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Guerra dei chip, così il Vietnam rompe gli equilibri



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Gli Usa revocano restrizioni su software EDA verso la Cina in cambio di terre rare. Il nuovo accordo Usa-Vietnam sui trasbordi riaccende però le tensioni, rendendo fragile la tregua nella guerra dei chip

Pubblicato il 8 lug 2025

Gabriele Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio

Nicola Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio



modelli AI llm cinesi

Un apparente disgelo nelle relazioni sino-americane si scontra già con nuove tensioni. Gli Stati Uniti hanno revocato le recenti restrizioni sull’esportazione di software per la progettazione di semiconduttori (EDA) e di etano verso la Cina, un’iniziativa che, secondo gli analisti, sembrava preludere a un “piccolo cessate il fuoco nella guerra dei chip”. Questo allentamento non è un semplice ripensamento, ma il risultato di un “accordo quadro” raggiunto dopo colloqui tra le due superpotenze, come confermato dal Ministero del Commercio cinese.

Una fonte governativa statunitense ha rivelato che Washington ha “intensificato le restrizioni per de-escalation”, imponendo blocchi su più prodotti proprio per indurre Pechino a fare marcia indietro sulle terre rare.

Tuttavia, l’ottimismo è già minato: un nuovo accordo commerciale tra gli Stati Uniti e il Vietnam, rivelato dal Presidente Trump, che impone tariffe elevate sui trasbordi, ha scatenato la ferma opposizione di Pechino. La Cina ha espresso giovedì la sua forte contrarietà a qualsiasi intesa che possa danneggiare paesi terzi, segnalando che le strategie di Washington per contrastare le elusioni delle sanzioni rischiano di riaccendere immediatamente le tensioni.

Il muro contro Pechino: una strategia di contenimento tecnologico

La “guerra dei chip”, un conflitto tecnologico silenzioso ma profondo, affonda le sue radici nelle crescenti preoccupazioni statunitensi riguardanti l’accelerato sviluppo tecnologico cinese e le sue implicazioni per la sicurezza nazionale e la supremazia militare globale. Negli ultimi anni, Washington ha progressivamente aumentato la pressione su Pechino, cercando di limitare l’accesso a semiconduttori avanzati e strumenti essenziali per la loro produzione, nel tentativo di rallentare il programma cinese “Made in China 2025” e salvaguardare il proprio vantaggio strategico.

Le restrizioni di maggio: colpo alle aziende americane dei semiconduttori

Solo poche settimane fa, il 23 maggio, il Bureau of Industry and Security (BIS) del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti aveva notificato a diverse aziende di software per la progettazione di chip la necessità di ottenere licenze speciali per l’invio di determinate tecnologie in Cina. Tra le restrizioni figuravano non solo software EDA all’avanguardia, ma anche prodotti chimici e materiali altamente specializzati, tutti elementi cruciali per la fabbricazione di semiconduttori avanzati.

Aziende come Synopsys e Cadence Design Systems – che insieme controllano una quota preponderante del mercato globale dei software EDA – e la divisione americana di Siemens EDA (parte del conglomerato tecnologico tedesco Siemens, ma con un’impronta significativa negli USA) si erano trovate improvvisamente con la spada di Damocle sulle loro operazioni in Cina. Synopsys aveva chiaramente espresso le sue preoccupazioni, affermando di stare “continuando a valutare l’impatto delle restrizioni all’esportazione relative alla Cina sulla sua attività, sui suoi risultati operativi e sulla sua situazione finanziaria”. Questa dichiarazione celava la profonda ansia di fronte alla potenziale perdita di un mercato che, per queste aziende, significa miliardi di dollari in ricavi.

Resistenza industriale: lobby tecnologiche contro i blocchi commerciali

Le restrizioni, sebbene mirate, avevano subito generato un coro di preoccupazioni e critiche da parte delle principali aziende e associazioni di settore statunitensi. Giganti tecnologici come Oracle e Nvidia, così come potenti gruppi di pressione quali il Consiglio dell’Industria della Tecnologia dell’Informazione (ITI) e l’Associazione dell’Industria dei Semiconduttori (SIA), avevano espresso pubblicamente o tramite canali riservati forti perplessità. La loro argomentazione era chiara: un blocco così ampio non solo avrebbe inflitto danni finanziari significativi alle aziende americane, ma avrebbe anche rischiato di accelerare il programma cinese per sviluppare tecnologie proprie, rendendo inefficace e controproducente l’obiettivo di rallentare Pechino.

La velocità della retromarcia: segno di un accordo sotterraneo e un nuovo “quadro” negoziato

La sorpresa maggiore è arrivata con la straordinaria rapidità della revoca. “Il 2 luglio, Synopsys ha ricevuto una lettera dal Bureau of Industry and Security del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, che informava Synopsys che le restrizioni all’esportazione relative alla Cina, ai sensi di una lettera ricevuta il 29 maggio 2025, sono state revocate, con effetto immediato”, ha annunciato l’azienda. Un lasso di tempo di poco più di un mese tra l’imposizione e la revoca completa delle restrizioni è quasi senza precedenti in una disputa di tale portata, suggerendo che la decisione non sia stata una semplice correzione di rotta, ma il risultato di negoziati intensi e di un accordo di vasta portata.

L’amministrazione Trump: pragmatismo nella guerra dei chip

Questo sviluppo si inserisce nel contesto dell’attuale amministrazione del Presidente Donald Trump. Dopo una fase di marcato inasprimento delle tensioni commerciali e tecnologiche nella prima metà del 2025, sembra che la Casa Bianca stia adottando un approccio più pragmatico e transazionale. La revoca delle restrizioni EDA non è un atto isolato, ma una pedina in una scacchiera più ampia di compromessi e concessioni reciproche. Questo riflette una volontà di trovare un equilibrio tra la pressione strategica su Pechino e la necessità di mantenere aperti i canali commerciali e diplomatici, specialmente in un periodo pre-elettorale.

Scambio strategico: terre rare contro software per semiconduttori

Le analisi più accreditate indicano che la revoca delle licenze sul software EDA è stata una moneta di scambio per assicurarsi l’accesso a risorse critiche cinesi:

  • Terre rare. La Cina è il fornitore dominante a livello globale di terre rare, minerali critici essenziali per la produzione di una vasta gamma di tecnologie avanzate. Le restrizioni cinesi sull’esportazione di questi materiali, imposte ad aprile 2025, avevano generato profonda preoccupazione a Washington. Tuttavia, la Cina aveva approvato diverse domande di esportazione conformi, indicando una flessibilità selettiva. Venerdì, il Ministero del Commercio cinese ha confermato che, in seguito a colloqui con gli Stati Uniti, le due parti hanno concordato un “quadro” di riferimento: la Cina esaminerà le domande di esportazione per i prodotti controllati (come le terre rare) e gli Stati Uniti, in cambio, annulleranno le corrispondenti misure restrittive. Una fonte vicina alle discussioni interne al governo statunitense ha chiarito la strategia di Washington: “Gli Stati Uniti hanno intensificato le restrizioni per de-escalation. Hanno imposto restrizioni su molti altri prodotti per indurre i cinesi a fare marcia indietro sulle terre rare”.
  • Etano e altri beni energetici. In un altro segno di concessione reciproca, gli Stati Uniti hanno rimosso i requisiti di licenza per l’esportazione di etano verso la Cina, imposti a fine maggio e giugno. L’etano è un idrocarburo fondamentale per l’industria petrolchimica cinese. Alcune fonti suggeriscono che anche l’export di motori a reazione americani verso la Cina sia stato oggetto di simili accordi.
  • Pressione delle aziende e apertura del mercato. Le pressioni esercitate dalle potenti lobby delle aziende tecnologiche statunitensi sono state un fattore determinante. Per Synopsys e Cadence, la Cina rappresenta un mercato gigantesco. Colossi come Nvidia e Oracle, assieme all’Associazione dell’Industria dei Semiconduttori (SIA) e al Consiglio dell’Industria della Tecnologia dell’Informazione (ITI), avevano argomentato contro l’ampiezza delle restrizioni. Avevano avvertito che tali misure unilaterali avrebbero sì danneggiato le aziende americane, ma avrebbero anche spinto Pechino a investire ancora più aggressivamente nello sviluppo di alternative domestiche, erodendo la leadership tecnologica statunitense a lungo termine.

Questo scenario di “do ut des” trasforma la revoca da un semplice passo indietro a una complessa mossa negoziale, sottolineando l’interdipendenza economica che persiste tra le due superpotenze, nonostante le tensioni geopolitiche. La fonte governativa americana ha persino previsto che, “se Stati Uniti e Cina continueranno a rispettare questo accordo quadro, vedremo molte di queste restrizioni scomparire. Si tornerà allo status quo di febbraio/marzo”. “Ciò segna un netto miglioramento delle relazioni e un piccolo cessate il fuoco nella guerra dei chip”, ha affermato Susannah Streeter, responsabile del settore finanziario e dei mercati presso Hargreaves Lansdown.

Nonostante il clima di disgelo apparente e il nuovo quadro di accordi, analisti ed esperti mettono in guardia da un eccessivo ottimismo, indicando nuove e potenziali fonti di tensione che potrebbero minare la fragilità dell’intesa.

Streeter, di Hargreaves Lansdown, ha subito precisato che “non vi è alcuna indicazione che i controlli imposti per ragioni di sicurezza nazionale saranno allentati per aziende come Nvidia e ASML“. Questo è un punto cruciale.

A maggio, l’amministrazione Trump aveva già imposto limiti all’esportazione del chip di intelligenza artificiale H20 di Nvidia, specificamente progettato per il mercato cinese, nel tentativo di ostacolare l’accesso di Pechino alla tecnologia all’avanguardia per l’IA. Analogamente, le restrizioni sulle macchine per la litografia avanzata di ASML (azienda olandese, ma le cui tecnologie sono influenzate dalla politica USA) rimangono salde, impedendo alla Cina di produrre i chip più sofisticati. Ciò suggerisce che Washington mantiene la sua linea dura su tecnologie che ritiene direttamente correlate alla capacità militare e all’avanzamento strategico della Cina nell’intelligenza artificiale e nella computazione avanzata.

Vietnam nuovo fronte: accordo usa sui trasbordi scatena Pechino

Il vero rischio di un “contraccolpo”, secondo gli analisti, emerge dalla nuova attenzione di Washington ai trasbordi. I trasbordi si riferiscono alla pratica di spedire merci attraverso un paese terzo per mascherarne la destinazione finale o eludere le restrizioni all’esportazione. La Cina è stata accusata in passato di utilizzare vie indirette per ottenere tecnologie soggette a sanzioni.

È in questo contesto che si inserisce il recente e controverso accordo commerciale tra Stati Uniti e Vietnam, rivelato dal Presidente Donald Trump mercoledì dopo un colloquio con To Lam, segretario generale del Partito Comunista del Vietnam. “Sarà un grande esempio di cooperazione tra i nostri due Paesi”, ha dichiarato Trump su Truth Social. I termini dell’accordo prevedono una riduzione dei dazi per le esportazioni vietnamite verso gli Stati Uniti, ma, crucialmente, impongono che “il Vietnam pagherà agli Stati Uniti una tariffa del 20% su tutte le merci inviate nel nostro territorio e una tariffa del 40% su qualsiasi trasbordo“. Trump ha anche annunciato “accesso totale” per le aziende statunitensi ai mercati vietnamiti a “ZERO dazi”, spingendo anche l’idea che i SUV americani sarebbero un’aggiunta preziosa al mercato vietnamita. L’accordo sostituisce un precedente dazio “esorbitante” del 46% imposto da Trump sui prodotti vietnamiti, sospeso in attesa della scadenza del 9 luglio. Questo accordo con il Vietnam non è solo una mossa economica, ma riflette anche una strategia geopolitica più ampia dell’amministrazione Trump per diversificare le catene di approvvigionamento e rafforzare la rete di alleanze nell’Indo-Pacifico in funzione anti-cinese, riaffermando una sorta di ‘Dottrina Trump’ in politica commerciale.

La reazione di Pechino è stata immediata e veemente. Giovedì, la portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha espresso forte opposizione a qualsiasi accordo commerciale tra Stati Uniti e Vietnam che possa avere ripercussioni su paesi terzi. In una conferenza stampa trasmessa in diretta streaming, Mao Ning ha sottolineato che la Cina sostiene la risoluzione dei conflitti commerciali attraverso una consultazione paritaria e ha insistito sul fatto che “eventuali accordi non devono danneggiare o colpire altre nazioni”.

Questa dichiarazione cinese è un chiaro avvertimento: se Washington intensificherà la sua repressione sui trasbordi attraverso paesi come il Vietnam – trasformandoli, di fatto, in “guardiani” delle sanzioni – la Cina potrebbe percepire questa mossa come un nuovo tentativo di strangolamento tecnologico. Ciò rischierebbe di invalidare il recente allentamento delle restrizioni dirette, innescando una nuova ondata di ritorsioni da parte di Pechino e riaccendendo le tensioni che il “cessate il fuoco” mirava a placare.

Equilibri fragili: una tregua temporanea nel conflitto tecnologico

Il recente allentamento delle restrizioni sulle esportazioni di software EDA e etano segna un raro momento di distensione nella complessa relazione tra Stati Uniti e Cina. L’accordo, nato da un preciso scambio di interessi reciproci – accesso a tecnologie per Pechino, accesso a terre rare e altri beni strategici per Washington, il tutto formalizzato in un “accordo quadro” – offre un sollievo immediato alle aziende americane che dipendono dal vasto mercato cinese. Synopsys e Cadence hanno visto le loro azioni salire, riflettendo l’ottimismo degli investitori.

Tuttavia, l’analisi degli esperti e la reazione di Pechino rivelano che questa “tregua” è tutt’altro che una pace duratura. La linea dura sulle tecnologie di sicurezza nazionale (come i chip AI di Nvidia e le macchine ASML) rimane invariata, e la crescente attenzione ai trasbordi – con il Vietnam che si profila come un nuovo potenziale “vigilante” per Washington – ha già innescato una reazione furiosa da parte cinese. La guerra dei chip si evolve, passando da blocchi diretti a tattiche più sottili di contenimento.

Per la Cina, questa tregua sul software EDA rappresenta un sollievo immediato, ma non altera gli obiettivi strategici a lungo termine del programma “Made in China 2025”, che punta all’autosufficienza tecnologica. Sebbene l’accesso continuo a strumenti EDA avanzati sia cruciale nel breve-medio termine, la persistenza delle restrizioni sui chip più avanzati e sulle attrezzature di litografia, insieme alla nuova minaccia dei trasbordi, spingerà Pechino a raddoppiare gli investimenti in ricerca e sviluppo interna. La tregua potrebbe, paradossalmente, rafforzare la determinazione cinese a costruire una catena di approvvigionamento completamente domestica, immune dalle future fluttuazioni delle politiche commerciali statunitensi.

L’oscillazione delle politiche tra ‘disgelo’ e ‘contraccolpo’ crea un ambiente di incertezza che si ripercuote sull’intera catena di approvvigionamento globale dei semiconduttori. Aziende in Corea del Sud, Taiwan e Giappone, che sono anelli vitali in questa catena, devono costantemente ricalibrare le loro strategie di investimento e produzione. Questo clima di instabilità spinge le aziende a ‘de-rischiare’ le loro operazioni, spesso cercando di ridurre la dipendenza da un singolo paese o da un’unica rotta commerciale, con costi e inefficienze che alla fine si riflettono sui consumatori globali.

Gli occhi sono ora puntati non solo su Washington e Pechino, ma anche su paesi terzi come il Vietnam, il cui ruolo nelle dinamiche di controllo delle esportazioni potrebbe diventare determinante. Questa tregua è fragile: il suo futuro dipenderà da quanto a lungo entrambe le superpotenze riusciranno a bilanciare la cooperazione economica con la competizione strategica in un panorama globale in costante mutamento, con il rischio costante che una nuova mossa possa far deragliare gli equilibri raggiunti.

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