Il progetto di un “Cern dell’intelligenza artificiale” rappresenta una sfida decisiva per l’Europa: costruire una sovranità cognitiva fondata su ricerca pubblica, infrastrutture condivise e visione politica comune. Il Manifesto di Bologna ne delinea il modello possibile.
Il Manifesto per un Centro Europeo di Ricerca sull’Intelligenza Artificiale è stato firmato da figure come Parisi, LeCun, Villani e Schölkopf. L’obiettivo è costruire una struttura pubblica capace di federare competenze e potenza di calcolo, trattenere talenti e dare all’Europa un ruolo nel governo dell’AI. Ma la domanda è se e come l’Europa riuscirà a trasformare questo sogno in un progetto concreto, superando la frammentazione nazionale e il divario con Stati Uniti e Cina.
Indice degli argomenti
Dalla visione di Parisi al Manifesto di Bologna
L’Europa non può più limitarsi a osservare l’intelligenza artificiale da bordo campo. È il messaggio lanciato a Bologna da Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica, insieme a Pierluigi Contucci e a scienziati di livello mondiale come Yann LeCun, francese, oggi Chief AI Scientist di Meta negli Stati Uniti, Cédric Villani, Bernhard Schölkopf e Marc Mézard. Il loro Manifesto chiede la nascita di un Centro Europeo di Ricerca sull’Intelligenza Artificiale, un luogo pubblico, aperto, interdisciplinare, fondato sul capitale umano e su una visione di lungo periodo. L’immagine è chiara, un “Cern dell’AI”.
Un laboratorio europeo che unisca teoria e applicazione, scienza e industria, per costruire le basi di una sovranità cognitiva oggi mancante. Per Parisi non è solo una proposta accademica, ma un atto politico. Nel continente che ha regolato l’AI prima di comprenderla fino in fondo, il Manifesto di Bologna invita a cambiare prospettiva: non solo normare, ma generare conoscenza.
Un modello di ricerca pubblica per l’AI europea
Il documento propone un centro pubblico e indipendente, fondato su alcuni principi cardine, ricerca fondamentale, interdisciplinarità, trasparenza, sostenibilità e accesso aperto. L’AI viene descritta come un bene comune, da sviluppare con logiche open source e governance condivisa. Il centro dovrebbe favorire il dialogo tra fisici, informatici, biologi, linguisti, filosofi e ingegneri, unendo le competenze oggi disperse in centinaia di laboratori europei.
L’obiettivo è duplice, trattenere i talenti e creare un motore di innovazione pubblica capace di trasformare la ricerca in applicazioni industriali. Un modello agile, ma ad alto impatto, con infrastrutture di calcolo accessibili e una rete di gruppi di ricerca visionari. Non solo un centro, ma un’architettura di cooperazione scientifica. Come il Cern per la fisica delle particelle, potrebbe diventare il cuore di un nuovo ecosistema europeo dell’AI.
I nodi critici: governance, risorse, volontà politica
L’idea è potente, ma le sfide sono immense. Finora l’Europa non è riuscita a creare un’istituzione unitaria per l’AI. I progetti nazionali competono più che cooperare, i fondi restano frammentati, la potenza di calcolo è concentrata fuori dal continente. Il rischio è che anche il Manifesto resti un appello isolato, come già accaduto per altri tentativi di coordinamento.
Perché il “Cern dell’AI” diventi realtà, occorrono almeno quattro condizioni:
- una visione condivisa tra Stati membri,
- un fondo dedicato con risorse pluriennali,
- una governance meritocratica
- e una rete di alleanze tra università, imprese e istituzioni.
Ma serve anche qualcosa di meno tangibile, il coraggio di pensare l’AI non solo come tecnologia da regolare, ma come scienza da comprendere.
Cosa cambia davvero: perché questo Manifesto non è l’ennesimo appello
A differenza dei precedenti tentativi, il Manifesto di Bologna integra quattro dimensioni che raramente hanno camminato insieme: una base teorica esplicita (una vera e propria “scienza dell’AI”), un modello organizzativo snello ma federato, un’impostazione di AI come bene pubblico (open, accessibile, non catturabile) e un ancoraggio politico alla sovranità cognitiva. Qui la regolazione non è il punto di arrivo, ma un vincolo abilitante: il Centro nasce per fare ricerca, trasferirla e al contempo porre limiti e garanzie (trasparenza, auditabilità, riduzione dei rischi di monopolio informativo), come ricordato da Parisi anche nelle interviste televisive. Il centro immaginato è pubblico e indipendente, con una sede di riferimento e una rete di gruppi europei collegati. La sua missione combina fondamenti teorici e applicazioni di frontiera. La potenza di calcolo cresce in modo programmato e condiviso; l’accesso è regolato da criteri di merito e impatto.
L’apertura verso startup e imprese è bilanciata da modelli di proprietà intellettuale condivisi, per evitare che il valore generato si disperda in acquisizioni premature. La sostenibilità energetica non è un capitolo accessorio: è parte della strategia scientifica (efficienza degli algoritmi, tracciabilità dell’impronta energetica, scelta dei siti e dei mix energetici).
Collegamento con le strategie europee in arrivo
Il Manifesto si incastra con le nuove linee della Commissione (Apply AI e AI in Science), da un lato accelera l’adozione dell’AI in industria e PA, dall’altro alimenta la ricerca di base con infrastrutture, dati e compute condivisi. Il Centro può diventare il perno di questa architettura, AI Factories per applicazioni e prototipi, Data Spaces e cataloghi di dataset europei, un programma talenti che riduca la fuga di cervelli e incentivi rientri e mobilità intra‑UE. In sintesi: una dorsale pubblica su cui innestare progetti industriali e politiche di adozione.
Un modello di governance indipendente e trasparente
La governance è il crocevia. Servono un Consiglio scientifico indipendente con poteri reali su agenda e valutazioni; un Board di indirizzo con Stati, Commissione e partner pubblici; un Comitato etico e di rischio con mandato su trasparenza, audit e tutela dei diritti; un Transfer Office europeo per IP, standard e licensing aperti. Le partnership industriali vanno progettate su call tematiche con clausole di open access differito e rientro economico sull’ecosistema. La regola aurea: negoziare con chiunque, ma farsi catturare da nessuno.
Risorse, infrastrutture e programmi di ricerca
La scala è europea. Parliamo di un impegno pluriennale con fondi congiunti e co‑investimenti nazionali. Più che rincorrere la pura intensità di capitale dei Big Tech, il Centro deve massimizzare efficacia marginale: infrastrutture computazionali federate e ottimizzate, cluster verticali (sanità, robotica, linguaggi multilingue, clima/ambiente, sicurezza dei dati), programmi PhD e tenure‑track competitivi, borse di rientro, procurement pubblico per proof‑of‑concept e pre‑commercial procurement.
Le cinque condizioni indispensabili per il successo
Perché il progetto possa riuscire, serve:
- un atto politico vincolante che definisca sede, statuto, budget e una timeline deliberata a livello UE, con cofinanziamento degli Stati membri.
- I dati e la potenza di calcolo devono essere trattati come beni d’infrastruttura comuni, con accesso equo e meritocratico, e quote riservate alla ricerca di base e alle applicazioni a impatto sociale.
- La strategia sui talenti è altrettanto cruciale: servono stipendi competitivi, percorsi di carriera europei, mobilità semplificata e programmi di rientro per i ricercatori.
- Anche il regime di proprietà intellettuale e di standard deve seguire logiche pro‑competitive, con licenze aperte o duali e obblighi di condivisione dei risultati finanziati con fondi pubblici.
- Infine, la sostenibilità energetica va resa misurabile attraverso indicatori su efficienza computazionale, tracciabilità dei consumi e uso di energie a basse emissioni.
Scenari possibili per il futuro del Centro europeo
Scenario di successo: governance indipendente, funding stabile e multiennale, primi risultati scientifici “fondativi” (teoria, efficienza, sicurezza) e prototipi trasferiti a PA e industria; il Centro diventa standard‑setter europeo, riduce la fuga di cervelli e attira partnership globali senza perdere autonomia.
Scenario intermedio: la sede nasce, ma le reti restano deboli; alcuni progetti di punta procedono, ma la frammentazione nazionale persiste. Si producono buone pubblicazioni e prototipi, senza massa critica né effetti di sistema.
Scenario di fallimento: governance politicizzata, budget a singhiozzo, cattura industriale o conflitti tra Stati; prevale una logica di vetrina. Il Centro non incide su talenti, standard, o trasferimento tecnologico e l’Europa resta rule‑taker.
La forza del manifesto: unire ambizione e prudenza
Innovare e mettere limiti non sono azioni opposte, sono le due mani della stessa strategia. Senza trasparenza dei modelli, audit indipendenti e regole contro i monopoli informativi, l’Europa rischia di costruire infrastrutture che altri controlleranno a valle. La forza del Manifesto sta proprio qui, unire ambizione scientifica e prudenza istituzionale, facendo della sovranità cognitiva una politica industriale concreta.
Il “Cern dell’AI” come test di maturità per l’Europa
Il “Cern dell’AI” non è un simbolo, è un test di maturità. Se l’Europa riuscirà a scegliere una governance indipendente, a finanziare in modo stabile e a misurare i risultati con KPI chiari (ricerca di base, trasferimento, talenti, efficienza energetica), allora il Manifesto di Bologna potrà diventare un’istituzione reale. Diversamente, resterà l’ennesimo esercizio retorico. La differenza, come sempre, la faranno decisione politica, qualità della governance e capacità di tenere insieme scienza, industria e società.










