In un Paese dove l’interesse dichiarato per le notizie scende al 39%, ma il 59% degli italiani consulta news più volte al giorno, emerge un “paradosso informativo” che parla di abitudini frammentate, sfiducia e modelli di business in crisi, ma anche di opportunità per editori locali e testate capaci di innovare.
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Abitudini informative e il paradosso dell’attenzione in Italia
Il Digital News Report Italia 2025, curato dal Master “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino e dal Reuters Institute di Oxford, fotografa un’industria editoriale che fatica a trattenere l’attenzione del pubblico, mentre il mercato degli abbonamenti online resta fermo al 9% (livello più basso tra i paesi comparabili) e la fiducia nelle notizie risale solo lievemente al 36%.
Il rapporto offre un quadro strutturato con molti indicatori collegati tra loro e anche un collegamento con l’orientamento politico degli intervistati. Naturalmente i dati sono da considerare con cautela perché si riferiscono a fenomeni come le fonti informative o l’’interesse per l’informazione, che vengono rilevati tramite autodichiarazioni e che quindi possono soffrire di numerosi bias. Ma va detto che tutte le rilevazioni del genere soffrono dello stesso problema.
Disinteresse dichiarato e consultazione compulsiva
Dopo un decennio in cui l’interesse dichiarato per le notizie è crollato di 35 punti percentuali, l’Italia resta però un Paese che si informa in modo compulsivo e frammentato, un fenomeno che interroga le strategie editoriali, i modelli di business e il ruolo stesso del giornalismo nell’economia dell’attenzione.
Il report evidenzia un crollo dell’interesse per le notizie: dal 74% di molto o estremamente interessati nel 2016 al 39% attuale. Un calo più marcato rispetto a Francia e Regno Unito, dove le percentuali si sono mantenute più stabili. In un contesto di iperconnessione e iperinformazione, il calo di interesse si scontra con la frequenza di consultazione: il 59% degli italiani consulta notizie più volte al giorno, un dato che pone il nostro Paese al secondo posto tra i paesi benchmark, dietro la sola Finlandia. Questa frequenza sembra caratterizzare soprattutto le fonti digitali che avendo grande facilità di accesso inducono questa frequenza di consulatzione.

Ecosistemi informativi tra digitale e televisione
In altre parole, “non ci interessano le notizie”, ma non riusciamo a smettere di controllarle. Una contraddizione che riflette il consumo veloce, spesso superficiale, e la ricerca costante di aggiornamenti su piattaforme digitali e social network, che generano engagement ma non fidelizzazione.
Nonostante l’ecosistema digitale abbia eroso l’attenzione verso i media tradizionali, in Italia la televisione si conferma leader informativa, con il 66% degli italiani che la utilizza settimanalmente e il 51% che la indica come fonte principale. L’online stenta: i social media si fermano al 17%, le testate native digitali al 9%, i siti di quotidiani e di testate radiotelevisive rispettivamente all’8% e al 5%, mentre la carta stampata è fonte principale solo per il 2% degli italiani.
La resilienza della tv e il ritardo digitale
L’Italia si distingue così come l’unico tra i sei paesi benchmark in cui la TV mantiene il primato come fonte principale, riflettendo una radicata abitudine culturale e una lentezza nell’adozione di modelli digitali che riescano a convertire il consumo gratuito in sottoscrizioni paganti.

Fiducia nei media e ruolo delle testate locali
La televisione è la principale fonte di notizie per le generazioni più anziane e per le persone di centro-destra, mentre i social media e le testate giornalistiche online hanno un profilo demografico più giovane e prevalgono tra quelli con un orientamento di centro sinistra.
Il report mette in evidenza una criticità economica strutturale: solo il 9% degli italiani paga per accedere alle notizie online, con un calo di un punto rispetto al 2024. Il dato peggiore tra i paesi monitorati, con un 69% che dichiara che nessuna offerta lo convincerebbe a sottoscrivere un abbonamento, indicando una barriera culturale profonda legata a disinteresse, sfiducia e abitudine al consumo gratuito.
La fiducia verso le notizie risale lievemente al 36%, ma resta su livelli bassi e frammentati. Tra le istituzioni i mass media presentano un livello di fiducia relativamente basso, ma abbastanza stabile negli ultimi dieci anni, mentre in altri paesi si è assistito a una discesa. Il dato è più alto tra le donne (38%) che tra gli uomini (33%) e premia le testate percepite come meno schierate politicamente, oltre che i brand locali e regionali che mantengono un rapporto diretto con le comunità.
Crisi del modello a pagamento e valore delle news locali
Pagamenti per news online (Italia, 2025) | % |
Paga per accedere alle news online | 9% |
Non pagherebbe in nessun caso | 69% |
Interessati al “bundle” multi-testata | 14% |
Fiducia nelle notizie | 36% |
In un contesto frammentato e di calo dell’interesse generale, le notizie locali si rivelano un potenziale driver di engagement e di ricostruzione del rapporto tra lettori ed editori. L’81% degli italiani si interessa alle notizie di prossimità, con la cronaca nera al primo posto (58%), ma con un interesse trasversale per la cronaca locale e le storie concrete. Qui, le testate locali possono offrire valore aggiunto rispetto agli aggregatori, grazie al rapporto con le fonti e alla capacità di raccontare storie che rispondono a bisogni di comunità. Non a caso nel pesante calo che ha interessato i quotidiani negli ultimi quindici anni, quando hanno perso circa i tre quarti delle copie vendute, i quotidiani locali sono le testate che hanno minimizzato le perdite.
Personalizzazione dell’informazione e rischio delle bolle
Sul fronte dell’innovazione, il report rileva che il 50% degli italiani si dichiara a proprio agio con siti e app di notizie altamente personalizzati, confermando una crescente apertura verso la personalizzazione spinta, pur mantenendo uno scetticismo verso notizie interamente prodotte dall’intelligenza artificiale. I lettori riconoscono all’AI velocità, convenienza e semplicità, ma la giudicano meno trasparente e affidabile del giornalismo tradizionale. Naturalmente la personalizzazione presenta la grande opportunità di riuscire a seguire domande differenti, ma allo stesso tempo erode quello strato informativo comune a tutta la società e favorisce la formazione di bolle informative dove si ritrovano consumatori con gusti e orientamenti simili.
Uso dell’AI nel giornalismo | % favorevoli |
Personalizzazione spinta delle news | 50% |
Traduzione automatica articoli | 26% |
Riepiloghi rapidi con AI | 20% |
Chatbot AI per spiegazioni su notizie | 17% |
Scetticismo su news create solo da AI | Elevato |
Modelli editoriali flessibili per la sostenibilità futura
La stabilità dell’interesse per le notizie locali, l’apertura verso la personalizzazione, la crisi degli abbonamenti e la tenuta della TV indicano che non è più solo una questione di “cosa raccontare”, ma di “come e dove” raccontarlo. Per le testate, significa ripensare il modello editoriale non come erogazione lineare di contenuti, ma come costruzione di community, offerte flessibili, pacchetti multi-testata e strumenti di fidelizzazione capaci di trasformare l’abitudine di consumo in relazione. In un contesto in cui i ricavi editoriali tendono a contrarsi si tratta di un compito difficile anche perché si tratta di trasformare il profilo tipico del giornalismo.
Se l’Italia vuole evitare di restare fanalino di coda negli abbonamenti e nella sostenibilità editoriale, occorrerà affrontare con urgenza i nodi dell’alfabetizzazione mediatica, della news literacy e della fiducia. Un percorso che richiede investimenti mirati, qualità editoriale e il coraggio di sperimentare formati innovativi, podcast, video brevi e modelli di membership capaci di trasformare l’informazione da commodity gratuita a servizio riconosciuto di valore.