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Il metadominio: così sta cambiando società ed economia



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Un concetto per rappresentare la realtà e gli impatti dei fenomeni su ogni aspetto della società: ecco tutto quello che bisogna sapere sul metadominio

Pubblicato il 26 ago 2025

Paolo Zanenga

presidente Diotima society



L’innovazione digitale nel Life Science: le priorità di investimento; metadominio Scienze della vita in Italia intelligenza artificiale e lavoro; Ecosistema salute, quando l’innovazione incontra l’investimento
transumanesimo

Nell’attuale contesto globale convivono le economie a ritorni decrescenti (industriali) e le emergenti economie a ritorni crescenti (cognitive). Le seconde, in cui operano agenti che non producono semplicemente oggetti o servizi, ma costruiscono modelli generativi, abilitando una long tail di innovazioni, richiedono non solo ambienti, veicoli e strumenti, ma un’infrastruttura di tipo completamente nuovo, che oggi non solo è resa possibile dalle nuove tecnologie della rete, ma si configura come un alveo ideale per la loro applicazione e sviluppo.

Il metadominio ha questa missione, di costituire una nuova infrastruttura cognitiva e tecnologica, dove la produzione diviene effetto e non premessa dello scambio, e la conoscenza genera valore in quanto inserita in ecosistemi interpretativi che trasformano in modo disintermediato capitale cognitivo in capitale finanziario e viceversa.

Che cos’è il metadominio

Il metadominio (che con le varianti Metadominio o metadominio in italiano e in altre lingue è un concetto registrato sotto la legge europea da Diotima Institute) è uno spazio cognitivo generativo, capace di trasformare la conoscenza (esplicita e implicita) in valore sistemico condiviso, con impatti misurabili nei contesti economici e sociali. Si configura come uno spazio di relazioni topologiche che aggrega risorse tacite, conoscenze diffuse e visioni collettive per emergere come un agente intelligente e consapevole, in grado di costruire propri valori, interessi, visioni ed elaborare feedback e strategie.

A differenza dei modelli istituzionali classici – rigidi, estrattivi, gerarchici – il metadominio opera come nodo intelligente in un ecosistema complesso secondo logiche adattive e co-evolutive, attivando flussi informativi, cognitivi e finanziari in grado di produrre impatti a ritorno crescente.

Il metadominio si basa sulla consapevolezza della transizione epistemica e della necessità di rispondere alla conseguente transizione valoriale, bivio che separa la crisi incombente sui sistemi chiusi attualmente prevalenti, dalla possibilità di espansione esponenziale aperta dalla nuova frontiera della Conoscenza.

Transizione epistemica e il nuovo paradigma della cognizione

La concezione moderna del mondo si fonda su un’idea di separabilità e riduzionismo, derivata dal razionalismo, che ha imposto una visione analitica, causale e misurabile della realtà. Tuttavia, gli sviluppi della scienza nel Novecento hanno messo in crisi questi presupposti, evidenziando i limiti dei modelli classici, basati sulla distinzione netta tra soggetto e oggetto, e sulla pretesa di osservazioni neutre in uno spazio-tempo indipendente dall’esperienza.

Questa “transizione epistemica” ha portato studiosi di discipline molteplici e diverse tra loro, da Heisenberg a Gödel, da Bateson a Jung, da Vernadskij a Teilhard de Chardin, a convergere verso una nuova visione: interconnessa, non-lineare e orientata alla complessità. Le scienze della vita, a lungo marginalizzate dal paradigma fisico-matematico, sono tornate centrali grazie alle neuroscienze, alla cibernetica e all’epistemologia dei sistemi viventi. In questo nuovo scenario, la vita non è più vista come oggetto passivo, ma come processo cognitivo creativo e pervasivo, dove anche le cellule e gli ecosistemi partecipano attivamente all’elaborazione della realtà.

Il concetto di cognizione incarnata (embodied) supera la mente come mero centro computazionale, includendo il corpo e l’ambiente come elementi fondamentali dell’intelligenza. L’organismo è un sistema aperto che apprende e si adatta in modo situato, esperienziale e interattivo.

La nuova organizzazione del sapere parte dalla fine della fisica come fisica di oggetti, perché l’osservatore non è un soggetto separabile dall’osservato, e l’informazione è realtà, non rappresentazione della realtà: un ribaltamento rispetto all’idea convenzionale (e materialista) di conoscenza.

Che cos’è la constructor theory

Lo studio dei fenomeni fisici non solo non è incompatibile con il proposito di far convergere i piani del visibile e dell’invisibile, ma anzi lo presuppone, in quanto come sostiene Chiara Marletto, esponente della Constructor Theory: “[…] tutti i livelli di spiegazione sono necessari per afferrare una data situazione […]. I livelli di spiegazione operano insieme come strati di una torta, per cui è impossibile coglierne appieno il sapore ignorando gli strati superiori e considerando esclusivamente la base”[1].

La Constructor Theory è uno degli approcci che tendono a conciliare visione sistemica e metodo scientifico: invece di descrivere il mondo in termini di traiettorie, condizioni iniziali e leggi della dinamica, ci si pone lo scopo di distinguere quali trasformazioni siano possibili e quali impossibili, e perché. Secondo David Deutsch il cambio di prospettiva è radicale, e consente di includere nel campo della fisica fondamentale tematiche finora intrinsecamente approssimative, come le scienze cognitive, le scienze della vita, la computer science, la termodinamica, e altre.

La conoscenza è così concepibile come un processo vitale e sistemico che attraversa livelli cosmici, biologici e culturali. Il sapere emerge dalla relazione tra un sistema vivente (o intelligente) e il suo ambiente, generando pattern significativi a partire da riserve cognitive interne. Questo processo cognitivo è la techne: la capacità di tessere connessioni significative tra ciò che si percepisce e ciò che è possibile (affordance).

L’integrazione della conoscenza nella realtà, la sua inseparabilità da materie ed energia, supera il dualismo moderno tra caso e necessità, sostituendolo con la dicotomia antica tra caos e cosmo. La realtà non è governata da leggi fisse e universalmente applicabili, ma da trame che emergono dinamicamente in relazione all’osservatore – inteso non come soggetto umano, ma come linea osmotica nella rete vivente – tra dentro e fuori, tra prima e dopo.

La natura del sapere

La conoscenza può attraversare fasi diverse: emersione, stabilizzazione, chiusura, morte cognitiva. Nel suo ciclo, la conoscenza può ramificarsi, generare nuove linee evolutive, o bloccarsi nella specializzazione, come avviene con la differenziazione cellulare. La differenza sta nel valore della riserva cognitiva che il sistema ha costruito lungo la sua storia. Come la carica di una batteria in un sistema elettrico autonomo, la riserva cognitiva di un sistema dovrebbe essere sempre oggetto di monitoraggio. Se viene a mancare, il circuito della conoscenza va in crisi e con esso la vita di tutto il sistema.

Il sapere non è dunque una somma di parti, ma un fenomeno sistemico, circolare e autopoietico, che non risiede solo nei cervelli ma nelle connessioni tra parti di un sistema: connettomi, genomi, biomi, reti sociali, web, IA. Tutti questi sistemi condividono la capacità di auto-organizzarsi e rigenerarsi. Sono sistemi aperti che trasformano continuamente se stessi e il loro ambiente.

Per questo ogni parte di un organismo implica il tutto. Questo “ordine implicato”, consente processi di riparazione e autoriproduzione. La cognizione incarnata mostra che la conoscenza coinvolge corpo, ambiente e storia evolutiva. La vita stessa è un processo cognitivo.

Il nuovo modello di universo a cui tendiamo non è una macchina fatta di ingranaggi separabili, ma un organismo vivente, interconnesso e in continua trasformazione. In questa visione, società e tecnologia non sono entità separate: la techne integra sapere, azione, informazione, e diventa la trama con cui l’uomo tesse il suo mondo.

Parlare di vita come cognizione significa riconoscere che il sapere nasce da reti intelligenti che costruiscono se stesse: sistemi in grado di creare i contesti che li rendono possibili (enaction). Alla base della conoscenza c’è l’aisthesis – una percezione profonda – che genera vita e significato. Il sapere è stratificato, radicato in archetipi condivisi e in un inconscio collettivo che si estende oltre il singolo individuo. I contesti cognitivi sono ecosistemi emergenti in continua evoluzione.

Le idee emergenti

La nuova organizzazione della conoscenza si arricchisce dunque di alcune idee emergenti:

Il processo cognitivo-vitale, che sembra comune ai livelli cosmologico e biologico, e si continua in quello culturale (linguistico, tecnologico, economico-politico…).

La condizione di fitness tra una riserva di conoscenza del nostro sistema (corrispondente a una riserva di opzioni attivabili, come nel genoma) e una determinata relazione strutturale col suo ambiente (percezione-aisthesis), che innesca l’emersione di un pattern (creazione-genesis).

L’emersione della trama, o pattern, che contrassegna i momenti generativi, corrisponde quindi a una connessione tra una traccia percepita e una possibilità implicita nella riserva cognitiva del sistema.

La transizione valoriale e la trasformazione dell’economia

La Transizione Epistemica mette in discussione le fondamenta culturali e strutturali del sistema economico-industriale, fondato su modelli proprietari, centralizzati e lineari. Le organizzazioni storiche (aziende, istituzioni) si sono sviluppate secondo paradigmi che si rifanno all’epoca agraria, poi industriale, e oggi risultano sempre più disallineate rispetto al cambiamento tecnologico, cognitivo e sociale in corso: le “sticky resources” (risorse obsolete ma vincolanti) bloccano l’innovazione, mentre le imprese industriali perdono capacità generativa.

Le diverse ondate digitali (dal web agli smartphone, fino all’IA e al quantum computing) hanno smaterializzato le basi operative e valoriali del sistema produttivo. Il “potere di scala” perde rilevanza: obsolescenza rapida, personalizzazione dei consumi e decentralizzazione produttiva (prosumer) rendono inefficaci i modelli industriali centralizzati. La rete della conoscenza e l’interazione distribuita diventano i veri fattori strategici.

Settori come la sanità devono passare da approcci standardizzati a modelli di medicina di precisione e persona-centrica, analoghi alla transizione produttiva verso la co-creazione. La vera risorsa cognitiva per tutto ciò risiede nella conoscenza tacita, situata, non riducibile a dati o codici espliciti. L’epistemologia industriale ha trascurato questa risorsa, portando alla marginalizzazione di mestieri, arti e patrimoni culturali profondamente legati all’implicito.

Modello industriale e cognitivo

Questa rimozione è la radice della crisi della sostenibilità, non solo ambientale ma anche economica. Le economie industriali, concentrate su produzione-consumo, separate tra pensiero ed esecuzione, omologate e gerarchiche, non riescono più a remunerare né il lavoro né il capitale. È dunque necessario un cambio di paradigma, fondato su connessioni, reti, differenziazione. Possiamo usare una maetafora: il passaggio dal chronos al kairos.

Il tempo dell’industria è il chronos: sequenziale, pianificabile. Ma il nuovo tempo cognitivo è kairos: il momento opportuno, irripetibile. Il concetto di dwell time digitale (es. tempo di permanenza su una pagina web o finestra d’azione per un virus) diventa centrale. È il tempo dell’evento, della conoscenza emergente, che non nasce dal dato in sé, ma dalla sua immersione in sistemi viventi. Gli schemi deterministici e lineari sono superati dall’entanglement, cioè dalla connessione dinamica e non gerarchica tra elementi. I sistemi non si evolvono per piani prestabiliti ma per accoppiamenti strutturali con l’ambiente, auto-producendosi (autopoiesi). Codici e linguaggi – genetici o informatici – generano valore se integrati in ambienti capaci di interpretazione e creazione di significato.

Le innovazioni e i pattern che cambiano la società non sono generati da strutture chiuse, ma emergono da sistemi aperti e relazionali. Tuttavia, la teoria economica e il management classico trattano queste emersioni come eccezioni, e continuano a focalizzarsi su transazioni e processi noti, perdendo così le opportunità più dirompenti. La valorizzazione della conoscenza tacita, la costruzione di reti relazionali intelligenti, l’adozione di logiche sistemiche e non meccanicistiche, sono i fondamenti di un nuovo ecosistema di valore.

Occorre una teoria del valore interna alla teoria che riconosce la vita come processo cognitivo e che per questo disconosce l’identificazione di limitato e finito, quale si presenta nell’economia delle risorse scarse: può esserci generazione illimitata a partire da risorse finite, come nella morfologia di un frattale.

La generazione di sistemi con proprietà emergenti è un fenomeno con risvolti sociali, culturali ed economici di immensa portata, ma nelle policy pubbliche è sostanzialmente trascurato, o trattato come evento eccezionale. Si focalizzano le transazioni connesse allo scambio di merci o di altri beni rappresentabili in forma di quantità discrete e quindi contabilizzabili.

Gli impatti sulla società

Il disallineamento dei riferimenti istituzionali correnti che ne consegue è emerso ulteriormente con l’esplosione tecnologica degli ultimi decenni, e con la digitalizzazione del mondo, con cui la circolarità tra flussi di dati (che disegnano realtà virtuali, aumentate, estese, e moltiplicano infiniti gemelli digitali) e la costruzione di profili, attitudini, propensioni, giudizi di valore, comportamenti, è diventata pervasiva e in continua accelerazione.

Possiamo ben capire che una nuova illimitata frontiera si schiude davanti a noi, ma il nuovo percorso richiede di ripensare il nostro mondo e noi stessi: abbiamo bisogno di una nuova topologia della conoscenza, per superare i pregiudizi maggiori dovuti alle separazioni epistemiche che abbiamo costruito negli ultimi secoli, come oggetti-soggetti, società-natura, natura-cultura, mente-corpo…

La nuova condizione in cui stiamo entrando richiede quindi, almeno da parte delle élite e dei policy-maker, un elevato livello di consapevolezza di quanto profonda sia la trasformazione. Tuttavia, nonostante questa rivoluzione scientifico-filosofica, la politica e l’economia restano ancorate a modelli obsoleti: riduzionisti, utilitaristi, incapaci di valorizzare la complessità. Questo disallineamento si riflette anche nella struttura delle istituzioni scientifiche, sempre più chiuse in compartimenti specialistici e poco propense alla convergenza transdisciplinare.

La trasformazione non è solo tecnologica, ma epistemica e politica, e la sua asimmetria temporale (velocità diverse nei cambiamenti) genera crisi sistemiche.

Ontologia del metadominio

La nuova ontologia della conoscenza si fonda sull’idea di confine non come separazione, ma come membrana osmotica tra interno ed esterno. Questo spazio di relazione, definito da Vernadskij come “diaframma tra sensibile e intelligibile”, è il luogo in cui si attivano processi di co-evoluzione tra forma e materia, tra simbolo e significato.

Le forze archetipiche, intese come intelligenze collettive o cosmiche, sono state rilette in chiave psicoanalitica da Hillman e Jung. Gli archetipi sono pattern originari presenti nell’inconscio collettivo, che emergono nella coscienza attraverso simboli. Questi simboli, ricorrenti in miti, arte e religioni, veicolano i significati archetipali e costruiscono legami tra persone, società e culture: generano patrimoni culturali e naturali, espressioni di intelligenze connesse in rete. Il concetto di logos (legame simbolico e linguistico) connette i pattern emergenti ai simboli, generando reti organiche di conoscenza. Cassirer, con la figura dell’homo symbolicus, valorizza il ruolo del simbolo come fondamento della cultura umana. Il sapere si forma in modo circolare: i pattern archetipali emergono dalle riserve cognitive profonde, si esprimono in simboli, costruiscono cultura, e quest’ultima a sua volta alimenta la riserva cognitiva.

La connessione, non la semplice accumulazione di dati, è la chiave di questo ciclo generativo. Il design è un espressione di questa concezione: opera sulla connessione tra segni e simboli, generando ibridi cognitivi, anziché ridurre la complessità come fa l’analisi classica.

La conseguente ridefinizione della teoria del valore si fonda dunque su un paradigma ontologico e assiologico rinnovato: la ricchezza non si scambia, ma si genera nei centri di densità cognitiva. Il metadominio permette il superamento del dualismo micro-macro, in quanto interpreta i sistemi economici come fenomeni emergenti da attori interagenti su base semiotica e valoriale. In tale scenario, i metadomini diventano iperluoghi sistemici in grado di integrare comunità fiduciarie, tecnologie evolutive e visioni trasformative, ridefinendo l’impresa, la governance e i confini stessi dell’economia.

Tecnologie abilitanti e impatto sulla finanza

La struttura del Metadominio supporta l’applicazione di algoritmi complessi che interpretano sia le variazioni reali nel patrimonio di riferimento, sia i pesi e i valori espressi da una comunità aperta, globale e plurale, permettendo lo sviluppo di un neo-mercato in armonia con la transizione valoriale che abbiamo descritto.

Tecnologie come il Web3 (DLT, DAO, NFT, smart contract) e l’Agentic AI (IA autonoma ma allineata agli scopi di un contesto cognitivo) permettono la creazione di reti auto-organizzate di valore, in cui ogni dato è tracciabile, patrimonializzabile e attivabile per scopi emergenti.

La monetizzazione della conoscenza implicita avviene attraverso strutture digitali fluide, come la tokenizzazione degli asset cognitivi e ambientali. Ciò consente di creare una nuova classe di strumenti finanziari capaci di internalizzare esternalità e anticipare valori a lungo termine. Il capitale finanziario, in questo modello, non fluisce verso asset stabili, ma verso pattern emergenti, reputazioni distribuite e design pattern ad alta capacità trasformativa. Il metadominio può così diventare un formidabile attrattore di capitali attraverso la valorizzazione di patrimoni illiquidi. Il collegamento del metadominio a una propria rappresentazione finanziaria liquida (es. tokenizzazione), abilita una nuova forma di investimento ibrido – speculativo e paziente insieme – con potenziali ritorni molto superiori rispetto alle organizzazioni economiche storiche. Attualmente i capitali per investimenti sistemici necessari per la Transizione scarseggiano perché la governance classica si è sviluppata per realtà stabili, frammentate e orientate al breve termine. Il metadominio invece crea le condizioni per attrarre capitali pazienti attraverso strumenti finanziari adeguati per valorizzare i servizi ecosistemici, che generano ricchezza nell’ordine di decine o centinaia di trilioni all’anno ma sono allo stato attuale invisibili.

Elementi distintivi del metadominio

DimensioneMetadominio
ConoscenzaImplicita, situata, emergente
StrutturaReticolare, distribuita, non-gerarchica
EconomiaRigenerativa, non estrattiva, a ritorni crescenti
GovernanceAdattiva, algoritmica, partecipata
InterazioniTransdisciplinari, multi-dominio, orientate al senso
FinanzaIbrida: speculativa e paziente, con asset sistemici

La trasformazione delle imprese e delle organizzazioni nell’era dei metadomini

Il metadominio rappresenta un nuovo tipo di realtà, coerente con lo scenario creato dalla tecnologia, in cui le organizzazioni tradizionali possono trovare lo spazio di manovra per affrontare un percorso di trasformazione profonda in modo non traumatico, anzi cogliendo lungo il percorso preziose opportunità e migliorando la capacità di anticipare rischi.

Abbiamo visto come in questo scenario la nuova impresa si configuri come un agente che cambiando gli equilibri valoriali che si creano nelle reti, attiva energie vaste e diversificate.

Ma come è possibile che un’organizzazione attuale possa accedere a questa trasformazione? O si trova di fronte a una discontinuità insuperabile?

Un passo preliminare per un’impresa in essere è quello di comprendere se, come, e quanto già nel presente svolga un ruolo generativo nelle reti. Classificare le attività che formano i processi di business secondo il tipo di trasformazione che operano nel sistema dal punto di vista della conoscenza consente di distinguere tra (1) attività associate alla capacità di combinare e riconfigurare conoscenza esplicita, e (2) attività connesse a conoscenza implicita, o tacita. Queste conoscenze sono frutto di un processo di accumulo la cui storia merita di essere investigata, e la cui rilevanza in termini patrimoniali è imponente e strategica, ma spesso non evidente: un tipico “patrimonio nascosto”. Spesso queste attività – e i corrispondenti talenti e attitudini – sono di poche persone all’interno dell’azienda, e spesso scoraggiate nella larga parte dell’organizzazione formata da persone con ruoli esecutivi.

Riconoscere gli attori di questi ruoli, capirne le dinamiche e le motivazioni, comprendere in che modo sono rilevanti nello sviluppo dell’agire, e quali risorse li alimentano, è ovviamente importante. Spesso però ci si renderà conto di quanto poco questo sistema fondamentale per la vita dell’impresa sia captato, misurato e valutato dalle pratiche e dalle metriche aziendali: niente di strano, dato che queste ultime sono frutto di un’attenzione al funzionamento ordinario del business, con un alto grado di prevedibilità.

Al contrario, la creazione della conoscenza non è prevedibile “a priori”, implica quindi un rischio intrinseco, che sfugge a qualsiasi valutazione probabilistica e non può essere gestito con le consuete procedure di riduzione del rischio. Da qui la sua estraneità al management tradizionale. Invece il metadominio si basa su una rete interattiva, e il numero di agenti, insieme al tasso di diversità che mostrano, aumenta il numero di potenziali sviluppi e nello stesso il tempo diminuisce il tasso di rischio, grazie a una migliore comprensione di ogni possibile percorso. Le dimensioni della rete, la diversità e l’apertura sono fattori chiaramente positivi in un sistema complesso: influenzano il grado di avvicinamento di un sistema a un ecosistema, prospettiva questa che il Metadominio apre a ogni singola impresa che lo partecipa.

Questa trasformazione dell’impresa, fino alla sua espansione “oltre la disruption”, si sviluppa secondo percorsi evolutivi sinergici, che ne valorizzano cultura, valori, e risorse, ne estendono l’influenza oltre i confini organizzativi, ne sviluppano la capacità attrattiva nelle reti, permettono di creare scenari e tendenze, e di disegnare strategie di sistema.

La trasformazione avviene su diversi livelli, e coinvolge i diversi strati dell’impresa, dai più profondi ai più superficiali. Possiamo immaginare questa evoluzione dall’azienda chiusa all’ecosistema in espansione attraverso i metadomini.

L’evoluzione si compie con l’embodiment dell’impresa nell’ecosistema che ha generato (o contribuito a generare), dando un centro al campo gravitazionale che attrae energie e risorse, tra cui capitali, competenze, talenti, trendsetter, opinion leader, portatori di valori, operatori locali, e ne orchestra un’interazione armonica. Non si tratta più di un sistema chiuso che agisce reagendo ai cambiamenti esterni, ma di un sistema che pervade le reti e crea una sintonia con la loro vita.

Bibliografia

Testi dell’autore

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Note


[1] C. Marletto, La scienza dell’impossibile. Alla ricerca delle nuove leggi della fisica, Mondadori, Milano 2022, p. 35.

[2] V. I. Vernadskij, Biosfera, Nauk, Leningrad 1926, tr. it. La biosfera e la noosfera, Sellerio, Palermo 1999.

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