rapporto istat 2025

Istat, il tracollo della Sanità italiana: il digitale aiuta solo se usato bene



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Longevità “malata”, salute mentale, cronicità, prevenzione: la sanità italiana mostra segni di crisi. Il digitale può rappresentare la svolta se integrato con governance e investimenti mirati

Pubblicato il 5 giu 2025

Sergio Pillon

Vicepresidente e responsabile relazioni istituzionali AiSDeT, Associazione italiana Sanità Digitale e Telemedicina



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La sanità digitale non è più un’opzione, ma una necessità. Il Rapporto ISTAT 2025 evidenzia un sistema sanitario sotto pressione, tra accesso diseguale alle cure, cronicità in aumento e salute mentale trascurata. In questo scenario, il digitale può diventare la leva per un SSN più equo, sostenibile e vicino ai cittadini. A condizione che non resti solo uno slogan.

Sanità: come stiamo, secondo l’ISTAT

È stato pubblicato il 25 maggio, dall’Istituto nazionale di statistica, ISTAT, il Rapporto annuale 2025. Si presenta: “Giunto alla trentatreesima edizione, il Rapporto annuale 2025 illustra i cambiamenti economici, demografici e sociali dell’anno appena trascorso, offrendo un quadro informativo integrato sulle principali sfide del nostro tempo e su quelle che l’Italia sarà chiamata ad affrontare nei prossimi anni. Il Rapporto analizza i principali punti di forza e di debolezza del nostro Paese e le sue differenti dimensioni territoriali, soffermandosi sugli elementi salienti dell’evoluzione del sistema produttivo, dell’impiego delle tecnologie e della sostenibilità ambientale”.

Sono 242 pagine di dati, tabelle ed analisi, liberamente scaricabili dal sito ISTAT, i capitoli 2 (popolazione e società) e 3 (una società per tutte le età) sono quelli centrati sui temi del curare e prendersi cura.

Ho provato a fare una analisi delle tematiche relative alla salute, espresse nel rapporto, in particolare con il filtro dell’innovazione digitale come possibile risposta

Il paradosso della longevità e il ruolo della sanità digitale

Il Rapporto ISTAT 2025 sulla salute degli italiani non è un semplice bollettino, ma un vero e proprio stress test per il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

I numeri, impietosi, ci mettono in faccia una realtà che non possiamo più ignorare: viviamo più a lungo, sì (83,4 anni di speranza di vita media), ma la qualità di questi anni aggiuntivi è in caduta libera, soprattutto per le donne (solo 56,6 anni in buona salute, un minimo storico) e per chi nasce nel Mezzogiorno (donne a 54 anni in buona salute).

È il “paradosso della longevità” che diventa voragine, un dividendo demografico che rischiamo di trasformare in un fardello insostenibile se non agiamo con urgenza e visione. E la domanda sorge spontanea: il digitale, tanto invocato, sarà la leva per trasformare questa quantità di vita in qualità, o resterà l’ennesimo alibi dietro cui nascondere l’inerzia?

Accesso negato: quando le liste d’attesa diventano il sintomo di un sistema malato

Il primo, drammatico, segnale di allarme è l’accesso alle cure. Quasi un italiano su dieci (9,9%) nel 2024 ha rinunciato a visite o esami.

La colpa? Le liste d’attesa (6,8% della popolazione, +4 punti dal 2019) e i costi (5,3%). Non è più un problema del Sud o delle fasce deboli: il Nord arranca, i più istruiti faticano. Il SSN scricchiola sotto il peso di una domanda crescente e di un’organizzazione che sembra ferma al dopoguerra. E mentre il pubblico si ingolfa, il privato prospera (23,9% paga di tasca propria l’ultima visita). Questa è la “doppia velocità” che sottilmente uccide l’universalismo, una deriva pericolosa che il digitale potrebbe, e dovrebbe, contrastare.

Immaginiamo piattaforme di prenotazione intelligenti, capaci di ottimizzare le risorse in tempo reale, integrate con sistemi di telemedicina che potrebbero gestire follow-up, consulti non urgenti, monitoraggio dei cronici, liberando slot preziosi per chi ne ha davvero bisogno. Il Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0, finalmente interoperabile e centrato sul cittadino, non può più essere un miraggio. Invece, siamo ancora a rincorrere l’emergenza con strumenti analogici.

Salute mentale, una pandemia ignorata (e i giovani pagano il conto più salato)

L’ISTAT lancia un grido d’allarme sulla salute mentale. L’indice MHI-5 medio (utilizzato per misurare il disagio psicologico e il benessere, ndr) è a 68,4, ma sono i giovani, soprattutto le giovani donne (14-24 anni), a mostrare le ferite più profonde: il loro benessere psicologico non è tornato ai livelli pre-Covid, e il divario di genere si allarga (da 3,4 a 6,1 punti).

Anche i laureati 25-44enni stanno peggio di chi ha titoli inferiori, un’inversione di tendenza che fa riflettere. Gli anziani, poi, specie donne (MHI-5 a 62,7), vivono un disagio silenzioso. Il consumo di antidepressivi è in crescita costante (47,1 dosi/1000 abitanti nel 2023) e, dato preoccupante, i suicidi tra i giovanissimi (15-24 anni) sono in aumento.

Di fronte a questa emergenza, cosa offre il sistema? Spesso poco o nulla. La telepsicologia, (neppure presa in considerazione nel PNRR) le app validate per il supporto emotivo e la gestione dello stress, i percorsi di IA per l’identificazione precoce del disagio (ad iniziare con la depressione post partum, con tutte le cautele etiche del caso) potrebbero essere risposte concrete, scalabili, accessibili. Ma serve una strategia nazionale, non iniziative spot.

Stili di vita e prevenzione: da cenerentola a regina con l’aiuto del digitale

Sul fronte degli stili di vita, luci e ombre. Meno fumo tradizionale (ma attenzione alle nuove e-cig tra i giovani, 14% dei 18-34enni), più sport (ma un terzo è ancora sedentario). Il vero peggioramento è legato all’eccesso di peso: quasi un italiano su due (46,9%) è sovrappeso o obeso. E sono i giovani (20-24 anni) a peggiorare drasticamente (21,6% in eccesso ponderale contro il 13,4% dei loro “nonni” alla stessa età). Meno frutta e verdura (dal 94% di consumo giornaliero nel 1994 al 78,2% nel 2024), e modelli di consumo di alcol che virano verso il binge drinking giovanile (15% a 20-24 anni).

La prevenzione non può più essere la cenerentola del SSN. Dispositivi indossabili, app per il coaching personalizzato, IA per l’analisi predittiva dei rischi individuali: gli strumenti ci sono. Dobbiamo passare da una logica di “cura della malattia” a una di “gestione proattiva della salute”, e il digitale è il nostro principale alleato. Ma serve un ecosistema, non singole soluzioni scollegate.

Cronicità e disuguaglianze: il digitale per non lasciare indietro nessuno

La multimorbilità cala a parità d’età nelle generazioni più recenti (es. 45-49enni: dal 16,6% al 9,3%), un segnale positivo. Ma il numero assoluto di anziani con più patologie cresce (7,8 milioni), una bomba a orologeria per la sostenibilità del sistema. Le persone con disabilità (5% della popolazione) vivono una salute percepita drammaticamente peggiore (solo il 9,8% sta bene) e una cronicità quasi universale (88%). Le disuguaglianze territoriali e per livello d’istruzione nella mortalità evitabile sono inaccettabili in un Paese civile.

Qui il digitale può fare la differenza: piattaforme integrate per la gestione della cronicità, che mettano in rete medici di famiglia, specialisti, ospedale e territorio; teleassistenza e telemonitoraggio per i pazienti fragili; IA per ottimizzare i percorsi di cura e personalizzare le terapie. Ma tutto ciò richiede infrastrutture, competenze, interoperabilità reale.

Oltre l’emergenza, verso una sanità data-driven e centrata sul cittadino

Il Rapporto ISTAT 2025 è un monito: la sanità italiana è a un bivio. Possiamo continuare a gestire l’esistente, rincorrendo le emergenze con risorse calanti, o possiamo cogliere la sfida dell’innovazione. Il digitale non è una panacea, ma offre strumenti potentissimi per rendere il nostro SSN più equo, efficiente, proattivo e personalizzato. Serve una visione strategica, investimenti mirati (il PNRR è un’occasione da non sprecare), e la volontà politica di superare le resistenze corporative e burocratiche. Altrimenti, la prossima “fotografia” ISTAT sarà ancora più impietosa, e il diritto alla salute, per molti, resterà solo sulla carta. È tempo di agire, con coraggio e intelligenza. Il futuro della nostra salute, e del nostro Paese, dipende da questo.

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