content delivery networks

CDN, Zorzoni (Aiip): “Ecco perché è giusto regolarle come Telco”



Indirizzo copiato

Cloudflare, Akamai, Amazon CloudFront, Google, Netflix OpenConnect: sono soggetti che non si limitano a “consegnare contenuti”, bensì esercitano un governo attivo e selettivo su una quota ormai preponderante del traffico mondiale. Fa bene Agcom a regolarle come Telco

Pubblicato il 12 nov 2025

Giovanni Zorzoni

Vicepresidente di AIIP



regolamentazione cdn

Se una ditta di imbianchini costruisse un nuovo capannone da 20.000 metri quadrati per produrre in casa le proprie vernici, potremmo davvero considerarla ancora una semplice impresa di tinteggiatura?

O, più correttamente, dovremmo riconoscere che essa si è trasformata, strutturalmente, in un’impresa chimica, con tutti gli oneri, le responsabilità e le norme di settore che ciò comporta?

Regolamentazione CDN: il nodo del dibattito attuale

È esattamente questo il nodo centrale del dibattito che si è aperto attorno alle Content Delivery Network (CDN), le quali oggi si trovano finalmente di fronte allo specchio della realtà: molti, forse non pienamente consapevoli delle trasformazioni avvenute negli ultimi quindici anni, continuano a immaginarle come infrastrutture ausiliarie nate nei primi anni 2000, senza accorgersi che esse sono ormai divenute operatori industriali di telecomunicazioni a tutti gli effetti, in quanto detengono, operano e amministrano reti complesse, diffuse capillarmente sul territorio dei vari Stati, con gestione diretta e indipendente.

Cdn, la fine dell’epoca romantica

All’inizio del nuovo millennio, quando i collegamenti transoceanici risultavano ancora pochi, lenti e frequentemente saturi, le prime CDN emersero con uno spirito pionieristico e con un obiettivo chiaro: replicare i contenuti di portali e piattaforme in più aree geografiche, così da alleggerire il traffico internazionale e ridurre le latenze.

Prima vi furono i mirror server, semplici copie statiche; poi, con l’affinarsi delle tecnologie, si affermarono repliche trasparenti, sistemi di caching distribuito, tecniche di instradamento dinamico. Era ancora tutto “ferro”, software e passione: giovani intraprendenti che installavano macchine nei data center, acquistavano capacità di banda in modo artigianale e facevano girare il Web più velocemente.

Molti, ancor oggi, sembrerebbero credere che le CDN siano rimaste questo. Ma quell’epoca, romantica, pionieristica e in parte anarchica, è tramontata da tempo.

Quando la CDN è operatore di rete

Oggi, le CDN sono divenute giganti infrastrutturali. Gestiscono in proprio reti in fibra ottica, apparati attivi, backbones continentali e intercontinentali, punti di presenza in tutti i principali Internet Exchange Point del globo. Non acquistano più semplicemente connettività da operatori terzi, ma implementano autonomamente la propria rete, accendendo tratti di dark fiber, posando cavi sottomarini, installando apparati di trasporto a lunga distanza e controllando ogni singolo flusso di traffico.

Cloudflare, Akamai, Amazon CloudFront, Google, Netflix OpenConnect: sono soggetti che non si limitano a “consegnare contenuti”, bensì esercitano un governo attivo e selettivo su una quota ormai preponderante del traffico mondiale. Secondo dati pubblici, oltre il 60% del traffico Internet globale passerebbe attraverso le loro infrastrutture.

Eppure, molti di questi attori continuerebbero a sostenere di non essere soggetti a regolamentazione nazionale, poiché non si qualificherebbero, a loro dire, come “operatori di rete”.

Oltre le etichette: l’equivoco semantico sulle CDN

Ed è qui che si manifesta l’equivoco: viviamo in un’epoca in cui si stravolgono le definizioni per alterare la percezione della realtà. Un colosso che costruisce reti, trasporta segnali, controlla il traffico e possiede apparati, si autodefinisce ancora “CDN”, come se fosse la piccola startup del 2002 con tre server nel seminterrato.

È come se un’azienda che gestisse una flotta di centinaia di TIR pretendesse di essere classificata come ciclofattorino, perché “alla fine consegna pacchi”.

La funzione nominale resta, certo, ma scala, impatto e responsabilità sono mutati radicalmente.

In nome di questa ambiguità semantica, molte CDN si sottrarrebbero a qualsiasi forma di trasparenza, non avrebbero obblighi dichiarativi, non parteciperebbero alla risoluzione di controversie con operatori locali, e non contribuirebbero, in alcun modo, alla compliance dell’ecosistema in cui pure operano.

E quando un’Autorità prova a ristabilire coerenza tra sostanza e forma, ecco che si griderebbe al bavaglio, alla censura, al tradimento dell’Internet aperta. Magari in alcuni casi questo è vero, ma non in questo.

Regolamentazione CDN: applicare il Codice senza rivoluzioni

Si ripropone puntualmente, il doppio standard, la madre di tutti i problemi: da un lato le aziende italiane ed europee, obbligate a rispettare ogni vincolo normativo, fiscale e amministrativo; dall’altro soggetti esteri che erogano servizi in Italia, impattano sull’ecosistema nazionale, ma pretendono di restare invisibili alla regolazione.

AGCOM non ha fatto rivoluzioni: ha semplicemente preso atto della realtà

Con la delibera 207/25/CONS, AGCOM non ha innovato nulla. Non ha imposto dazi, non ha introdotto nuove categorie giuridiche, né ha stravolto l’architettura europea delle telecomunicazioni.
Ha semplicemente applicato le definizioni già previste dal Codice delle comunicazioni elettroniche: chi possiede e gestisce un’infrastruttura di trasporto di segnali (via fibra, apparati o sistemi di caching attivi) è un operatore di rete. Non può sostenere il contrario.

Ed è quindi naturale, oltre che doveroso, che tali soggetti richiedano un’autorizzazione generale, come fanno da anni tutti gli altri operatori, e che contribuiscano secondo quanto previsto dall’Allegato 12 del Codice.

Per tornare all’esempio iniziale, chi gestisce una CDN moderna non è più un tinteggiatore, ma un produttore industriale di vernice. E non può più chiedere di essere trattato come se non lo fosse.

Varianti di modello e asimmetrie competitive

Va chiarito, per onestà intellettuale, che esistono ancora CDN “pure”, ossia soggetti che utilizzano capacità cloud e connettività di terzi, senza operare reti proprie.

Ma è altrettanto evidente che i soggetti più visibili e dominanti del mercato CDN, quelli che oggi sollevano obiezioni, hanno da tempo abbandonato quel modello.

Dietro le critiche alla delibera AGCOM non vi sarebbe dunque una difesa “dell’innovazione”, bensì una difesa della rendita di posizione garantita dall’opacità normativa e dalla mancanza di obblighi di compliance.

Il vero nodo, infatti, non è il modesto contributo amministrativo, bensì la volontà di non essere assoggettati a vincoli, controlli e obblighi di trasparenza.

E questo finisce inevitabilmente per generare asimmetrie competitive a danno degli operatori nazionali ed europei.

Regolamentazione CDN: coerenza, sovranità e prossimi passi

Chi oggi accusa l’Italia di “procedere da sola” dimentica che il problema esiste da anni, e che il vero errore, semmai, è stato quello di averlo ignorato troppo a lungo.
Non si tratta di introdurre nuove tasse, ma di ristabilire un equilibrio regolatorio, eliminando il vantaggio competitivo sleale derivante dal mancato rispetto delle regole.

L’Italia, da sempre laboratorio avanzato di sperimentazione tecnica e regolatoria nel campo delle telecomunicazioni, ha il merito di aver acceso un faro su una questione che incide sulla sovranità digitale, sulla neutralità della rete e sulla sopravvivenza degli operatori indipendenti.

L’Italia ha fatto solo il primo passo: ora serve coerenza, non retromarce

Non a caso, per citare un altro importante tema, l’Italia è il paese chiave nell’appoggiare il Wi-Fi di nuova generazione su tutto lo spettro a 1200Mhz della banda a 6GHz.

Assoggettare le CDN ibride, ossia quelle che esercitano infrastrutture di rete, non solo rafforzerà il mercato interno, ma contribuirà a correggere squilibri globali causati da modelli fiscali e regolatori permissivi in paesi extra-UE.

Un mercato digitale sano e competitivo non può prescindere da regole chiare, coerenti e applicate a tutti: e non può tollerare che alcuni soggetti continuino a essere “operatori quando conviene e invisibili quando fa comodo”.

guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati