l’analisi

Crescere (troppo in fretta) nell’era digitale: i rischi dell’adultizzazione



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I social network e le tecnologie digitali accelerano i processi di crescita, esponendo i minori a contenuti adulti e modelli comportamentali inadeguati alla loro fase evolutiva, alterando la costruzione identitaria naturale

Pubblicato il 17 giu 2025

Marino D'Amore

Docente di Sociologia generale presso Università degli Studi Niccolò Cusano



influenza del digitale sui ragazzi (1) (1) verifica dell'età online

L’adultizzazione è un fenomeno crescente che mette in crisi le tappe naturali dello sviluppo infantile e adolescenziale, interferendo con il processo di socializzazione. Analizzare questo tema significa interrogarsi su come la società digitale contemporanea plasmi i modelli educativi e identitari dei giovani.

Le basi teoriche della socializzazione

Il processo di socializzazione costituisce uno dei postulati della sociologia dell’educazione, delineando il meccanismo attraverso il quale l’individuo apprende, interiorizza e riproduce le norme, i valori, i comportamenti, i modelli e le aspettative del contesto socio-culturale in cui è inserito.

In quanto fenomeno dinamico, la socializzazione si sviluppa lungo tutto l’arco della vita, ma assume caratteristiche strutturanti soprattutto nelle fasi infantili e adolescenziali, quando avviene l’acquisizione delle competenze sociali primarie (Parsons, 1951).

In questo percorso si inserisce il concetto di adultizzazione, fenomeno crescente nella società contemporanea, che designa l’anticipo forzato dei ruoli, delle responsabilità e delle esperienze tipiche dell’età adulta nei bambini e negli adolescenti. Questo processo interferisce con la progressione naturale dello sviluppo psicologico e sociale, neutralizzando le opportunità di una crescita e di una costruzione personale graduale e armonica. I giovani vengono spinti verso modelli identitari accelerati e ormonati, spesso inadeguati e dannosi, che compromettono il pieno sviluppo della loro soggettività (Zeiher, 2001; Livingstone et al., 2019).

Il processo di socializzazione: teorie e meccanismi

La socializzazione, come spiegato, rappresenta il processo attraverso cui l’individuo apprende le norme, i codici linguistico-simbolici e i modelli comportamentali del contesto sociale di appartenenza, per diventare parte integrante della società. Si tratta di un processo multifattoriale, che si estende lungo tutta l’esistenza antropica e riflette rapporti di potere, gerarchie culturali e tradizioni storiche (Berger, Luckmann, 1966).

Secondo Émile Durkheim, la socializzazione è essenziale per il mantenimento dell’ordine sociale. Egli concepisce la società come un’entità morale superiore all’individuo, e attraverso il concetto di “fatto sociale” sottolinea come le norme e i valori collettivi siano interiorizzati dagli attori sociali tramite l’educazione e la coercizione simbolica (Durkheim, 1893). Questa visione struttural-funzionalista pone l’accento sulla riproduzione sociale come scopo principale della socializzazione.

George Herbert Mead (1934), tra i fondatori dell’interazionismo simbolico, propone un approccio microsociologico, centrato sull’emergere del sé attraverso l’interazione sociale. Egli distingue tra il “Me” (componente sociale del sé, formata dalle aspettative degli altri) e l’“Io” (componente individuale e creativa). Il sé si sviluppa progressivamente attraverso la capacità di assumere il ruolo dell’altro, fino all’interiorizzazione del cosiddetto “altro generalizzato”, che rappresenta le regole e i valori condivisi dalla collettività.

Una sintesi efficace tra questi approcci è offerta dalla teoria dell’apprendimento sociale di Albert Bandura (1977), secondo cui l’apprendimento avviene attraverso l’osservazione e l’imitazione di modelli di comportamento, rafforzati dalla dicotomia che si attualizza tra ricompense punizioni. Tale processo è particolarmente rilevante nella società contemporanea, caratterizzata da un ambiente altamente mediatizzato, in cui i modelli di riferimento non provengono più solo da agenzie educative tradizionali (famiglia, scuola, religione), ma anche dai media digitali, dai social network e dagli influencer (Bandura, 2001; Boyd, 2014).

Recenti studi confermano l’importanza di integrare la dimensione digitale nella teoria della socializzazione. Livingstone e Third (2017) introducono il concetto di “socializzazione mediatica”, sottolineando come le tecnologie digitali contribuiscano alla costruzione dell’identità sociale fin dall’infanzia, offrendo strumenti simbolici, di espressione e appartenenza, ma anche fonti di pressione e standard culturali difficili da raggiungere.

Infine, la prospettiva del ciclo di vita, come sviluppata da Glen Elder (1994), consente di osservare la socializzazione come un processo intergenerazionale e storico, in cui l’esperienza personale è condizionata dalla posizione sociale, dall’epoca storica e dagli eventi collettivi. La socializzazione, in tal senso, non è un processo lineare, ma un intreccio complesso e dialogico di traiettorie individuali e influenze strutturali.

L’attuale contesto sociale, segnato da globalizzazione, mutamento tecnologico e crisi delle istituzioni educative tradizionali, impone una revisione dei paradigmi classici della socializzazione. Oggi, i giovani crescono in ambienti multipli, interconnessi e spesso contraddittori, in cui devono negoziare continuamente la propria identità tra spinte all’omologazione e richieste di autonomia. La comprensione di tali processi richiede l’integrazione di approcci teorici diversi, capaci di cogliere la complessità del presente attraverso una visione multidisciplinare.

Il ruolo della famiglia, della scuola e dei gruppi di pari

La socializzazione non è un processo astratto o casuale, ma si realizza attraverso agenzie specifiche che operano in modo sistematico e strutturato. Le old agencies, la famiglia, la scuola, la religione e i gruppi di pari hanno rappresentato per secoli i principali contesti educativi e relazionali nei quali l’individuo ha sviluppato progressivamente la propria identità sociale, morale e affettiva (Bronfenbrenner, 1979; Giddens, 2017).

La famiglia è universalmente riconosciuta come il gruppo primario, la prima agenzia di socializzazione, dove si acquisiscono i codici linguistici, i modelli comportamentali, le regole affettive e le prime forme di controllo sociale. Secondo Lareau (2003), le modalità con cui la famiglia socializza i figli dipendono in larga misura dal capitale culturale e dalla classe sociale di appartenenza: le famiglie borghesi tendono a promuovere un modello di concerted cultivation, caratterizzato da stimoli educativi e attività strutturate; le famiglie popolari, invece, adottano una natural growth approach, più spontanea e meno regolata. Le trasformazioni recenti della struttura familiare, ossia aumento delle famiglie monoparentali, famiglie ricostituite, genitorialità diffusa tra più figure adulte, hanno reso la socializzazione familiare più complessa e parcellizzata (Barbagli & Saraceno, 2020). Inoltre, la crescente delega educativa verso la scuola e le tecnologie ha indebolito il ruolo educativo diretto dei genitori, aprendo spazi a nuovi modelli di influenza.

In Italia, secondo i dati ISTAT (2023), oltre il 30% delle famiglie con figli minori presenta strutture non tradizionali, con un impatto diretto sulla continuità e coerenza dei processi socializzativi stessi. La precarietà economica, il tempo limitato per la cura, l’ipertemporalità lavorativa e l’assenza di reti di supporto contribuiscono ad accentuare le difficoltà connessa a una piena realizzazione del processo suddetto.

La scuola rappresenta la principale agenzia di socializzazione secondaria che trasmette contenuti disciplinari e nozionistici e veicola norme implicite, come la gerarchia e la disciplina, funzionali a una relazionalità sociale di più ampio respiro (Jackson, 1968). Bourdieu e Passeron (1977) sostengono che la scuola tende a riprodurre le disuguaglianze sociali esistenti, legittimando il successo di chi già possiede capitale culturale e, specularmente, penalizzando chi ne è privo.

La transizione alla scuola digitale, figlia di un necessario e inderogabile rinnovamento istituzionale ed educativo, ha prodotto effetti ambivalenti. Da un lato, essa consente nuovi linguaggi formativi e forme di accesso al sapere; dall’altro, ha spesso accentuato il digital divide, ossia le disuguaglianze tra chi dispone di risorse tecnologiche e ambienti favorevoli e chi ne è escluso (OECD, 2021). In molti casi, l’uso dei dispositivi digitali ha sostituito la relazione e l’interazione funzionale, indebolendo il legame empatico tra docente e discente (Galimberti, 2020). Inoltre, la pressione valutativa e le logiche competitive, accentuate da standardizzazione e test, contribuiscono a un clima scolastico orientato alla prestazione, più che alla formazione integrale e costruttiva dell’identità individuale (Nussbaum, 2011).

Con l’adolescenza, i gruppi di pari diventano un contesto privilegiato di socializzazione. In essi si sviluppano senso di appartenenza, linguaggi identitari, codici morali propri, spesso alternativi a quelli adulti. Secondo Erikson (1968), l’identità personale si definisce proprio attraverso la sperimentazione di ruoli e la negoziazione di appartenenze all’interno dei gruppi stessi, basate su forme di riconoscimento esogene ed endogene.

I gruppi di pari non sono solo “luoghi” sociali, ma contesti catalizzatori di cultura giovanile. Essi danno vita a subculture, pratiche simboliche, mode, riti di passaggio che contribuiscono alla costruzione identitaria collettiva. Tuttavia, la pervasività del digitale ha esteso questi gruppi nello spazio virtuale, trasformando le relazioni in interazioni mediate da algoritmi e performance visive (Marwick, Boyd, 2011).

La digitalizzazione dei legami tra pari ha prodotto effetti, anche in questo caso, confliggenti: da un lato ha favorito l’inclusione e la condivisione, dall’altro ha accentuato le rispettive nemesi fenomeni di esclusione, cyberbullismo, controllo sociale e dipendenza dalla validazione esterna (Twenge, 2017). Inoltre, la costante esposizione sui social favorisce la conformità a modelli idealizzati, standardizzati, anticipando modelli adulti e condizionando le tappe naturali dello sviluppo psicosociale.

L’adultizzazione nella società contemporanea

Il termine adultizzazione, come spiegato, indica il processo mediante il quale bambini e adolescenti assumono precocemente ruoli, comportamenti, responsabilità e atteggiamenti sociali propri dell’età adulta. A livello sociologico, tale fenomeno implica un’evoluzione distorsiva del normale sviluppo psicosociale, con la cancellazione o la compressione delle fasi dell’infanzia e dell’adolescenza (Zeiher, 2001). L’adultizzazione può derivare da dinamiche familiari, pressioni culturali, modelli mediatici o necessità economiche e produce effetti profondi sull’armonizzazione identitaria.

Il passaggio all’età adulta, un tempo marcato da eventi chiave, riti di passaggio come l’ingresso nel lavoro, il matrimonio o la genitorialità, oggi è reso incerto e discontinuo dalla flessibilità lavorativa, dall’instabilità economica e dall’allungamento dei percorsi formativi (Arnett, 2004). In molti contesti, tuttavia, si assiste anche al fenomeno opposto: una precoce esposizione a ruoli adulti dovuta alla povertà educativa, all’esclusione sociale o alla fragilità delle istituzioni educative (Save the Children, 2022).

L’OCSE (2021) evidenzia come milioni di adolescenti nel mondo occidentale siano coinvolti in attività lavorative informali, cura familiare o responsabilità economiche, spesso in contesti di vulnerabilità individuale e familiare, questo genera un’attivazione significativa delle responsabilità adulte in assenza di un corrispondente sviluppo emotivo e cognitivo. Inoltre, l’adultizzazione è favorita da un sistema culturale che valorizza la performance, l’individualismo, l’apparenza e la sessualizzazione precoce. I modelli proposti da media, moda e social network impongono standard estetici e comportamentali che inducono bambini e adolescenti a emulare figure adulte, spesso ipersessualizzate o commercializzate (Marwick, Boyd, 2011; Barassi, 2020).

Lo sviluppo del consumo giovanile ha trasformato l’infanzia in target di marketing, orientando gusti, desideri e identità attraverso strategie persuasive e manipolatrici che promuovono uno stile di vita adulto (Cook, 2010). I bambini diventano così attori economici prima ancora di essere soggetti pienamente formati, con conseguenze significative sulla loro autonomia e autopercezione.

I ricercatori del Lancet Child & Adolescent Health (Moreno, Radensky, Owings-Fonner 2023) sottolineano che l’erosione del tempo dell’infanzia è associata a una maggiore probabilità di comportamenti antisociali, ridotta resilienza emotiva e difficoltà di autoregolazione. Inoltre, si osserva una significativa correlazione tra adultizzazione precoce e comportamenti devianti, come abbandono scolastico, bullismo, uso di sostanze e violenza tra pari (Twenge, 2017).

L’adultizzazione non si manifesta in modo neutro rispetto al genere. Le bambine, in particolare, sono spesso soggette a una sessualizzazione precoce e a modelli estetici oppressivi, mentre i bambini sono spinti verso ideali di forza, competizione e durezza emotiva. Queste dinamiche contribuiscono a rinforzare retaggi culturali passati, anacronistici e patriarcali, stereotipi di genere, riducendo la gamma delle espressioni identitarie possibili (UNICEF, 2022). Le aspettative sociali divergenti nei confronti di maschi e femmine, così come la rappresentazione mediatica dei ruoli di genere, amplificano l’impatto dell’adultizzazione e possono ostacolare lo sviluppo di soggettività autentiche (Connell, 2009).

Adultizzazione e digitale

Il rapporto tra adultizzazione e tecnologia digitale costituisce una delle trasformazioni più rilevanti nei processi di socializzazione contemporanei. La diffusione pervasiva di dispositivi mobili, app, contenuti online e piattaforme di comunicazione ha ridisegnato radicalmente le traiettorie, i tempi e le modalità con cui bambini e adolescenti interagiscono con il mondo, accedono alle informazioni, costruiscono relazioni e sviluppano la propria identità. La letteratura recente ha identificato un fenomeno emergente denominato infanzia digitale accelerata, in cui l’esposizione anticipata alla tecnologia anticipa anche i comportamenti, gli interessi e le esperienze (Livingstone, Third, 2017).

L’accesso precoce a smartphone e tablet sta abbattendo le barriere d’età, consentendo anche ai bambini in età prescolare di entrare in contatto con contenuti e ambienti virtuali originariamente progettati per adulti. Secondo una recente indagine dell’Unione Europea (EU Kids Online, 2020), oltre il 75% dei bambini tra i 9 e i 10 anni possiede uno smartphone personale, mentre l’uso regolare di Internet comincia in molti casi già tra i 5 e i 7 anni. Questo cambiamento ha profonde implicazioni sul piano cognitivo, emotivo e comportamentale.

Non solo i bambini diventano fruitori passivi di contenuti adulti, ma vengono anche spinti a costruire profili digitali che riproducono i codici comunicativi degli adulti: foto in posa, estetiche da influencer, pubblicazione di contenuti per ottenere visibilità e validazione esterna (Barassi, 2020). Tali dinamiche veicolano un’anticipazione simbolica della maturità, che non corrisponde allo sviluppo reale delle competenze socio-emotive.

Uno degli effetti più critici dell’adultizzazione digitale è la sostituzione del gioco fisico, simbolico e relazionale con forme di intrattenimento digitale che riducono l’interazione diretta con il mondo reale. La digitalizzazione del gioco produce una progressiva smaterializzazione dell’infanzia, allontanando i bambini da esperienze corporee, manipolative, creative e relazionali.

Le piattaforme ludiche digitali, spesso progettate con logiche di gamification, condizionano i tempi e i modi dell’attività ludica, generando abitudini di consumo che privilegiano il nowism ossia l’immediatezza, la competizione e la gratificazione immediata. Questo schema cognitivo, se interiorizzato in età precoce, può influenzare negativamente la capacità di attesa, di riflessione e di costruzione autonoma del significato (Carr, 2010).

Studi recenti hanno messo in luce come l’esposizione intensiva e non regolata alla tecnologia digitale possa produrre effetti negativi sullo sviluppo cerebrale e comportamentale. Il rapporto Growing Up Digital del Royal College of Paediatrics and Child Health (2021) indica una correlazione tra uso precoce dei dispositivi e aumento dell’irritabilità, della difficoltà di concentrazione e dei disturbi del sonno.

Inoltre, il digitale non è uno spazio neutro: è regolato da algoritmi che selezionano i contenuti, rafforzano le preferenze preesistenti e spesso espongono i bambini a stimoli inadeguati, come pubblicità sessualizzate, fake news, violenza e cultura del consumo. In questo contesto, l’adultizzazione non è solo anticipazione del ruolo, ma iperstimolazione non mediata (Livingstone et al., 2019).

Le implicazioni di questo fenomeno richiedono una riflessione urgente sulle strategie educative. La mediazione genitoriale, la regolamentazione scolastica e l’educazione digitale critica sono strumenti essenziali per arginare i rischi dell’adultizzazione tecnologica. Non si tratta di demonizzare il digitale, ma di restituire agli adulti — genitori, insegnanti, educatori — la responsabilità di guidare i minori in un uso consapevole, selettivo e appropriato delle tecnologie.

Una letteratura crescente sottolinea l’efficacia degli interventi di digital literacy mirati ai minori, come forma di empowerment e di protezione (Helsper, 2017). Tuttavia, senza un’azione sistemica che coinvolga anche l’industria tecnologica e le politiche pubbliche, la tendenza all’adultizzazione digitale rischia di radicarsi sempre più profondamente.

Adultizzazione e social network

I social network rappresentano una delle nuove agenzie socializzatrici più potenti nella configurazione della soggettività giovanile. Piattaforme come Facebook, Instagram, TikTok, Snapchat sono diventate spazi di espressione identitaria, relazionale e culturale, ma anche veicoli di adultizzazione incontrollata. Il loro funzionamento è basato su logiche performative, estetiche e commerciali che promuovono un’accelerazione dei processi di crescita psicosociale (Marwick, Boyd, 2011).

L’identità digitale, per i nativi digitali, si costruisce attraverso la continua ipervisibilità pubblica del sé. Il profilo social diventa una sorta di vetrina dell’io, nella quale si selezionano contenuti e immagini orientati al consenso e al riconoscimento. Questo induce bambini e adolescenti a emulare modelli adulti, estetizzati e sessualizzati, in cui la validazione sociale è misurata in termini di like, visualizzazioni e commenti (Twenge, 2017).

Le dinamiche performative promuovono una rappresentazione adulta dell’identità: il corpo è messo in scena, i comportamenti sono anticipati, i codici relazionali sono riprodotti in forma adulta, senza il corrispettivo sviluppo cognitivo ed emotivo (Barassi, 2020). In questo senso, la socializzazione digitale diventa anche una messa in scena di tale processo. Uno dei tratti distintivi dell’adultizzazione via social è l’assorbimento precoce delle logiche economiche dell’influencer marketing. Sempre più utenti aspirano a diventare content creator, interiorizzando valori come popolarità, monetizzazione, immagine e branding personale.

Secondo uno studio del Pew Research Center (2022), tra i bambini statunitensi tra gli 8 e i 12 anni, oltre il 45% indica la carriera di influencer o youtuber come obiettivo professionale prioritario. Questo spostamento dei modelli aspirazionali verso figure pubbliche digitali contribuisce a mitigare i confini tra età, ruoli sociali e fasi evolutive.

Inoltre, i social network offrono strumenti che facilitano la costruzione di un’identità performativa vendibile: filtri estetici, effetti, hashtag strategici e format replicabili. Ciò porta a una precoce interiorizzazione di valori tipici dell’adultità neoliberista: visibilità, competizione, estetica, successo economico (Couldry, Mejias, 2019).

Un effetto specifico dell’adultizzazione via social è la crescente sessualizzazione, come spiegato, in particolare delle bambine e delle adolescenti. L’imitazione di pose, vestiti, trucchi e contenuti ispirati a modelli adulti, spesso ipersessualizzati, contribuisce a costruire una femminilità performativa anticipata, che può generare disagio, oggettivazione e aumento dei rischi online.

Studi recenti hanno evidenziato una correlazione tra uso intensivo di Instagram e aumento di disturbi dell’immagine corporea, autostima bassa e sintomi depressivi tra le adolescenti (Moreno, Radensky, Owings-Fonner 2025). La pressione estetica costante agisce come una forma di socializzazione distorta, in cui il valore personale viene misurato sulla base dell’aderenza a standard adulti e irrealistici. L’ambiente social è regolato da algoritmi che selezionano e promuovono contenuti in base alla probabilità di engagement, e non alla pertinenza educativa o alla qualità etica. Questo determina una “socializzazione algoritmica”, in cui i processi educativi sono invisibili, automatici e orientati al consumo (Boccia Artieri, 2012). Tale struttura rende difficile il controllo genitoriale e scolastico, poiché i contenuti si autoriproducono e si personalizzano in base ai comportamenti precedenti. Ne deriva un’esposizione crescente a contenuti non adatti, con effetti sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, in un’età in cui ancora mancano le difese cognitive e critiche e la conseguente competenza sociale.

Conclusioni

L’analisi del rapporto tra socializzazione e adultizzazione nella società contemporanea mette in luce una trasformazione profonda e ambivalente dei processi educativi, identitari e culturali. Se da un lato la socializzazione rimane il processo essenziale per la costruzione dell’identità e per l’integrazione sociale, dall’altro l’adultizzazione rappresenta un disvalore, una disfunzione crescente, che altera i tempi, i modi e le qualità dell’ingresso nel mondo adulto.

Nell’attuale scenario ipermoderno, segnato da crisi istituzionali, accelerazione tecnologica, globalizzazione dei modelli culturali e fragilità delle reti educative, l’individuo è esposto fin dall’infanzia a stimoli, pressioni e responsabilità non adeguate alla sua fase evolutiva. L’infanzia e l’adolescenza, da fasi tutelate e valorizzate, rischiano di diventare luoghi di transizione rapida, privati della possibilità di esperire il tempo del gioco, dell’errore, della costruzione del sé (Postman, 1982; Nussbaum, 2011).

L’adultizzazione si manifesta su più piani: economico (responsabilità lavorative precoci), simbolico (emulazione di ruoli adulti), corporeo (sessualizzazione e cura dell’estetica), sociale (relazioni competitive) e cognitivo (logiche performative e consumo culturale adulto). Questo fenomeno compromette la possibilità di una crescita armonica, creando squilibri che si riflettono in fragilità emotiva, esclusione sociale e povertà educativa.

L’analisi delle dinamiche digitali e dei social network ha mostrato come questi strumenti, se non mediati da adulti significativi, amplifichino l’adultizzazione: algoritmi, estetiche artificiali, contenuti inadeguati e modelli irrealistici invadono il tempo e la mente dei più giovani, rendendo l’identità un prodotto da esporre e monetizzare più che un processo da coltivare.

In tale contesto, appare urgente un ripensamento delle agenzie educative. La famiglia deve recuperare il ruolo di guida affettiva e normativa, resistendo alla delega indiscriminata verso lo schermo. La scuola deve tornare a essere luogo di educazione integrale, e non solo d’istruzione nozionistica, in sinergia con la famiglia stessa e il digitale. Le politiche pubbliche devono promuovere la tutela dell’infanzia attraverso investimenti su servizi educativi, alfabetizzazione mediatica, regolamentazione tecnologica, ascolto generazionale.

Sul piano teorico, la sociologia è chiamata a riformulare i concetti tradizionali di socializzazione, età e ruolo, integrando le nuove dimensioni della vita digitale, della frammentazione identitaria e dell’iperconnessione. La transizione all’età adulta non può più essere pensata in termini lineari e standardizzati, ma come un processo plurale, a volte asimmetrico, continuamente negoziato, che necessita di protezione, accompagnamento e consapevolezza.

In definitiva, proteggere l’infanzia dall’adultizzazione precoce non significa escluderla dalla modernità, ma garantirle gli strumenti interpretativo-cognitivi e i tempi necessari per abitarla e viverla in modo cosciente, critico e pienamente umano.

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