. Come passa il tempo quando ci si diverte, diceva Ronald Reagan. 

Peccato che in questa clinica psichiatrica a cielo aperto dove viviamo non ci stiamo divertendo poi tanto.

Dopo il fallimento di 23AndMe, in seguito al quale i dati genetici di una quindicina di milioni di persone sarebbero finiti al miglior offerente, con ogni probabilità qualcuno con forti legami con uno o più servizi, la saga della allegra rivendita di dati personali raccolti per tutt’altro motivo prosegue. Indovinate chi altro sta fallendo?

Ricordate un certo robot pulisci pavimenti a forma di biscotto Ringo? Il Roomba, quello che già che c’era compilava una piantina dettagliata di casa vostra e per motivi mai sufficientemente chiariti la spediva al produttore?

Quello che a un certo punto ha aggiunto una telecamera in grado di riconoscere i volti delle persone che incontrava e perfino le marche degli oggetti e dei prodotti che vedeva in giro?

Nessuno ha mai spiegato che relazione ci fosse fra le nostre facce, le marche del nostro arredamento e della dispensa, e la qualità della pulizia dei pavimenti.

E adesso Roomba sta fallendo. E ovviamente anche in questo caso i dati che ha raccolto a casa vostra faranno parte degli asset venduti al miglior offerente.

E mi rendo conto che ci siamo assuefatti a vivere sotto sorveglianza h24 nelle nostre stesse case, che si tratti del celllulare, dell’aspirapolvere, del citofono, dello smart speaker, della smart TV.

Il vero prezzo di tutte le immaginarie semplificazioni che questo smartume dovrebbe fornirci ci sarà chiaro molto presto, purtroppo, e non ci piacerà per nulla.

Intendo dire che gli Stati Uniti non sono il solo posto dove occorre leggersi guide con titoli distopici tipo “Se proprio vuoi avere addosso un cellulare alla manifestazione, segui almeno queste precauzioni”.

Intelligenza artificiale e delirio collettivo

Ma almeno lo stato preoccupante dei diritti civili ha dei fondamenti razionali.

Invece, l’incessante tam tam che circonda i modelli linguistici o, come vengono erroneamente chiamati, l’Intelligenza Artificiale, non ha basi razionali, ma è un delirio maniacale che si è impossessato di vasti strati di popolazione, in particolare manager, politici, e giornalisti.

Volendo fare una rassegna, non la finiremmo mai.

Per esempio, il CEO di Spotify ha deciso che prima di assumere qualcuno, il dirigente di turno deve dimostrare che il lavoro non può essere svolto dalla cosiddetta IA.

A parte la follia logica di voler dimostrare un negativo, a me un’uscita del genere sembra la prova definitiva di uno scollamento completo fra il management e un qualunque senso della realtà.

In particolare, oggi fare il CEO è parte dello show business.

Da Jobs in poi, e specialmente quando si parla di modelli linguistici, i soli requisiti per la posizione sono un’identità pubblica che catturi e mantenga costantemente l’attenzione dei media e la capacità di restare seri dicendo una cosa oggi e il suo esatto opposto domani.

Per tutto il resto c’è la gente che lavora.

I tre temi dell’intelligenza artificiale contemporanea

Guardate Satya Nadella, Sundar Pichai, Ilya Sutskever, Sam Altman, Dario Amodei e ditemi che ho torto.

Ma appunto, a voler fare una rassegna non finiamo più. Io però caratterialmente sono sempre alla ricerca di un senso. Di una cornice interpretativa. E io vedo tre grandi temi collegati che, assieme, permettono di cogliere tutto quello che sta succedendo come un insieme armonico e non come la perdita collettiva della ragione che sembra.

Un primo tema è, ovviamente, la malattia mentale, la psicosi, che spiega il delirio religioso e la mania con cui i veri credenti parlano di AI a dispetto di ogni logica e di ogni evidenza.

Un secondo tema è che l’AI dei modelli linguistici è, come la blockchain, un gigantesco schema Ponzi, e chi ha già investito può recuperare i propri soldi solo coinvolgendo un altro livello di investitori; e questo spiega la crescita continua del livello delle promesse.

Fra gli ultimi arrivati contiamo:

Eric Schmidt, ex CEO di Google, che ha deposto davanti a una commissione del Congresso USA che la AI nei prossimi anni avrà bisogno del 99% dell’energia prodotta

– e Marc Andreessen, secondo cui la AI sostituirà tutti i lavori tranne il suo, che dipende esclusivamente dall’unicità del suo genio.

Fin qui la narrativa.

I segnali di cambiamento nell’intelligenza artificiale

Ma manca ancora qualcosa che spieghi le azioni anticicliche di giganti come Microsoft e Amazon, quelli che in questa corsa all’oro hanno venduto pale, picconi e setacci e hanno incassato alla grande.

Mentre OpenAI, GoogleAI, Anthropic e compagnia continuano a bruciare soldi come se non ci fosse un domani, perché un domani non c’e, AWS e Azure hanno avuto tre anni di vacche grassissime, che poi hanno reivenstito facendosi prendere anche loro dalla narrazione di rivoluzionari cambiamenti epocali.

Ma oggi stanno prendendo una direzione diversa da quella che ci indicano in modo sempre più isterico i vari Altman e compagnia.

Sappiamo che Microsoft ha cancellato piani per impianti energetici per oltre due gigawatt, l’equivalente di Londra e Tokio assieme.

E sappiamo che Amazon sta facendo lo stesso.

Sappiamo che ricercatori del calibro di Yann LeCun dicono che i modelli linguistici hanno ormai raggiunto il plateau, e che i progressi della AI, se ci saranno, verranno da tecnologie profondamente diverse.

E sappiamo che Gartner ha previsto una “estinzione” per i produttori di AI generativa. Lo ha fatto adducendo come ragione il fatto che i fornitori di servizi in cloud sono tre, e che quindi anche i produttori di GenAI alla fine rimarranno in tre, ma il punto è che anche questa è una direzione che contrasta con le affermazioni degli Altman di turno.

E infine sappiamo anche che OpenAI si offre graziosamente di acquistare Chrome, non si capisce con quali soldi visto che è la società più indebitata della storia. Dal canto suo il CEO di Perplexity ha annunciato che varerà un suo browser che traccerà ogni attività degli utenti per vendere annunci “iperpersonalizzati”. Non vedo l’ora, proprio.

Ora, credo possiamo essere d’accordo che questa gente ha perso ogni contatto con la realtà, ma soprattutto se openAI e Perplexity sentono l’improvviso bisogno di alzare la posta e risucchiare la totalità della nostra vita digitale per alzare due soldi, significa che la loro meravigliosa AI funziona un pelino meno di quello che ci raccontano, altrimenti non si spiegherebbe come mai OpenAI perda soldi con ogni query, indipendentemente dal tipo di abbonamento.

Il futuro dell’intelligenza artificiale tra narrativa e bilanci

Per inciso: nel mondo reale questo vorrebbe che openAI non ha un modello di profitto e dovrebbe chiudere domattina; ma nel magico mondo di unicorni e startup, questa logica antica sembra non applicarsi più.

Ecco.

Se uno mette assieme tutto quello che sappiamo davvero, in opposizione a quello che ci raccontano, allora la psicosi non è il solo motivo per il quale le promesse dei venditori di fumo sono sempre più strillate e sempre più roboanti: c’è anche la paura e la necessità di saltare su un altro carro.

La mia impressione è che la marea della IA stia cambiando, e che questo spieghi sia i comportamenti pro-ciclici che quelli anticiclici:

  • da una parte il panico si stia impossessando di zeloti e investitori degli schemi Ponzi che sentono che la pacchia sta per finire e vogliono realizzare il realizzabile lasciando il cerino in mano al livello successivo;
  • e dall’altra, chi ha venduto pale e picconi e ne ha già tratto profitti importanti, Azure e Amazon, fiuta la stessa aria ed evita di investire soldi a vuoto per rispondere una crescita che non ci sarà.

Il caso Blodget e l’intelligenza artificiale immaginaria

C’è un particolare episodio di questi ultimi giorni che può venire spiegato proprio con il sentirsi il fiato sul collo: il cofondatore ed ex CEO di Business Insider, Henry Blodget, ha usato la AI generativa per crearsi un “dream team” che lo aiutasse a gestire la sua newsletter su Substack.

Secondo Blodget, l’arrivo degli strumenti AI lo ha fatto sentire come se avesse vissuto nell’età della Pietra, il che appunto ci dice molto sul contatto che gente a quei livelli ha con il lavoro, e perciò si è messo al lavoro per crearsi una “newsroom AI nativa” di aiutanti immaginari.

Uno di questi aiutanti immaginari, che ha voluto chiamare Tess Ellery, e dotare di una identità femminile perché sì, aveva come specialità di “costruire e far scalare aziende nel settore dei media digitali”. Ricordiamoci che stiamo parlando di un amico immaginario, noto con il nome di mercato di “agente AI”.

Non appena l’AI generativa ha prodotto una foto-profilo dell’assistentessa immaginaria, Blodget confessa di avere avuto, parole sue, una “reazione molto umana”, cioè si è messo a fare il mollicone dicendole “you look great”, che è la versione anglosassone e sessuofoba di “quanto sei figa”.

Dopodiché il Nostro ci racconta anche di essersi fatto, sempre da solo, una ramanzina stila “convocazione dal Personale”, perché, sempre parole sue, in un moderno ufficio di esseri umani un comportamento del genere sarebbe inappropriato.

Sappiamo tutto questo perché lo stesso Blodget lo ha rivelato in un post al di là dell’imbarazzante.

Ora, per quale motivo qualcuno dovrebbe esporsi a una tale quantità di ridicolo? Ve lo dico io: per portare avanti la tesi che gli “agenti” AI sono una realtà così vera (e quindi così degna di investimento) che il marpione di turno non può evitare di tampinare l’agentessa con l’avatar da figa.

E se, oltre a un livello notevole di stupidità, questo non è un comportamento dettato dal panico, non so cosa possa esserlo.

IA, una marea che ha già iniziato a calare

Non so predire i tempi perché non sono la Pizia, ma tutto mi dice che la marea ha già iniziato a calare. Chi ha fatto i soldi li porta in banca, e chi ha puntato tutto sullo schema Ponzi comincia a cercare sempre più istericamente qualcuno da lasciare con la patata bollente in mano.

Da una parte ci sono i signori della narrativa, i venditori di fumo alla Altman e speculatori del tipo Ponzi alla Andreessen, mentre dall’altra ci sono i signori dei bilanci.

E nell’eterna lotta fra la narrativa e i bilanci, alla fine i bilanci vincono sempre.

Tutto questo passerà, come passa tutto, e quando sarà passato dovremo fare solo una cosa: ricordarci

  • di tutti i venditori di fumo che si sono gonfiati le tasche,
  • di tutti i sicofanti che si sono gonfiati la carriera,
  • di tutti gli “esperti” a gettone che cianciavano di sostituire ogni lavoro con la AI, tranne naturalmente il proprio
  • e di tutti quelli che giuravano e spergiuravano che i modelli linguistici erano il futuro evidente e inevitabile, e che le sole alternative erano integrarsi o morire.

Dovremo ricordarci di tutti loro, e non lasciare che la passino liscia e saltino sul prossimo carro.

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