Ogni tecnologia che nasce porta con sé una promessa: rendere la conoscenza più accessibile.
Ma raramente una promessa è stata tanto concreta quanto quella che oggi ci offre l’intelligenza artificiale generativa. Se la macchina può scrivere, tradurre, disegnare, essa può anche semplificare e rendere visibile il sapere a chi, sino a ieri, ne restava ai margini.
Eppure l’accessibilità non è automatica. Perché una macchina riesca ad apprendere e a comunicare con chi legge in modo diverso dai neurotipici, pensa in modo diverso dal mainstream o interpreta il mondo con altri canali sensoriali, occorre un vero e proprio atto educativo: formare l’IA a concepire la diversità come struttura, non come eccezione.
È questa la sfida più alta per il formatore “NextGen”! Non solo usare l’IA per produrre contenuti didattici, ma educarla a interagire con la varietà delle menti. Può apparire come un paradosso. Ma prima di utilizzare la IA come assistente ai processi educativi/formativi, diviene strategico calarsi nel nuovo ruolo di “formatore delle IA”, per renderle accessibili, eque e aperte alle diversità. Ossia divenire colui che trasforma il prompting in pedagogia e il linguaggio in accessibilità.
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Il “Plain Language” come grammatica dell’accessibilità
Uno dei passaggi cruciali per l’addestramento di un’Intelligenza Artificiale finalizzata al dialogo con le neurodivergenze consiste nell’implementazione di metodologie specifiche per la riformulazione di testi complessi. L’obiettivo primario è quello di trasformare contenuti densi o tecnicamente elaborati in un linguaggio più semplice, chiaro e facilmente comprensibile, aderendo rigorosamente ai principi stabiliti dallo standard UNI ISO 24495-1:2024, nota come “Plain Language” (linguaggio semplice).
Lo standard è di matrice internazionale e fornisce linee guida e requisiti fondamentali per la creazione di testi in linguaggio semplice, garantendo che le informazioni siano accessibili a un pubblico vasto, inclusi individui con diverse capacità cognitive o stili di apprendimento. Adottare il “Plain Language” significa non solo semplificare il vocabolario, ma anche ottimizzare la struttura sintattica, ridurre le ambiguità e organizzare le informazioni in modo logico e intuitivo.
Per un’IA che interagisce con le neurodivergenze, questa capacità di riformulazione è indispensabile. Le persone neurodivergenti, come quelle nello spettro autistico o con dislessia, possono trovare difficoltà significative nell’elaborazione di testi complessi, ricchi di gergo tecnico, frasi lunghe o concetti astratti. Un’IA addestrata a “tradurre” tali testi in un formato più accessibile può migliorare notevolmente la comunicazione e facilitare l’accesso all’informazione e ai servizi.
Tecniche di semplificazione e personalizzazione
L’addestramento dell’IA in questo ambito implica lo sviluppo di algoritmi avanzati di Natural Language Processing (NLP) e Machine Learning (ML), capaci di identificare la complessità testuale e applicare strategie di semplificazione. Ciò può includere:
- la sostituzione di parole complesse con sinonimi più comuni,
- la suddivisione di frasi lunghe in periodi più brevi,
- la chiarificazione di concetti astratti attraverso esempi concreti,
- la riorganizzazione delle informazioni in elenchi puntati o paragrafi più brevi per migliorarne la leggibilità.
L’IA, inoltre, dovrebbe essere addestrata in modo da poter adattare il livello di semplificazione in base alle specifiche esigenze dell’utente, riconoscendo le diverse sfumature delle neurodivergenze. Questo approccio personalizzato garantirebbe che l’output sia non solo semplice, ma anche pertinente e utile per l’individuo specifico; evitando cioè una semplificazione eccessiva, che potrebbe compromettere la completezza dell’informazione o una semplificazione insufficiente che non risponderebbe alle effettive necessità.
Il principio guida dell’addestramento metodologico delle IA, prima sinteticamente delineato, potrebbe essere riassumibile nel prompt istruzionale:

L’addestramento tramite prompting avanzato, infatti, segue una logica maieutica, non algoritmica. Non si tratta di dare istruzioni del tipo “semplifica il testo”, ma di insegnare come e perché farlo. Il formatore, cioè, deve creare prompt che siano in gradi di fornire un set base di istruzioni semantiche alla macchine per permettere di identificare:
- Contesto.
- Criteri di leggibilità.
- Target cognitivo.
- Vincoli di chiarezza.
Vediamo allora, in pratica, come potrebbe essere un esempio di prompt formativo orientato al modello “Plain Language”:
| <Role = “Esperto di “Plain Language”> <Target = “Bambini 8-10 anni, con difficoltà di comprensione del testo”> //Function =”Riscrivi i testi”> ** Usa frasi brevi,max 15 caratteri ** Scegli parole comuni e concrete ** Evita metafore e concetti astratti ** Introduci un’idea per paragrafo ** Spiega parola difficile con esempio o sinonimo semplice ** Usa tono positivo e incoraggiante |
L’IA, poi, a ogni output, andrà progressivamente corretta dal formatore umano, che agisce come supervisore semantico (Generative Pre-Trained = GPT): non basta verificare la grammatica, occorre valutare comprensibilità e carico cognitivo.
Verifica della leggibilità e workflow testuale
Dal punto di vista pratico, a supportare il percorso di addestramento in base ai risultati dell’output, il formatore potrebbe utilizzare strumenti pratici per la verifica come, a titolo puramente esemplificativo:
- Indice di leggibilità Gulpease (per l’italiano).
- Controllo di frequenza lessicale (es. software di analisi linguistica).
- Il test “Prova a voce alta”, ossia leggere il testo e verificare se un bambino può riassumerlo in una frase.
In termini operativi, il Workflow consigliato potrebbe essere:
- Selezione del testo originale (manuale, scheda, paragrafo disciplinare).
- Prompt di addestramento → prima versione del testo elaborato dalla IA.
- Valutazione del formatore → individuare parole o strutture non chiare.
- Prompt di raffinamento → “riscrivi tenendo conto di queste difficoltà…”.
- Test con gruppo di prova → osservare tempi di lettura e livello di attenzione.
Il ciclo //prompt -> valuta -> adatta -> testa è la forma di “addestramento locale” più efficace: la macchina apprende per approssimazioni successive, mentre il formatore diventa garante del senso e del tono umano.
Un caso pratico: l’incipit di pinocchio
Vediamo allora un esempio pratico del workflow di addestramento prima brevemente descritto, partendo da un testo ben noto a tutti e, soprattutto, ai bambini: il Pinocchio di Collodi. Abbiamo chiesto alla IA Gemini (Google) di riscrivere per neurodivergenti l’incipit del libro, che riportiamo sotto:
| “C’era una volta… – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze. Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura. Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegrò tutto e dandosi una fregatina di mani per la contentezza, borbottò a mezza voce: – Questo legno è capitato a tempo: voglio servirmene per fare una gamba di tavolino. Detto fatto, prese subito l’ascia arrotata per cominciare a levargli la scorza e a digrossarlo, ma quando fu lì per lasciare andare la prima asciata, rimase col braccio sospeso in aria, perché sentì una vocina sottile, che disse raccomandandosi: – Non mi picchiar tanto forte! Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia! Girò gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai poteva essere uscita quella vocina, e non vide nessuno! Guardò sotto il banco, e nessuno; guardò dentro un armadio che stava sempre chiuso, e nessuno; guardò nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno; apri l’uscio di bottega per dare un’occhiata anche sulla strada, e nessuno! O dunque?… – Ho capito; – disse allora ridendo e grattandosi la parrucca, – si vede che quella vocina me la sono figurata io. Rimettiamoci a lavorare. E ripresa l’ascia in mano, tirò giù un solennissimo colpo sul pezzo di legno.” |
Gemini è stato pre-addestrato per ottenere una versione semplificata nel linguaggio del testo originale, con le seguenti indicazioni:
- scrivendo periodi brevi,
- frasi semplici e lineari,
- specificando sempre il soggetto,
- scrivendo nella forma attiva,
- usando modi e tempi verbali semplici,
- limitando il gerundio,
- usando bene la punteggiatura,
- scrivendo per punti,
- ricorrendo a parole di uso comune,
- evitando i tecnicismi,
- spiegando eventuali sigle e acronimi,
- privilegiando i verbi rispetto ai sostantivi,
- usando espressioni dirette,
- evitando luoghi comuni,
- tagliando il superfluo.
Ecco, in pratica, la versione riscritta da Gemini:
- C’era una volta un pezzo di legno.
- Non era un legno pregiato.
- Era un pezzo di legno comune, come quelli che si usano per il fuoco.
- Un giorno, il legno arrivò nella bottega di un falegname.
- Il falegname si chiamava Mastro Antonio.
- Tutti lo chiamavano Maestro Ciliegia perché il suo naso era rosso come una ciliegia.
- Maestro Ciliegia vide il legno e fu contento.
- Lui si strofinò le mani per la gioia.
- Poi pensò: “Con questo legno faccio una gamba per un tavolino.”
- Lui prese un’ascia.
- Voleva togliere la corteccia.
- Ma un momento prima di colpire, sentì una vocina.
- La vocina disse: “Non picchiarmi così forte!”
- Maestro Ciliegia si stupì molto.
- Lui guardò per tutta la stanza.
- Non vide nessuno.
- Lui pensò: “Ho capito. Ho immaginato io quella voce.”
- Maestro Ciliegia riprese l’ascia in mano.
- Lui colpì il pezzo di legno con un colpo forte.
La prima versione semplificata, secondo lo stile “plain language”, come tutte le prime versioni, può, ovviamente, essere ulteriormente migliorata, anche dal punto di vista della tipologia di testo[1] e delle singole parole o frasi. Dovrebbe però essere già chiaro, pur in questa prima versione ancora non raffinata, come cambi notevolmente il carico semantico e il processo di lettura di un testo così noto e caro a noi e ai nostri ragazzi.
La Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) come grammatica visiva
Un secondo passaggio da “mastro formatore delle IA”, ad integrazione del primo sul “plain language”, è quello di sfruttare le intelligenze artificiali per generare immagini didattiche coerenti con i principi della Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA), per rendere visibili concetti astratti a studenti con bisogni di apprendimento non neurotipici.
Dal punto di vista metodologico, la CAA è un approccio multimodale che include tutti i metodi di comunicazione che possono integrare o sostituire il linguaggio parlato, in particolare per le persone che hanno difficoltà nella comunicazione verbale o nell’apprendimento. Ciò può includere l’uso di simboli pittografici, tabelle comunicative, comunicatori vocali, dispositivi a puntamento oculare e software dedicati.
In quest’ottica l’IA può giocare un ruolo trasformativo fondamentale nella produzione di materiali didattici efficaci per gli alunni neurodivergenti, automatizzando e personalizzando in tempi rapidissimi la creazione di risorse visive e testuali. Ad esempio, un’IA può essere istruita a generare immagini specifiche (pittogrammi, scene illustrate, diagrammi) che rappresentino concetti astratti (come “tempo”, “emozione”, “causa-effetto”) in modo concreto e facilmente comprensibile. Nello specifico l’IA può:
- Adattare il contenuto: Analizzando il profilo cognitivo e le preferenze dell’alunno, l’IA può selezionare il tipo e il livello di complessità dei simboli più adeguati.
- Generare scenari personalizzati: Creare sequenze di immagini che illustrano routine quotidiane, storie sociali o istruzioni passo-passo, rendendo i contesti astratti più tangibili.
- Facilitare la comprensione di concetti complessi: Trasformare testi complessi in sequenze di pittogrammi o mappe concettuali visive, supportando gli alunni neurodivergenti nella decodifica delle informazioni.
- Migliorare l’efficienza: Ridurre drasticamente il tempo richiesto agli educatori per creare materiali CAA di alta qualità, permettendo loro di concentrarsi maggiormente sull’interazione diretta con gli studenti.
Come per il “plain language”, il principio guida per addestrare l’IA – in una logica maieutica e non algoritmica – potrebbe essere:
| //ogni immagine deve aiutare a comprendere anche in assenza testo, non a decorare |
Di conseguenza, nel prompting visivo[2], è fondamentale che il formatore debba:
- Definire la funzione dell’immagine (descrittiva, istruttiva, simbolica).
- Esplicitare i criteri di leggibilità: contrasto alto, colori primari, sfondo neutro, elementi centrali.
- Specificare l’età cognitiva e il contesto educativo.
- Aggiungere vincoli semantici: “Mostra un bambino che versa acqua in un bicchiere, vista frontale, senza sfondi complessi, espressione serena, colori saturi, stile illustrativo CAA.”
Un prompt di addestramento tipico potrebbe essere:
| <Role = “Grafico esperto di immagini CAA> <Target = “Bambini 8-10 anni, con difficoltà di comprensione del testo”> //Function =”Spiega il concetto di igiene personale”> ** mostra un’azione per volta (es: lavare,pettinare,asciugare) ** usa stesso personaggio e colori ** mantieni sfondo bianco e prospettiva costante ** includi pittogramma con parola chiave (“lavarsi”) |
L’IA, se addestrata con un alto livello di precisione, apprende a produrre sequenze iconiche – in frazioni di secondo – utilizzabili in quaderni semplificati, schede PECS o video didattici.
Analogamente vi sono errori tipici da evitare nell’addestramento al CAA; in particolare, utilizzare prompt vaghi e imprecisi, come il classico: “Crea immagini per bambini” , che generano solo figure decorative ma non funzionali all’apprendimento. Il compito del formatore, infatti, è quello di far capire alla macchina il perché del segno: un simbolo non è “carino”, è una chiave di accesso cognitivo.
Anche in questo caso, il Workflow consigliato potrebbe essere:
- Progetta la sequenza visiva (definisci obiettivo e micro-azioni).
- Scrivi prompt strutturato con vincoli percettivi e semantici.
- Genera le immagini e controlla coerenza visiva (colori, proporzioni, ripetibilità).
- Richiedi correzione tramite prompting riflessivo[3].
- Assembla le immagini in schede o storyboards CAA.
- Aggiungi le didascalie testuali in “plain language”.
Anche in questo caso, abbiamo chiesto a Gemini (Nano Banana) di elaborare una breve sequenza di immagini CAA[4], sempre partendo dal testo di incipit di Pinocchio, prima elaborato in forma sintetica del “plain language”.

Al di là dell’errore testuale nel fumetto, che abbiamo preferito non nascondere per sottolineare la necessità di avere sempre un controllo umano finale nel prodotto, dovrebbe essere chiaro come con un limitato uso di risorse e con una contrazione notevole dei tempi sia possibile produrre materiale didattico accessibile e utilizzabile nei diversi contesti dei bisogni formativi.
Conclusioni
Questo viaggio nel potenziale dell’Intelligenza Artificiale Generativa, intesa come alleata nell’accessibilità didattica, ci ha mostrato una strada promettente. È una strada che ci invita a riflettere non solo sull’efficienza tecnologica, ma soprattutto sull’importanza di un approccio di “umanizzazione della tecnologia”. L’IA, se ben addestrata, non è solo uno strumento per semplificare testi o generare immagini; è un ponte verso la comprensione, un mezzo per abbattere barriere invisibili che spesso escludono chi apprende in modo diverso. Ogni prompt, ogni correzione, ogni adattamento del formatore umano è un atto di empatia, un riconoscimento della ricchezza che la neurodiversità porta con sé. Non si tratta di uniformare, ma di offrire molteplici chiavi di accesso alla conoscenza, rispettando le individualità e valorizzando ogni mente. In questo senso, l’IA generativa diventa un partner prezioso nel costruire un’educazione più aperta ed equa, dove nessuno viene lasciato indietro e dove il sapere può fiorire in tutte le sue forme, raggiungendo davvero “a modo suo” ogni studente. La vera sfida, e la più gratificante, è proprio questa: trasformare la tecnologia in uno strumento di profonda umanità.
Note
[1] Si consiglia di utilizzare la tecnica Markdown, ossia un linguaggio di markup (marcatura del testo) con una sintassi del testo semplice, progettata in modo che possa essere convertita in HTML e in molti altri formati usando un tool omonimo. Viene utilizzata per chat note come Whatsapp o Messenger.
[2] SI consiglia di utilizzare piattaforme di generazione immagini già consolidate ed efficaci come Nano Banana, DALL·E, Midjourney, Canva o Firefly.
[3] Ad esempio: “Il viso del bambino non è coerente con la prima immagine. Mantieni lo stesso personaggio e rifai la scena”.
[4] Nella scelta delle icone è possibile optare tra PCS (Picture Communication Symbols), WLS (Widgit Literacy Symbols) e Arasaac (piattaforma gratuita spagnola).











