L’Organismo Congressuale Forense (OCF) ha lanciato un appello forte e chiaro: senza una riforma strutturale del sistema penitenziario, ogni investimento rischia di essere vano.
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La crisi del carcere italiano tra emergenza e inefficienza
Con l’evento “Le persone dimenticate”, svoltosi presso il CNEL a pochi giorni di distanza da un’importante iniziativa dello stesso organo costituzionale col Ministero della Giustizia, l’OCF ha denunciato con dati e testimonianze la profonda crisi del carcere italiano: sovraffollamento, degrado, carenza di personale e un sistema che produce sofferenza anziché riabilitazione.
I numeri parlano chiaro: 62.722 detenuti a fronte di 46.706 posti disponibili, per un tasso di sovraffollamento del 134,29%. Le condizioni inumane delle strutture non solo negano la funzione costituzionale della pena, ma mettono a rischio la salute e la dignità di detenuti e operatori. La detenzione, così com’è oggi concepita e realizzata, fallisce nella sua missione educativa e sociale.
Riqualificare le strutture e ampliare le misure alternative: tre direttrici per la riforma del carcere
È in questo contesto che l’OCF rivendica un ruolo attivo e propositivo, individuando tre direttrici prioritarie di intervento.
La prima riguarda la necessità di investimenti infrastrutturali, non solo per costruire nuove carceri, ma soprattutto per riqualificare quelle esistenti, creando spazi dignitosi e funzionali per attività formative, lavorative e affettive. Occorre ripensare radicalmente gli ambienti detentivi, superando il modello della segregazione passiva e valorizzando la dimensione relazionale, educativa, professionale.
La seconda si concentra sull’ampliamento delle misure alternative alla detenzione, valorizzando strumenti come le comunità terapeutiche, le case famiglia, i servizi sociali e i percorsi di messa alla prova. Si tratta di scelte già sostenute da normative e buone pratiche, che però faticano a trovare piena attuazione per mancanza di risorse, coordinamento e volontà politica.
La terza si fonda sulla riforma del processo esecutivo, con semplificazioni procedurali, maggiore efficienza nei procedimenti di sorveglianza e rafforzamento del ruolo della difesa, anche attraverso la formazione specialistica degli avvocati e il dialogo interdisciplinare con gli operatori del settore. La giustizia dell’esecuzione non può essere la sorella minore del processo penale: deve diventare uno snodo strategico della tutela dei diritti.
Digitalizzazione del sistema penitenziario come leva di cambiamento sociale
Al cuore della proposta OCF c’è anche la digitalizzazione del sistema penitenziario, intesa non come mero ammodernamento tecnico, ma come leva di cambiamento sociale e giuridico. La digitalizzazione può trasformare il carcere da spazio punitivo a luogo abilitante, favorendo percorsi individualizzati di reinserimento. Può introdurre logiche di trasparenza, monitoraggio e tracciabilità, riducendo l’opacità burocratica e i margini di disfunzionalità, ma soprattutto può ridare alle persone detenute l’accesso alla conoscenza, alla comunicazione, alla cittadinanza attiva.
Il progetto SISL per l’inclusione lavorativa digitale
Una spinta in questa direzione arriva anche dal progetto SISL – Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa, sviluppato in ambito Assegno di Inclusione e ora introdotto sperimentalmente in otto istituti penitenziari italiani. La piattaforma, illustrata durante l’evento “Recidiva Zero” promosso dal CNEL con il Ministero della Giustizia, consente l’inserimento anonimizzato dei profili dei detenuti per favorirne l’accesso al mercato del lavoro, tutelando la privacy e contrastando la discriminazione. È un primo esempio concreto di come la tecnologia possa abbattere barriere, rendere visibili le competenze e le aspirazioni di chi vive la reclusione, e facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in una logica di inclusione reale.
Efficacia dei percorsi di reinserimento basati su lavoro
Secondo i dati di Confcooperative Federsolidarietà, l’efficacia di approcci integrati basati su lavoro e formazione è evidente: su 100 detenuti coinvolti in percorsi di reinserimento nelle cooperative sociali, meno di 10 tornano a delinquere. Ogni euro investito genera un ritorno sociale rilevante, dimostrando che un’alternativa è possibile. La recidiva non è un destino ineluttabile, ma il prodotto di un sistema che non sa o non vuole investire sul potenziale umano delle persone.
Formazione digitale, relazioni e amministrazione efficiente
Per l’OCF, tuttavia, esperienze come SISL devono rappresentare solo un primo passo. Serve una visione di sistema che includa la formazione digitale ed e-learning, con corsi professionalizzanti e certificazioni spendibili nel mercato del lavoro. Occorre sviluppare il lavoro da remoto, in settori come programmazione, assistenza clienti, data entry, traduzioni, offrendo nuove opportunità anche a chi è recluso. È altrettanto fondamentale sostenere i legami affettivi e sociali dei detenuti, attraverso strumenti digitali per il dialogo a distanza con familiari, operatori sociali e terapeuti. La cura delle relazioni è una componente essenziale della riabilitazione, e le tecnologie, se ben gestite, possono diventare alleate preziose in questo senso. Infine, è urgente snellire la gestione amministrativa interna, digitalizzando documenti, comunicazioni e attività operative, per liberare risorse da destinare al supporto educativo e progettuale. Un carcere più efficiente dal punto di vista gestionale è anche un carcere più umano e funzionale nei suoi obiettivi.
Necessità etica della trasformazione digitale del carcere
La trasformazione digitale del carcere, avverte l’OCF, non è un’utopia, ma una necessità etica e costituzionale. Richiede investimenti mirati, formazione del personale, sinergie istituzionali e un piano per superare il digital divide. Ma soprattutto, serve la volontà politica di fare del carcere non un margine, bensì una frontiera di legalità, dignità e innovazione sociale. Un’istituzione che, anziché produrre emarginazione, diventi laboratorio di cittadinanza attiva, responsabilità individuale e coesione collettiva.
Solo così sarà possibile rendere il sistema penitenziario uno strumento autentico di giustizia, reintegrazione e sicurezza collettiva. Non basta parlare di rieducazione: bisogna costruirla giorno per giorno, anche attraverso lo schermo di un computer, la connessione a una rete, la possibilità di un dialogo. E trasformare davvero il tempo della pena in una occasione di rinascita.









