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Giusto processo e prova digitale nel processo, tutti i dubbi



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Dieci anni di confronto tra giuristi, magistrati e tecnici portano a una mozione che fotografa i rischi della prova digitale nel processo: catena di custodia, standard ISO, privacy, intelligenza artificiale e ruolo del giudice diventano snodi centrali del giusto processo

Pubblicato il 12 dic 2025

Michelangelo Di Stefano

senior consultant – tecniche investigative e forensi avanzate



IA avvocati

La prova digitale nel processo è diventata il crocevia tra tecnologia, garanzie difensive e giusto processo. La rapida evoluzione degli strumenti informatici ha reso sempre più fragile l’equilibrio tra accusa e difesa, imponendo all’Avvocatura di ripensare regole, prassi e competenze tecniche.

In questo contesto è utile approfondire quando emerso in occasione del XXXVI Congresso Nazionale Forense tenutosi a Torino a ottobre 2025, Federica Federici, avvocato del Foro di Roma, ha presentato con altri professionisti un’analitica mozione “per una corretta formazione, produzione, acquisizione e valutazione della prova digitale nel processo civile e penale”.

L’interpellanza, come si vedrà in dettaglio, prende spunto dalla considerazione che nel processo civile e penale attualmente trovano spazio fonti di prova e prove digitali non certe e che le nuove tecnologie, la digital evidence e la computer forensics, con la loro continua evoluzione, stanno minando l’istruttoria e l’intero processo.

Prova digitale nel processo: dalla denuncia alla mozione

Già dieci anni addietro avevamo “denunciato” – sull’onda dell’irrefrenabile evolvere delle nuove tecnologie – lo squilibrio tra il diritto di difesa rispetto agli strumenti tecnico-investigativi a disposizione della Pubblica Accusa e della Polizia Giudiziaria.
Concetto che, mutatis mutandis, trova analogo riscontro nel processo civile, così come in quello amministrativo e in tutte quelle questioni tecnico-scientifiche a fondamento di molti procedimenti amministrativi che spesso si risolvono senza il ricorso a un giudice.

Avevamo, a tal proposito, evidenziato la “[…] palese criticità del sistema, tale da comprimere, ancora una volta, il diritto di difesa ed impedire alla stessa di combattere ad “armi pari”, di avere pari dignità rispetto a quella del P.M. coadiuvato dalla polizia giudiziaria, svilendone, gioco forza, la partecipazione al contraddittorio.

Ed ancora, la limitata conoscenza del particolare contesto applicativo – che in verità abbraccia buona parte dell’attività tecnica di ricerca della prova svolta dalla polizia giudiziaria – se, per un verso, sottrae al giudice ed al pubblico ministero adeguati strumenti conoscitivi di consultazione per la formulazione di appropriati quesiti a periti e consulenti, per altro verso non consente ai destinatari di incarico dell’Autorità Giudiziaria di adempiere in modo esaustivo alle esigenze di Giustizia, con il rischio di mortificare gli sforzi investigativi che hanno consentito alla polizia giudiziaria di ottenere risultati di pregio, alle volte smentiti in sede peritale […]”.

Gli squilibri tra accusa e difesa sulla prova digitale nel processo

La questione, che lì avevamo affrontato sul tema delle captazioni di comunicazioni e sul processo di esternalizzazione delle intercettazioni, metteva a nudo un contraddittorio sbilanciato che spesso mortificava (e mortifica) il diritto di difesa.
Tutto prendeva le mosse da uno dei tanti dibattiti che proprio il volàno di questa mozione, l’Avv. Federica Federici, aveva promosso con una provocatoria tavola rotonda dal titolo: “Siamo tutti intercettati? Profili di legittimità e ultimi scenari in tema di intercettazioni”.

Il brain storming tra giuristi, magistrati, docenti, investigatori e tecnici sarebbe andato avanti per anni, arricchendosi dell’osmosi giuridico-scientifica e accademica nei dibattiti e attraverso la produzione di un corposo manuale a più mani che, per la prima volta, si sarebbe approcciato al c.d. “diritto del Web e delle nuove tecnologie”.

Diritto, tecnologie e prova digitale nel processo forense

I temi discussi nel corso di questo travagliato processo di studio e confronto sarebbero stati il momento di riflessione prodromico alla presente mozione.
Si è partiti da “Diritto e rete: stato dell’arte in materia di investigazioni, intercettazioni, intelligence”; si è poi arrivati a parlare dello spinoso, e ancora aperto, tema de “Il captatore informatico e le intercettazioni: luci ed ombre della riforma”, proseguendo a studiare la complessa tematica anche durante il periodo sociale più critico della modernità, il lockdown.

Questa volta, piuttosto che incontrarsi nelle prestigiose aule della Suprema Corte di Cassazione o della Corte di Appello di Roma, si sarebbe continuato a “fare rete” con l’ausilio delle chat room, per trattare, allora come oggi: “Le fonti di prova scientifica e la valutazione del giudice”.
Ecco, allora, la necessità non più procrastinabile di richiamare l’attenzione di tutta l’Avvocatura italiana su questioni presenti nel quotidiano di ogni fascicolo processuale, sia esso penale, civile o amministrativo, i cui connotati sono stati, in parte, già inseriti dal legislatore nella nomenclatura codicistica attuale.

Definizioni, standard e criticità della prova digitale nel processo

Le considerazioni preliminari della mozione possono così riassumersi:

“[…] – che una definizione di documento informatico può rinvenirsi nel Codice dell’amministrazione digitale come “rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”.
Si presuppone quindi un supporto materiale ed una logica a doppio binario testo/suono o testo/immagine.
Lo stesso codice tuttavia, al suo art. 20, ribadisce che per essere idonea una prova simile deve soddisfare i requisiti della forma scritta di cui all’art. 1350 del cod. civ.
E questo comporta che la qualità, la sicurezza, l’integrità e l’immodificabilità di tale prova siano garantite in tutte le fasi: formazione, produzione, riproduzione, deposito, travaso, ecc., e che l’autore sia identificabile e che sia anche il titolare del dispositivo;

– che la prova digitale presenta quattro caratteristiche fondamentali: immaterialità – è necessario distinguere la prova, ossia il contenuto, dal supporto su cui questa viene salvata o caricata.
Quindi, ad esempio, se la prova è un documento salvato su una chiavetta USB, la chiavetta USB rimarrà sempre e solo un supporto; dispersione – i dati informatici che costituiscono la prova possono essere salvati anche in server molto distanti da chi svolge l’attività di indagine, si pensi alla problematica dei dati salvati in cloud; promiscuità – il dato informatico può trovarsi all’interno di un sistema in cui ci sono molti altri dati che con esso non hanno nessuna connessione. La promiscuità fa sorgere un problema, quello della tutela della riservatezza; congenita modificabilità – il dato informatico è estremamente alterabile. Lo stesso sistema informatico, che è la somma di tutti i dati, è estremamente modificabile.

– che la c.d. chain of custody è un altro aspetto immancabile per quanto riguarda tutto ciò che compone un’indagine ed un processo che abbiano ad oggetto elementi di prova digitale, sicché il giudice ha l’onere di esercitare il proprio controllo nel processo di assunzione della prova digitale, verificando che il materiale probatorio sia stato trattato con scrupolosità e rigore in ogni fase, in modo da poter considerare le informazioni attendibili;

– che dunque, per garantire la genuinità della prova, diventa necessario ed imprescindibile parlare di catene di custodia e di rispetto di best practices;

– che tutti i criteri noti in materia di prova informatica vengono messi a dura prova oggi con la digital evidence: la genuinità/non alterabilità, la modificabilità/immodificabilità, l’attendibilità/non attendibilità, la producibilità/non producibilità, l’ammissibilità/non ammissibilità, la fallibilità/non fallibilità, la ripetibilità/irripetibilità, fino all’utilizzabilità/non utilizzabilità e validità/invalidità;

– che, per fare in modo che la potenziale prova possa essere utilizzata efficacemente, lo standard ISO/IEC 27037 (“Information technology – Security techniques – Guidelines for identification, collection, acquisition and preservation of digital evidence”) individua i seguenti principi di carattere generale: la verificabilità, da intendersi come la necessità di documentare le attività svolte per la raccolta della prova, in modo che sia possibile ripercorrere e verificare le tecniche e procedure eseguite; la ripetibilità, nel senso che le operazioni già svolte si devono poter ripetere utilizzando le stesse procedure, lo stesso metodo, gli stessi strumenti, sotto le stesse condizioni; la riproducibilità, nel senso che le operazioni si possono ripetere anche con strumenti diversi che adottino lo stesso metodo seguito in occasione dell’acquisizione originaria; la giustificabilità, ovvero la dimostrazione che eventuali decisioni soggettive sono state le migliori assunte per ottenere tutte le potenziali prove digitali; la pertinenza, da intendersi come dimostrazione che le informazioni acquisite sono rilevanti perché contengono dati utili per il procedimento; l’affidabilità, che si collega ai primi due perché garantisce che le procedure eseguite sono documentate e ripetibili; la sufficienza attiene alla raccolta di tutto il materiale informatico necessario, valutato in base al caso e alle limitazioni di carattere giuridico;

– che le prove digitali, sia materiali che immateriali, pongono anche problemi di datazione, mittente, provenienza, paternità, codici sorgente, sicurezza, integrità, certificazione, conservazione, liceità;

– che ad oggi il documento informatico ci pone poi di fronte alle questioni relative alla firma (generica, avanzata, digitale e qualificata) e alla sua conformità;

– che a seconda poi dei devices o dispositivi il funzionamento e l’acquisizione cambiano e vi si aggiungono le questioni legate alla privacy;

– che dal punto di vista delle norme codicistiche, ai fini probatori e processuali, il primo confine ad essere stato di fatto superato nel tempo è stato quello tra prova scritta e non scritta;

– che inoltre a livello normativo non esiste una definizione di prova informatica/digitale;

– che l’art. 189 c.p.p. non comprende, se non in una lettura forzata, estensiva ed attualizzata, tutte le prove digitali, pertanto gli stessi concetti di idoneità e liceità andrebbero riletti in una nuova ottica e probabilmente lo stesso legislatore dovrebbe stabilire nuove modalità e criteri di ammissione;

– che dalla scannerizzazione alla duplicazione, alla foto, alla fotocopia, vi è da chiedersi se siamo sempre e de plano davanti a prove certe e valide solo perché tecnologiche, quando la stessa dottrina ne discute e la giurisprudenza è ondivaga;

– che l’esigenza attuale è di mettere la privacy al centro della normativa in materia di digital evidence; […]”.

Competenze tecniche, giudice e periti tra etica e privacy

Tutte le argomentazioni fin qui evidenziate rimandano alle seguenti considerazioni:

“[…] – che agli operatori del diritto (avvocati, periti, investigatori, autorità e polizia giudiziaria) viene chiesta oggi una competenza maggiore in ordine alla valutazione della prova già a disposizione o di quella da formarsi e/o di quella da far acquisire e produrre da/a soggetti terzi;

– che di conseguenza è necessario che il giudice sappia non solo apprezzarne e valutarne l’efficacia probatoria, ma che sappia giudicarne fin da subito la possibilità di essere acquisita e questo, di fatto e purtroppo, non accade, giacché non si tratta solo di scambio di competenze ed esperienze, ma di vera e propria conoscenza della risorsa digitale, dei mezzi di ricerca della prova e dei mezzi di prova, in un mondo altamente specializzato e tecnico;

– che l’informatica giuridica, ovvero la scienza informatica applicata al diritto, debba necessariamente essere rivista alla luce degli sviluppi storici e del significativo ed imponente progresso tecnologico avvenuto nell’ultimo secolo;

– che tale evoluzione rapidissima mette a dura prova la capacità evolutiva del legislatore, rendendo arduo il lavoro degli operatori del diritto, anche solo nell’identificare il soggetto autore del contenuto della prova (nickname, IP, identità facciale, vocale, digitale);

– che da tutte queste considerazioni discende che il giudice deve operare sì il consueto apprezzamento circa il valore probatorio, ma ancor prima deve conoscere bene tutti i requisiti fisici/materiali/logici delle prove (come dire anche il contenitore, non solo il contenuto), ma ad un giudice come ad un avvocato non competono certo tali conoscenze;

– che il potere del Pubblico Ministero di avvalersi di tecnici preparati e di una autorità giudiziaria delegata, che hanno maggiori risorse, rende impari l’equilibrio tra accusa e difesa anche in questo ambito, per non parlare dei possibili limiti di spesa lato assistito e difesa nell’affrontare investigazioni ad alto investimento tecnologico. Vi è anche un approccio culturale che limita e non porta i legali ad avvalersi spesso della facoltà di assistere alle operazioni;

– che altresì ne discendono implicazioni etiche quali il rispetto della privacy, l’uso lecito (sussistono violazioni frequenti) per ragioni private, per esigenze di business commerciale, per esigenze di informazione, per esigenze di giustizia, per ragioni strategiche e di Stato, nei procedimenti in materia di famiglia;

– che la nuova dimensione, che ha reso l’istruttoria del processo dinamica e meno orale, richiede una preparazione tecnica e non giuridica da parte di tutti i protagonisti per arrivare a difendere e giudicare conoscendo e ricostruendo pienamente e correttamente i fatti.
Fatti che non viaggiano più solo sulla posta elettronica o una chiavetta USB, su un CD o DVD e hard disk, che sembrano preistoria: ormai vi è una moltitudine di dispositivi: dagli orologi multifunzione ai video e fotocamere, dagli screenshot ai post, dalla messaggistica alle app, dalle chat all’instant messaging, computer, CD, DVD, hard disk, pen drive, chiavette USB, telefoni cellulari (basic, advanced e smartphones), iPod, GPS, fotocamere e videocamere digitali, orologi multifunzione, bancomat, telepass, microchip, orecchio bionico, software di intrusione, captatore informatico;

– che l’apprezzamento della prova scientifica si differenzia da quello delle prove tradizionali perché per queste ultime gli strumenti di valutazione sono patrimonio comune di tutti i giudici e consistono nelle massime d’esperienza, nei fatti notori e nel senso comune;

– che ciò non avviene nella prova scientifica dato che chi giudica raramente è munito dello specifico bagaglio culturale per valutarla;

– che una tale linea di tendenza finisce con l’affidare la decisione del processo al responso insindacabile di un tecnico, dato che né il giudice né le parti sono in possesso delle conoscenze necessarie per esercitare una sufficiente forma di controllo;

– che pertanto sussiste il pericolo che essa si trasformi in una specie di intoccabile prova legale;

– che si rischia di affidare la soluzione di una controversia al parere di un perito che dovrebbe essere controllato da chi (parti e giudice) non è in grado di esercitare il potere di sindacato perché manca delle necessarie conoscenze tecnico-scientifiche;

– che le prove digitali risultano fragili, si mostrano sicuramente di effetto, ma volatili, vulnerabili, trasformabili nel tempo e nello spazio, facilmente contestabili;

– che andrebbe rivisto l’intero sistema della prova informatica o meglio delle prove digitali e del loro ruolo nel processo, fin dal formarsi ed acquisirsi, trattandosi ormai di prove completamente nuove in scenari e mercati mutati;

– che è raro che un giudice o un avvocato siano pienamente coscienti del fatto che quelle prove digitali siano prove davvero valide e pertanto l’esito del giudizio è quindi condizionato ab origine, in spregio al principio del giusto processo ex art. 111 Cost.;

– che possono altresì immaginarsi diversi ambiti di applicazione dei sistemi di intelligenza artificiale che riguardano le diverse fasi di formazione, acquisizione ed analisi delle prove digitali e, dunque, del procedimento civile e penale.
Seguendo questo percorso, in effetti, l’intelligenza artificiale potrebbe di certo innanzitutto costituire un mezzo di prova in sé, ad esempio, quando si tratta di software che registra dati di comportamento di qualcuno, cioè quando questa forma di elaborazione è inserita in apparecchi o strumenti (anche domestici) utilizzati dalle parti, dall’indagato o dalla persona offesa (punto uno dell’OdG del Congresso);

– che dalle nuove competenze eventualmente approfondite e acquisite dall’avvocato potrebbero aprirsi consulenze e mercati nuovi rispetto a tali scenari (punto 3 dell’OdG del Congresso) […]”.

Le proposte della mozione e le ricadute per l’Avvocatura

La lunga, articolata, precisa, puntuale quanto rigorosa fotografia esposta nella mozione è rivolta a promuovere nelle opportune sedi legislative, istituzionali e giudiziarie – in particolare avanti tutti i Ministeri, le Istituzioni ed Enti competenti – le seguenti iniziative ed interventi:

“[…] – a definire con la Magistratura Protocolli operativi, frutto delle competenze ed expertices tecniche;

– a stimolare e sensibilizzare il Legislatore affinché supporti con le norme processuali e sostanziali la certezza delle prove digitali, così da portare giudice ed avvocato alla sola e legittima operazione di valutarle – o contestarle, come idonee – o come non idonee – a rappresentare la realtà;

– ad individuare con Esperti le best practices di settore intese quali norme, non codificate, cui gli operatori del settore fanno affidamento per svolgere determinate operazioni informatiche su supporti e/o dispositivi e che possano essere di supporto nell’indicazione della catena di conservazione dell’informazione oggetto di acquisizione;

– a formare un albo di Consulenti Tecnici in materia di nuove tecnologie, atteso che oggi abbiamo principalmente e paradossalmente consulenti informatici programmatori che giudicano l’operato di esperti di cybersecurity o AI;

– a promuovere la formazione degli operatori del diritto in ambito di computer forensics e digital evidence.[…]”.

La portata della mozione, che qui si è scelto di riportare integralmente per l’accuratezza, chiarezza e scientificità dei suoi contenuti, richiamanti a giro d’orizzonte tutte le tematiche che oggi investono Avvocatura, Magistratura e Polizia Giudiziaria nei processi, ha una importanza storica unica non soltanto per la densità e rilievo dei suoi contenuti ma anche per la scelta del Congresso Nazionale Forense di approvarla con una “maggioranza bulgara”.

L’auspicio dell’amica Federica, e con lei della stragrande maggioranza degli operatori di diritto italiani, è che l’Avvocatura non abbia più un ruolo passivo nel processo, che il processo acquisisca tecnicità e dinamicità, che le prove prodotte abbiano la medesima dignità probatoria di quelle dell’A.G. e che, infine, l’Avvocatura possa in sintesi difendere conoscendo.

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