L’adozione di Bitcoin come asset di tesoreria aziendale non è più un fenomeno di nicchia riservato a pochi pionieri del settore tecnologico. Negli ultimi anni, un numero crescente di società quotate e non quotate ha iniziato a considerare le criptovalute come strumento per diversificare le riserve di liquidità, con implicazioni che vanno oltre la speculazione finanziaria.
Al centro di questa evoluzione si colloca una domanda apparentemente tecnica, ma dalle conseguenze profonde: come devono essere contabilizzate queste attività nei bilanci?
La risposta non è univoca e dipende in larga misura dalla giurisdizione in cui opera l’impresa. Le differenze normative tra Stati Uniti ed Europa sul trattamento contabile delle cripto-attività stanno creando un vero “arbitraggio contabile”, con ripercussioni sulle decisioni strategiche e sulla percezione del rischio da parte degli investitori.
Nel 2025 l’adozione di Bitcoin come “tesoreria” è diventata anche un fenomeno di mercato: crescono i veicoli e le società che accumulano BTC in bilancio, con effetti diretti su indicatori, comparabilità e aspettative degli investitori. Non è solo una scelta finanziaria, ma un tema di governance e reporting che sta entrando nel mainstream.
Indice degli argomenti
Bitcoin nei bilanci aziendali: perché la contabilità diventa strategica
La contabilità non è un dettaglio: determina come il mercato legge l’esposizione dell’impresa a Bitcoin. Una stessa posizione può produrre effetti molto diversi su patrimonio e conto economico, a seconda delle regole applicate.
Questo impatta anche la governance: policy di tesoreria, limiti di rischio, sistemi di controllo e comunicazione verso stakeholder diventano parte integrante della scelta di detenere cripto. In altre parole, la rappresentazione in bilancio può incidere quanto l’investimento stesso.
Stati Uniti: fair value e risultati che oscillano con il mercato
Negli Stati Uniti, il quadro è cambiato con l’intervento del Financial Accounting Standards Board (FASB) nel dicembre 2023. Le nuove regole stabiliscono che Bitcoin e altre cripto-attività vengano valutate al fair value (valore di mercato corrente), con un impatto diretto sul conto economico.
La conseguenza è immediata: ogni variazione del prezzo di mercato si riflette nei risultati dell’impresa. Se il valore sale, l’azienda registra un guadagno contabile; se scende, registra una perdita, anche senza vendere l’asset. È un’impostazione coerente con l’idea di massima disclosure verso investitori e stakeholder.
Bitcoin nei bilanci aziendali negli Usa: un esempio che chiarisce l’effetto
Per capire la portata del meccanismo, basta un caso semplice. Un’azienda acquista Bitcoin a un prezzo medio di 40.000 dollari e chiude il bilancio con un valore di mercato a 100.000 dollari: deve riconoscere un incremento patrimoniale rilevante.
Viceversa, un calo improvviso del mercato può generare perdite contabili importanti anche in assenza di vendite. In pratica, il conto economico diventa più sensibile alla volatilità del mercato crypto, e questo può cambiare il modo in cui analisti e investitori interpretano performance e rischio.
Europa: Bitcoin nei bilanci aziendali tra IAS 38 e prudenza contabile
In Europa lo scenario è diverso. In assenza di uno standard specifico, molte società che applicano IAS/IFRS ricondano Bitcoin alle categorie esistenti. La classificazione più comune è quella di attività immateriali ai sensi dello IAS 38.
Con questa impostazione, l’asset è iscritto al costo storico e sottoposto a test di impairment. Se il valore di mercato scende sotto il costo, l’impresa deve riconoscere una svalutazione.
Qui sta la differenza cruciale: quando il mercato torna a salire, quel valore non può essere rivalutato oltre il costo originario. Questo crea un’asimmetria che può rendere il bilancio meno “allineato” al mercato nei periodi di recupero.
Quando le svalutazioni restano “incise” nel bilancio
L’effetto pratico può essere controintuitivo. Un’azienda che abbia acquistato Bitcoin in un momento di prezzi elevati può registrare perdite in seguito a una correzione del mercato.
Se poi il prezzo risale ai livelli iniziali o li supera, la contabilità non sempre riflette quel recupero. Le correzioni negative, di fatto, tendono a cristallizzarsi, mentre i recuperi non hanno la stessa rappresentazione contabile.
L’opzione fair value e il nodo del “mercato attivo”
Esiste un’alternativa teorica: l’applicazione del fair value secondo l’IFRS 13, che porterebbe a un trattamento più vicino al modello americano.
Tuttavia, richiede l’esistenza di un mercato attivo che soddisfi requisiti tecnici precisi. Nella pratica, questa condizione non è sempre semplice da verificare per tutte le cripto-attività, e ciò limita l’adozione uniforme dell’approccio.
Società quotate: Bitcoin nei bilanci aziendali e disclosure più stringente
Per le società quotate che operano secondo IAS/IFRS, entrano in gioco ulteriori complessità. In Italia, la Comunicazione Consob dell’8 marzo 2023 ha richiesto un’informativa più dettagliata su rischi e volatilità delle cripto-attività detenute.
Le richieste toccano anche aspetti operativi: struttura dei mercati, modalità di custodia e rischi collegati. L’obiettivo non è bloccare l’investimento, ma assicurare che chi compra azioni di società esposte a cripto abbia una disclosure completa e comprensibile.
Nel 2025 il tema è stato ulteriormente rafforzato in Italia da una comunicazione congiunta Banca d’Italia–Consob che richiama attenzione su informativa, rischi e presidi, con un punto pratico particolarmente rilevante per asset volatili: la corretta gestione degli eventi successivi (IAS 10) tra data di chiusura e approvazione del bilancio, quando oscillazioni rilevanti del prezzo possono influenzare valutazioni, note e messaggi al mercato.
Non quotate: Bitcoin nei bilanci aziendali tra OIC e incertezza applicativa
Per le imprese non tenute ad applicare IAS/IFRS, il quadro cambia: entrano i principi contabili nazionali dell’Organismo Italiano di Contabilità (OIC), che non hanno ancora sviluppato elaborazioni specifiche per le cripto-attività.
Questa lacuna genera incertezza e possibili disparità di trattamento. In assenza di linee guida chiare, le imprese interpretano principi generali e li applicano a una classe di asset non prevista quando quei principi sono stati scritti, con ricadute sulla comparabilità dei bilanci.
Volatilità e gestione del rischio: la sfida dei CFO
A prescindere dal framework contabile, la volatilità delle criptovalute resta il punto più delicato. Bitcoin può oscillare del 70–80% in periodi relativamente brevi, un comportamento difficile da conciliare con esigenze tipiche della tesoreria: stabilità, prevedibilità, protezione della liquidità.
Questo impone policy robuste: criteri di monitoraggio, soglie di esposizione, eventuale realizzo parziale in caso di apprezzamento e, soprattutto, comunicazione trasparente agli stakeholder sulle strategie adottate.
Un’oscillazione rapida nel valore degli asset crypto può inoltre alterare indicatori finanziari chiave, influenzando merito creditizio percepito e condizioni di accesso al finanziamento bancario.
MiCAR all’orizzonte: cosa può cambiare per imprese e bilanci aziendali
L’Unione Europea ha adottato un approccio prudente verso le cripto-attività, cercando un equilibrio tra innovazione, tutela degli investitori e stabilità finanziaria.
L’entrata in vigore del regolamento MiCAR (Markets in Crypto-Assets Regulation) è un passaggio centrale: introduce criteri più omogenei per il settore e potrebbe avere ricadute anche su disclosure e prassi contabili.
Nel 2025 ESMA ha chiarito meglio il confine tra MiCA e MiFID II, indicando criteri pratici per capire quando un crypto-asset può ricadere nella definizione di strumento finanziario. È un punto rilevante per emittenti e intermediari: a seconda della qualificazione, cambiano obblighi, presidi e anche il perimetro delle informative verso il mercato.
È ragionevole attendersi che, con l’implementazione piena di MiCAR, anche gli organismi di standard-setting siano spinti a colmare le lacune, con indicazioni più specifiche sulla rappresentazione di cripto-attività nei bilanci.
Banche e intermediari: un territorio più complesso del Bitcoin aziendale
Se per molte imprese non finanziarie detenere cripto in bilancio è una scelta recente, per banche e intermediari il tema è ancora più delicato. Le regole prudenziali impongono requisiti patrimoniali stringenti, e l’esposizione a asset molto volatili comporta assorbimenti di capitale potenzialmente elevati.
Sul fronte statunitense, un passaggio rilevante per banche e custodian è arrivato con il superamento della precedente impostazione SEC nota come SAB 121: nel 2025 la SEC ha emesso SAB 122, modificando l’approccio alla rappresentazione contabile di alcuni obblighi connessi alla custodia di cripto-asset per conto terzi. Il cambio non elimina i vincoli prudenziali, ma riduce un freno “contabile” che aveva reso più oneroso per molti operatori offrire servizi crypto in modo scalabile.
Non sorprende che, almeno finora, la presenza di cripto nei bilanci delle istituzioni finanziarie tradizionali sia rimasta limitata. Una possibile evoluzione è un ruolo più orientato ai servizi: intermediazione e custodia per la clientela, anziché detenzione diretta significativa in portafoglio proprio.
“DAT summer”: l’ondata di aziende-portfolio che accumulano cripto (e alzano il rischio)
Negli Stati Uniti il 2025 ha visto esplodere un nuovo format societario, ribattezzato nel settore digital asset treasury company (DAT): imprese quotate che puntano a rendersi “più appetibili” agli investitori accumulando criptovalute in bilancio, spesso in modo aggressivo. In pratica, l’azione diventa un veicolo indiretto per esporsi a Bitcoin (o ad altri token) senza acquistare cripto direttamente: un’idea che ha attratto fondi e gestori poco inclini a gestire in proprio custodia, sicurezza e complessità operative.
Questa corsa non riguarda solo “aziende tech”: talvolta il progetto nasce acquisendo o riconvertendo società già presenti sul mercato (anche con business marginali o in declino), rilanciandole con una narrativa semplice: più cripto in pancia = più interesse degli investitori. Il risultato è un ecosistema in cui la finanza aziendale e la speculazione di mercato si toccano sempre di più, con effetti diretti su volatilità, governance e trasparenza.
Il punto critico è la leva finanziaria. Molte iniziative DAT non si limitano a raccogliere capitale: ricorrono anche a prestiti, strumenti ibridi e operazioni strutturate per aumentare la quantità di cripto detenuta. Quando il mercato sale, la leva amplifica i risultati; quando scende, accelera le perdite e può innescare stress di liquidità, vendite forzate e crisi di fiducia. È qui che il tema smette di essere un dettaglio contabile e diventa un fattore potenzialmente sistemico, perché collega il ciclo crypto a dinamiche tipiche dei mercati tradizionali (debito, margini, strumenti derivati, prodotti per il retail).
Per le imprese “ordinarie” che valutano Bitcoin in tesoreria, la lezione è pratica:
- Non basta comprare: serve una policy di gestione (limiti, obiettivi, tempi, custodia, responsabilità).
- La contabilità conta: fair value e disclosure possono trasformare la volatilità in oscillazioni visibili su utili e patrimonio.
- Serve stress test: scenari di ribasso rapido, requisiti di liquidità e impatti su covenant, rating e accesso al credito.
In sintesi: l’ondata DAT rende più chiaro che l’esposizione a cripto non è “solo” una scommessa di prezzo, ma un tema di struttura finanziaria, rischio e comunicazione al mercato.
Redazione
Imprese italiane: come valutare Bitcoin nei bilanci aziendali in modo prudente
Le aziende italiane che valutano l’inserimento di Bitcoin devono considerare diversi fattori. Il primo è la dimensione dell’investimento rispetto al totale delle attività: un’esposizione marginale limita l’impatto delle oscillazioni, mentre un’allocazione consistente può amplificare la volatilità dei risultati.
Il secondo è la capacità di gestire l’asset in modo professionale: servono competenze su custodia, sicurezza informatica e dinamiche di mercato. Sottovalutare questi aspetti può esporre a rischi operativi importanti.
Infine, conta la comunicazione: investitori, creditori e partner devono comprendere strategia, rischi e policy. Una disclosure insufficiente può generare diffidenza e annullare i benefici attesi.
Verso una convergenza: regole comuni per un mercato globale
Le differenze tra trattamento contabile americano ed europeo aprono un tema di armonizzazione. Un mercato globale come quello delle criptovalute si adatta male a regole frammentate tra giurisdizioni.
Nei prossimi anni, è plausibile un dialogo tra organismi di standard-setting per definire principi che migliorino comparabilità e trasparenza a livello internazionale. Nel frattempo, le imprese devono muoversi in un contesto in evoluzione, facendo scelte consapevoli: capire le regole, misurarne gli effetti e gestire i rischi è il primo passo per usare questa nuova classe di asset senza trasformarla in un fattore di instabilità.













