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Delegare il pensiero all’IA: l’effetto del debito cognitivo sui ragazzi



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Il debito cognitivo emerge quando studenti delegano funzioni cognitive all’IA, riducendo memoria e pensiero critico. La ricerca del MIT documenta effetti negativi duraturi sull’attività cerebrale dopo l’uso di ChatGPT

Pubblicato il 3 ott 2025

Marco Lazzeri

Esperto di psicologia dei videogiochi, realtà virtuale e AI; cyberpsicologo, membro della Società Scientifica SIPSIOL e consulente certificato in Videogame Therapy per l’Ausl VdA SerD



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La questione dell’uso delle tecnologie digitali nella scuola e, più in generale, nei processi di apprendimento, è tornata con forza al centro del dibattito pubblico e scientifico. La recente circolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito del 16 giugno 2025, che vieta l’utilizzo degli smartphone anche nella scuola secondaria di secondo grado, ha segnato un passaggio cruciale nella politica educativa italiana.

Il Ministro Valditara ha motivato tale scelta richiamando il rischio di distrazione, l’impoverimento del clima di classe e la necessità di garantire ambienti di apprendimento più concentrati e rispettosi dei processi cognitivi.

Parallelamente, la ricerca internazionale ha posto l’attenzione su un tema emergente: il cosiddetto “debito cognitivo” derivante dall’uso di strumenti di intelligenza artificiale generativa, in particolare ChatGPT, nel supporto alla scrittura e allo studio.

Negli ultimi mesi, il dibattito si è intensificato soprattutto alla luce della crescente attenzione dell’opinione pubblica e del mondo accademico, sia rispetto al divieto degli smartphone sia all’uso di IA generativa, che solleva interrogativi sulla tendenza a delegare porzioni crescenti di attività cognitive alle macchine, riducendo progressivamente l’allenamento delle competenze individuali.


Il concetto di debito cognitivo

In particolare, il fenomeno ha sollevato domande su come l’IA possa influenzare la motivazione intrinseca e l’autonomia degli studenti, e su come le scuole possano conciliare innovazione tecnologica e sviluppo di competenze critiche.

Questo dibattito riflette una tensione più ampia tra l’esigenza di modernizzare i processi educativi e quella di preservare le risorse cognitive degli studenti, evitando che l’eccesso di delega tecnologica comprometta lo sviluppo di capacità analitiche, creative e metacognitive.

Con il termine “debito cognitivo” si fa riferimento a quei costi differiti che derivano dal ricorso sistematico a un agente esterno per funzioni cognitive centrali, come la memoria di lavoro, la pianificazione, la rielaborazione linguistica o la costruzione di inferenze.

Quando un compito viene svolto con l’aiuto di un assistente, la performance immediata può risultare agevolata, ma al prezzo di una riduzione dell’impegno metacognitivo e della profondità con cui l’individuo interiorizza concetti e procedure.

Questo concetto richiama il più consolidato paradigma del cognitive offloading (Risko & Gilbert, 2016), ossia il trasferimento intenzionale di parti del carico cognitivo su strumenti esterni.


Il ruolo dell’IA generativa

Il fenomeno assume particolare rilevanza nell’era dell’IA generativa, in cui i modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) sono in grado di produrre testi articolati, soluzioni complesse e perfino interpretazioni critiche, rischiando di sostituire progressivamente attività che un tempo richiedevano sforzo cognitivo diretto da parte dello studente.

È utile precisare che il debito cognitivo non si manifesta in modo uniforme tra tutti gli studenti, ma può variare in base a fattori individuali quali il livello di competenza preesistente, la motivazione intrinseca e le strategie di autoregolazione cognitiva.

Gli studenti più esperti o con un’elevata capacità metacognitiva possono compensare in parte la riduzione di impegno richiesto dall’uso di IA, mentre quelli meno abili rischiano un impoverimento più marcato delle proprie risorse cognitive.

Inoltre, l’interazione tra tecnologia e contesto educativo gioca un ruolo cruciale: in ambienti in cui l’uso dell’IA è guidato da regole chiare e da attività strutturate, il debito cognitivo può essere limitato e addirittura trasformarsi in un’opportunità per sviluppare competenze di supervisione e analisi critica.


Dal Google Effect al debito cognitivo

Già con il cosiddetto “Google Effect”, documentato da Sparrow, Liu e Wegner (2011), si era osservato che gli individui tendono a ricordare meglio dove trovare un’informazione piuttosto che l’informazione stessa, quando sanno che essa sarà facilmente reperibile online.

Una meta-analisi recente di Gong & Yang (2024) ha confermato la robustezza di tale fenomeno, mostrando come esso dipenda anche da fattori moderatori quali il livello di conoscenza pregressa o il tipo di dispositivo utilizzato.

Il termine “debito cognitivo” richiama anche le dinamiche storicamente osservate con altri strumenti digitali (Ward et al., 2017), evidenziando come l’uso continuo di dispositivi elettronici favorisca stili cognitivi frammentati e una ridotta capacità di concentrazione prolungata.


Dimensione emotiva e motivazionale

Oltre agli effetti cognitivi, il debito cognitivo ha ripercussioni anche sul piano emotivo e motivazionale.

L’affidamento eccessivo a strumenti digitali può ridurre la soddisfazione derivante dal completamento autonomo di un compito, incidendo sulla percezione di autoefficacia.

In contesti scolastici, questo fenomeno può generare frustrazione e una dipendenza crescente dagli strumenti esterni, modificando le dinamiche di apprendimento collaborativo e il senso di responsabilità individuale nello studio.

È importante sottolineare come questo debito non si limiti alla sola dimensione cognitiva, ma possa estendersi anche all’ambito emotivo e sociale: l’affidamento eccessivo a strumenti digitali e IA può modificare il modo in cui gli studenti si relazionano con i compagni, con l’insegnante e persino con se stessi, creando nuove dinamiche di dipendenza psicologica.


Il contributo delle ricerche sperimentali

Un contributo interessante in questo ambito è rappresentato dal preprint del MIT Media Lab (Kosmyna et al., 2025), intitolato Your Brain on ChatGPT: Accumulation of Cognitive Debt when Using an AI Assistant for Essay Writing Task.

Lo studio ha coinvolto 54 partecipanti in un compito di scrittura con tre condizioni: “Brain-only”, “Search Engine” e “LLM” (uso di ChatGPT).

I dati raccolti mediante EEG e analisi linguistiche hanno mostrato:

  • una minore connettività cerebrale,
  • testi più omogenei e standardizzati,
  • effetti negativi anche nelle sessioni successive senza IA.

Sebbene siano presenti delle criticità nella ricerca, questi risultati rafforzano l’ipotesi di un indebolimento delle risorse cognitive legato all’uso eccessivo degli LLM.

Allo stesso tempo, Shen et al. (2023) sottolineano come i grandi modelli linguistici rappresentino strumenti “a doppio taglio”, con rischi cognitivi ed etici in contesti complessi.

Susnjak (2022) mette in luce le implicazioni sulla valutazione e sul debito cognitivo derivante dall’uso massivo di ChatGPT negli esami online.

Queste ricerche invitano a riflettere non solo sull’efficienza immediata, ma anche sull’importanza di costruire abitudini cognitive sostenibili e consapevoli, capaci di preservare le competenze di memoria, attenzione e pensiero critico, essenziali per la formazione a lungo termine.

Il legame tra debito cognitivo e smartphone

I risultati sulla natura del debito cognitivo si intrecciano con il dibattito sull’uso degli smartphone a scuola.

Il divieto introdotto dal Ministero risponde all’esigenza di ridurre distrazioni e frammentazioni dell’attenzione, fattori che compromettono la qualità della codifica e del recupero mnemonico.

Le ricerche di psicologia cognitiva hanno infatti mostrato come le notifiche e l’uso multitasking dei dispositivi incidano negativamente sul monitoraggio metacognitivo, ovvero la capacità di valutare consapevolmente il proprio apprendimento.

Tuttavia, la letteratura evidenzia la natura ambivalente dello smartphone. Esso è certamente una fonte di distrazione, ma può costituire anche un canale per attività didattiche innovative.

L’aspetto cruciale, dunque, non è tanto il divieto in sé, quanto la definizione di cornici regolative che ne guidino l’uso verso finalità specifiche e formative.

Inoltre, occorre considerare il ruolo della formazione degli insegnanti: la loro capacità di integrare tecnologia e apprendimento critico è fondamentale per prevenire fenomeni di dipendenza cognitiva e per valorizzare le potenzialità creative degli studenti.


IA come partner cognitivo

Un aspetto emergente riguarda l’uso dell’intelligenza artificiale come partner cognitivo.

  • Baidoo-anu et al. (2023) hanno mostrato come ChatGPT possa stimolare il pensiero critico se integrato in contesti guidati da docenti, che incoraggiano la verifica delle fonti e la rielaborazione delle informazioni.
  • Long & Magerko (2020) discutono il potenziale dell’IA per sviluppare la “AI literacy” e la creatività attraverso la co-costruzione della conoscenza.
  • Gessinger et al. (2024) hanno documentato che gli utenti possono proiettare caratteristiche umane sui chatbot, generando illusioni sociali e aspettative relazionali.

Questo è particolarmente rilevante in adolescenza, quando il bisogno di riconoscimento e relazione è intenso.

Un’ulteriore implicazione riguarda la dimensione etica e sociale dell’integrazione dell’IA nell’apprendimento: la creazione di algoritmi trasparenti e di politiche scolastiche basate sull’evidenza scientifica diventa essenziale per evitare disparità cognitive e digitali tra studenti.

Inoltre, si deve riflettere su come l’IA influenzi la costruzione dell’identità digitale degli adolescenti, in un contesto in cui l’educazione alla cittadinanza digitale diventa sempre più cruciale.

Verso un’ecologia cognitiva delle tecnologie digitali

Alla luce di queste evidenze, appare urgente costruire una ecologia cognitiva delle tecnologie digitali.

Ciò implica la progettazione di ambienti educativi in cui momenti di apprendimento “a cervello nudo” si alternino a fasi di utilizzo guidato dell’IA.

Alcune raccomandazioni operative includono:

  • incoraggiare gli studenti a documentare i passaggi chiave delle interazioni con l’IA;
  • introdurre rubriche valutative che valorizzino non solo il prodotto finale, ma anche i processi cognitivi sottesi;
  • prevedere un uso mirato e regolato degli smartphone, con attività circoscritte e orientate a obiettivi specifici;
  • promuovere autonomia, competenza e relazione, coerentemente con la Self-Determination Theory (Deci & Ryan, 2000).

Trasformare l’IA in strumento di empowerment educativo

La questione del divieto degli smartphone e del debito cognitivo connesso all’uso dell’IA non va ridotta a un referendum “tecnologia sì/tecnologia no”.

Piuttosto, richiede un approccio sfumato che bilanci i rischi documentati — come quelli relativi alla distrazione attentiva e all’indebolimento della memoria — con le opportunità offerte da un uso critico e guidato degli strumenti digitali.

Le evidenze scientifiche disponibili, dal preprint del MIT ai contributi sistematici di review, indicano che la posta in gioco non è semplicemente la produttività immediata, ma la qualità a lungo termine dell’impegno cognitivo, emotivo e psicologico degli studenti.

L’uso consapevole di IA e dispositivi digitali può trasformarsi in uno strumento di empowerment educativo, stimolando creatività, pensiero critico e regolazione emotiva, a patto che insegnanti, studenti e policymaker collaborino per costruire strategie di apprendimento sostenibili e integrate nella vita reale degli studenti.

Solo così la tecnologia può diventare una leva positiva, anziché un fattore di impoverimento cognitivo ed emotivo.

Bibliografia

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