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Amazon e fisco italiano, perché l’accordo IVA cambia le regole dell’e-commerce



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L’accordo tra Amazon e il fisco italiano da 723 milioni va oltre l’entità delle cifre e rivela come sta cambiando il rapporto tra piattaforme digitali, IVA e responsabilità dei marketplace in Europa, in un contesto di controlli sempre più stringenti

Pubblicato il 12 dic 2025

Daniele Tumietto

Dottore commercialista



Accordo Amazon fisco italiano: cosa cambia per IVA e marketplace
amazon web services

Un accordo da 723 milioni di euro tra Amazon e il Fisco italiano per mancati versamenti Iva.

Grosse cifre che rimbalzano sui giornali.

Per chi opera nei settori fiscale e commerciale, però, è fondamentale andare oltre il titolo sensazionalistico. La recente chiusura della transazione tra Amazon e l’Agenzia delle Entrate non è solo una notizia di cronaca finanziaria: è un segnale concreto di come stia cambiando il rapporto tra economia digitale e sovranità fiscale .

Sulla base delle informazioni disponibili, Amazon ha siglato un accordo di dimensioni eccezionali con il fisco italiano. Si parla di circa 511 milioni di euro legati alla componente IVA, ma includendo gli ulteriori versamenti effettuati dalle società del gruppo il totale arriva a 723 milioni di euro.

Dietro questo assegno all’Erario non c’è solo un contenzioso chiuso, ma un cambio di paradigma che riguarda l’intero ecosistema dell’e-commerce e dei marketplace.

Amazon e fisco italiano: il contesto di una vicenda non isolata

L’episodio si inserisce in una storia ormai lunga, fatta di attriti strutturali tra la crescita del commercio digitale e un sistema fiscale costruito in un’epoca precedente alle piattaforme globali.

Regole IVA frammentate, catene logistiche complesse, venditori extra-UE e strutture multinazionali hanno prodotto nel tempo contenziosi rilevanti e chiusure transattive a importi elevatissimi.

Il caso Amazon rappresenta una sintesi efficace di questa tensione, mostrando come l’evoluzione normativa stia cercando di recuperare terreno rispetto alla velocità dell’innovazione tecnologica.

Il cuore del problema IVA nelle vendite online

Per comprendere davvero la vicenda è necessario entrare nel quadro normativo, perché il contenzioso nasce dal passaggio tra due epoche fiscali profondamente diverse.

Prima del 1° luglio 2021, il regime delle vendite a distanza era caratterizzato da soglie nazionali e da obblighi di identificazione frammentati. In questo contesto, il nodo interpretativo ruota attorno al concetto di giacenza in magazzino.

Se la merce di un venditore extra-UE si trovava fisicamente nei magazzini italiani di Amazon al momento della vendita, per il fisco si trattava di un’operazione interna, soggetta a IVA italiana fin dall’origine, rendendo la piattaforma parte attiva della catena distributiva.

Dal 1° luglio 2021 lo scenario è cambiato radicalmente con la riforma IVA dell’UE per l’e-commerce. L’introduzione dei regimi OSS e IOSS e il principio del Deemed Supplier hanno attribuito ai marketplace una responsabilità diretta su molte operazioni.

I problemi contestati ad Amazon nascono quindi in quella zona grigia tra il 2019 e il 2021, con volumi già da economia digitale avanzata ma regole ancora ancorate alla responsabilità del singolo venditore.

Un precedente diverso dal caso del 2017

Non è la prima volta che il colosso di Seattle si siede al tavolo con l’Agenzia delle Entrate, ma le differenze rispetto al passato sono sostanziali. Nel dicembre 2017, Amazon chiuse un accertamento con adesione per 100 milioni di euro relativo al periodo 2011-2015. 

All’epoca, però, il tema era completamente diverso: si discuteva di “stabile organizzazione”, di dove venissero generati gli utili e di quanto valore attribuire all’operatività italiana rispetto a quella della sede estera.

Era la classica battaglia sulle imposte dirette (IRES). Oggi, invece, il campo di battaglia si è spostato sulle imposte indirette (IVA) e sul ruolo della piattaforma quale garante della legalità degli scambi.

Amazon e fisco italiano nel nuovo scenario globale

La vicenda italiana si inserisce in un contesto internazionale in rapida evoluzione. Le Big Tech continuano a basare il proprio vantaggio competitivo su asset intangibili come algoritmi, brand e piattaforme, che rendono mobile la base imponibile.

È su questa logica che l’OCSE ha costruito il progetto BEPS e, più recentemente, il Pillar Two, che introduce una tassazione minima globale del 15% per i grandi gruppi multinazionali.

L’Italia ha recepito queste regole con il D.Lgs. 209/2023, e il 2025 rappresenta l’anno in cui emergeranno i primi effetti concreti, anche in termini di reporting e controlli.

Cosa insegna il caso Amazon alle imprese

Liquidare l’accordo come un problema che riguarda solo una multinazionale sarebbe un errore.

Questo caso funge da vero e proprio “stress test” per la compliance di qualsiasi azienda. Ecco tre spunti operativi concreti:

L’impatto della Global Minimum Tax

Anche per i gruppi italiani medio-grandi con controllate estere, la nuova imposta minima non è teoria. Incide sul calcolo del carico fiscale effettivo (ETR) e richiede processi di reporting molto più sofisticati.

Mappatura rigorosa dell’IVA

È vitale definire con precisione i ruoli all’interno della catena logistica. Chi è il venditore? Chi è la piattaforma? Chi figura come importatore? Capire quando applicare i regimi OSS/IOSS è fondamentale per evitare rischi.

Attenzione ai dati (Data & Compliance)

Le sanzioni più pesanti spesso non derivano dall’errore sull’imposta in sé, ma dalla mancata tracciabilità. Gestire i flussi informativi e i presidi interni, in particolare con i fornitori extra-UE, è diventato prioritario.

Una lezione di sistema

In conclusione, l’accordo tra Amazon e fisco italiano consegna una lezione chiara e poco rassicurante.

Quando l’asticella dei controlli si alza per i giganti del web, inevitabilmente si alza per tutti. Chiudere contenziosi a valle con accordi onerosi è un’opzione per pochi.

Costruire una compliance solida a monte, invece, è l’unico investimento davvero sostenibile per tutte le imprese che operano nell’economia digitale.

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