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Pubblicità, il futuro del modello Google nelle mani della giustizia Usa



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Il Dipartimento di Giustizia Usa chiede al giudice di obbligare Google a vendere parte della sua tecnologia pubblicitaria. Dopo la causa sul search, ora si apre un nuovo fronte che potrebbe ridefinire il potere delle Big Tech

Pubblicato il 25 set 2025

Maurizio Carmignani

Founder & CEO – Management Consultant, Trainer & Startup Advisor



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Un tribunale federale della Virginia valuta se imporre a Google la vendita del suo ad exchange e l’apertura del codice dei suoi strumenti pubblicitari.

La decisione della giudice Leonie Brinkema, attesa nei prossimi mesi, potrebbe segnare la prima vera divisione di un gigante tecnologico dai tempi di AT&T. Un passaggio cruciale per il futuro delle regole antitrust nell’economia digitale.

La richiesta di smembramento del Dipartimento di Giustizia

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha chiesto formalmente a un giudice federale di imporre a Google la vendita del suo software di intermediazione pubblicitaria (ad exchange) per porre fine a un monopolio ritenuto dannoso per editori e inserzionisti.

L’udienza, aperta il 22 settembre davanti alla giudice Leonie M. Brinkema presso la Corte distrettuale della Virginia, potrebbe ridefinire il peso del colosso di Mountain View nel mercato pubblicitario digitale da 30 miliardi di dollari l’anno.

Il funzionamento dell’ecosistema pubblicitario digitale

La sigla ad tech (advertising technology) indica l’insieme di piattaforme e software che gestiscono la compravendita automatizzata degli spazi pubblicitari online.

Si tratta di sistemi che mettono in relazione editori e inserzionisti attraverso aste che avvengono in frazioni di secondo ogni volta che un utente carica una pagina web. Comprendono strumenti per la gestione dell’inventario degli annunci da parte degli editori, piattaforme che consentono agli inserzionisti di fare offerte e i cosiddetti ad exchange, che fungono da mercato centralizzato per connettere domanda e offerta. È un’infrastruttura invisibile al consumatore finale ma fondamentale per la sostenibilità economica del web.

La sentenza di aprile e le posizioni in campo

Ad aprile, la stessa giudice Brinkema aveva stabilito che Google deteneva un monopolio sugli strumenti usati dagli editori per vendere spazi pubblicitari e sul sistema di connessione con gli acquirenti.

Non era stata invece dimostrata la posizione dominante sugli strumenti per gli inserzionisti. Ora si discute di rimedi, il governo chiede lo smembramento, Google propone aperture più limitate, come la compatibilità dei suoi sistemi con quelli dei rivali e modifiche al sistema di aste pubblicitarie.

La posizione del Dipartimento di Giustizia è netta: “nulla di meno di una cessione strutturale è sufficiente a portare un cambiamento significativo”, ha dichiarato l’avvocata Julia Tarver Wood. Per l’azienda, invece, la richiesta è “radicale e sconsiderata”, come ha affermato la legale Karen Dunn.

Il precedente della causa sul motore di ricerca

Il caso ad tech segue a breve distanza la decisione del giudice Amit P. Mehta, che, a inizio settembre, aveva respinto la richiesta di smembramento del business di ricerca online di Google, limitandosi a ordinare la condivisione dei risultati, la riduzione dei pagamenti a partner come Apple per garantire la posizione predefinita del motore di ricerca e l’introduzione di nuove restrizioni contrattuali.

Quella sentenza è stata letta come una vittoria parziale per Google, che ha così evitato la vendita forzata del browser Chrome e di altre attività. Ora però il fronte pubblicitario appare più delicato, la giudice Brinkema ha già fatto intendere di considerare seriamente l’opzione di una cessione forzata, soprattutto per l’ad exchange che connette editori e inserzionisti e che costituisce il cuore della catena del valore pubblicitario di Google.

Due strategie antitrust a confronto

Le due cause antitrust contro Google presentano caratteristiche molto differenti. Nel caso search, il giudice Amit Mehta ha scelto un approccio prudente, nessuno smembramento, ma obblighi di condivisione dei risultati e limiti ai contratti che garantivano a Google la posizione predefinita nei browser e negli smartphone.

Nel caso ad tech, invece, la giudice Brinkema sembra orientata a valutare seriamente la strada della cessione forzata di asset, perché qui l’abuso di posizione dominante è stato riconosciuto con maggiore chiarezza.

In gioco non c’è solo la governance della ricerca online, ma l’intera filiera della pubblicità digitale, che vale quasi un decimo del fatturato di Alphabet e rappresenta un pilastro del modello di business di Google.

Lo svolgimento dell’udienza e i prossimi passi

L’udienza in corso durerà due o tre settimane e vedrà testimoniare dipendenti ed ex dipendenti di Google, oltre a esperti e concorrenti del settore. Tra i primi testimoni chiamati dal governo vi sono Andrew Casale, presidente di Index Exchange, che ha dichiarato che le proposte di Google non sarebbero sufficienti a ristabilire la concorrenza, Grant Whitmore di Advance Local, secondo cui lo smembramento della filiera pubblicitaria permetterebbe un campo di gioco più equilibrato.

Nei prossimi mesi la giudice Brinkema dovrà decidere se adottare un rimedio drastico come lo smembramento o se accettare le soluzioni proposte da Google. Un passaggio che potrebbe avere effetti immediati anche sugli altri procedimenti antitrust in corso negli Stati Uniti contro Meta, Amazon e Apple.

Il quadro generale delle cause contro le Big Tech

Il caso Google non è isolato, il governo statunitense ha avviato azioni legali anche contro le altre grandi piattaforme digitali.

Con Meta l’accusa è di aver eliminato concorrenti emergenti acquisendo Instagram e WhatsApp; con Amazon si contesta la gestione della propria piattaforma che penalizzerebbe i piccoli commercianti, con processo fissato al 2027; con Apple il focus è sull’ecosistema chiuso dei dispositivi, che renderebbe difficile per gli utenti cambiare servizi.

Questi procedimenti, insieme a quello sull’ad tech di Google, disegnano una strategia più ampia per limitare il potere concentrato delle Big Tech.

Implicazioni e possibili scenari futuri

Se Google fosse costretta a vendere il suo ad exchange, si tratterebbe del più grande smembramento di un’azienda tecnologica dai tempi della divisione di AT&T nel 1984, con conseguenze dirette sugli equilibri dell’advertising digitale. Una decisione del genere potrebbe aprire la strada a rimedi più incisivi in altri casi, rafforzando il ruolo della giurisprudenza antitrust come contrappeso al potere delle Big Tech.

Al contrario, se dovessero prevalere le soluzioni più leggere, il rischio è che le autorità confermino la difficoltà di incidere davvero sulla struttura dei mercati digitali. In ogni caso, la vicenda segnerà un precedente fondamentale per il futuro delle regole di concorrenza nell’economia delle piattaforme e per la governance dei mercati digitali globali.

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