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Data center in Italia: perché la legge non può più aspettare



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Mentre i grandi Paesi europei ridefiniscono le strategie per rendere sostenibile la crescita dei data center, in Italia la discussione è bloccata sui temi autorizzativi. Una proposta di legge bipartisan prova a dare una cornice organica, ma i ritardi istituzionali rischiano di farci perdere competitività

Pubblicato il 10 dic 2025

Giulia Pastorella

Deputata della Repubblica italiana, vicepresidente di Azione e Consigliera comunale a Milano



Data center in Italia

Negli ultimi mesi il dibattito globale sull’intelligenza artificiale si è polarizzato attorno a un interrogativo ricorrente: siamo di fronte a una bolla? La crescita nella capitalizzazione delle società che si occupano a vario titolo di intelligenza artificiale (software, hyperscaler, componentistica) e gli investimenti miliardari in data center creeranno valore di lungo periodo, rappresenteranno un nuovo motore di sviluppo o costelleranno i territori di vuote “cattedrali nel deserto”?

In Italia, la domanda rischia perfino di essere prematura. Mentre nel mondo i data center sono al centro delle strategie industriali e della competizione internazionale, nel nostro Paese la definizione di una cornice normativa coerente procede ancora a rilento. Da tempo sottolineo come queste infrastrutture – essenziali per sostenere ecosistemi di intelligenza artificiale, cloud pubblico e privato, cybersecurity, servizi avanzati per pubblica amministrazione e imprese – non siano ancora percepite come una priorità nazionale.

Data center in Italia: una legge delega ancora in attesa

Un segnale emblematico del nostro ritardo riguarda la proposta di legge delega sui data center, frutto dell’unificazione di iniziative – tra cui la mia – presentate da più gruppi politici e costruita in Commissione Trasporti dopo un ampio ciclo di audizioni con operatori, associazioni e amministrazioni competenti. Un testo pensato per intervenire in modo sistemico su urbanistica, energia, ambiente, autorizzazioni e profili giuslavoristici, che nasce con una forte impronta bipartisan, riconoscendo il carattere strategico di queste infrastrutture.

Dopo una prima approvazione in Commissione, il percorso si è però interrotto durante l’estate del 2025, quando la Ragioneria dello Stato ha rilevato la presenza di disposizioni potenzialmente onerose per la finanza pubblica, chiedendo un ulteriore approfondimento prima del nuovo passaggio in Aula. Il rinvio ha determinato diversi mesi di stallo, durante i quali il testo è rimasto sospeso in attesa di indicazioni formali sulle parti da modificare.

Solo nelle scorse settimane l’iter si è sbloccato, grazie all’impegno del presidente Deidda e del relatore Amich. In Commissione sono stati votati emendamenti mirati a recepire integralmente le osservazioni della Ragioneria e a migliorare ulteriormente il testo. Tra i correttivi più significativi figura l’inclusione esplicita dei data center esistenti tra i beneficiari delle procedure semplificate, un elemento essenziale per accompagnare anche gli ampliamenti degli impianti già operativi.

Verso un quadro unico per i data center in Italia

Ora si attende il nuovo parere della Ragioneria, ultimo passaggio necessario per consentire al provvedimento di tornare in Aula, presumibilmente all’inizio del 2025, una volta conclusa la sessione dedicata alla legge di bilancio.

Parallelamente, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha pubblicato la sintesi della consultazione pubblica sui data center, evidenziando priorità che coincidono in gran parte con quelle della proposta di legge ferma in Parlamento. Anche il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica sta valutando un intervento nel prossimo Decreto Energia per introdurre procedure autorizzative uniche e omogenee. Tuttavia, ad oggi circolano solo bozze.

Nell’attesa, anche le regioni hanno cominciato a muoversi: dalla Puglia con linee guida alla Lombardia con una vera e propria legge. È il segno di un’attenzione crescente, ma ancora non coordinata, che va in direzione opposta all’approccio organico che sarebbe necessario adottare.

Il ritardo dell’Italia nella corsa europea all’infrastruttura digitale

L’Italia è in ritardo, ma con un potenziale ancora significativo. Mentre Paesi come Irlanda, Paesi Bassi e Germania stanno ridefinendo le proprie strategie per rendere sostenibile l’espansione dei data center, l’Italia è ancora nella fase preliminare e la discussione è ferma al capitolo autorizzativo, senza inoltrarsi sui terreni dell’ottimizzazione strategica.

Perché l’Italia può diventare hub dei data center in Europa

Eppure, l’Italia dispone di asset strategici rilevanti. Il nostro Paese può contare su un’ampia capacità energetica ancora lontana dalla saturazione, su territori idonei e competitivi anche al di fuori dei grandi hub europei, e su un tessuto di competenze tecniche diffuso che potrebbe trovare nuovo slancio attraverso una filiera nazionale più strutturata.

A tutto questo si aggiunge una posizione geografica particolarmente favorevole, sostenuta dalla rete di cavi sottomarini che collega il Mediterraneo ai principali snodi internazionali della connettività.

In altre parole, le condizioni strutturali ci hanno donato un vantaggio competitivo, ma ora il tempo inizia a scarseggiare. Il Paese deve attivarsi e dotarsi velocemente di una cornice normativa che riduca l’incertezza, acceleri i processi autorizzativi, dia omogeneità territoriale e orienti lo sviluppo verso criteri di sostenibilità ambientale ed energetica.

Una normativa sui data center in Italia sempre più urgente

Perché la normativa è urgente. La regolazione non deve essere un freno, ma un abilitatore.

Nel caso dei data center, creare regole chiare significa favorire l’arrivo di investimenti europei e internazionali, sostenere lo sviluppo di servizi digitali avanzati per imprese e Pubbliche Amministrazioni, rafforzare la sicurezza e la resilienza delle infrastrutture critiche e abilitare la crescita di filiere industriali ad alto valore aggiunto che generino nuove opportunità occupazionali.

Significa anche accompagnare l’evoluzione dell’intelligenza artificiale all’interno di un modello che garantisca sostenibilità ambientale, trasparenza e responsabilità, rendendo il settore più competitivo e allo stesso tempo più vicino ai bisogni delle comunità e dei territori.

La proposta di legge oggi in Parlamento va esattamente in questa direzione. Per una volta, normare non significa imbrigliare un settore, ma costruire le condizioni affinché cresca in modo ordinato e competitivo. L’Italia può ancora giocare un ruolo da protagonista in un comparto decisivo per l’economia digitale europea, ma il tempo a disposizione non è infinito.

Il 2026 come anno di svolta per infrastrutture e cultura digitale

Il 2026 dovrà essere l’anno della svolta: normativa, industriale e culturale. Non possiamo permetterci di perdere un altro treno.

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