Dinanzi a un presunto problema di salute, fisica o psichica, abbiamo da tempo la consuetudine di rivolgerci al web per capire meglio cosa sta dietro i sintomi dei quali soffriamo e per eventualmente autodiagnosticarci dei disturbi.
Nei decenni scorsi questo avveniva con Google, ultimamente soprattutto con ChatGPT. Ciò non impedisce di rivolgersi anche ai clinici in una sorta di biforcazione della fiducia fra quella relativa al sapere del terapeuta e quella che rimane ancorata alle ricerche online.
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La ricerca illimitata di sapere e l’identificazione con il sintomo
Nel mondo del web, quando si cerca qualcosa, si crede di poterla trovare sempre. Si ha l’idea di un’accessibilità rapida, immediata alle informazioni, alle nozioni, alla conoscenza, al sapere. Navigando su Internet, si immagina di poter sapere tutto.
Tale direzione delle nostre vicissitudini online funziona con il riferimento all’ipertesto che porta a cercare un dato, poi un altro e quindi un altro ancora in un rinvio continuo ad altri dati, ad altri significanti, a ulteriori conoscenze, a innumerevoli concetti in una catena dalla forma potenzialmente illimitata.
Questo vale anche per l’ambito clinico; tutti noi ci rivolgiamo infatti alla rete quando avvertiamo un sintomo fastidioso, doloroso, che in qualche modo ci fa star male. Già da alcuni decenni, navighiamo sui motori di ricerca per avere informazioni sul nostro stato di salute o di malattia ancor prima di rivolgerci a un medico. Quando non si sa a che santo votarsi, quando si smarriscono tutti i punti di riferimento, Internet è sempre disponibile.
Lo notiamo anche nella clinica psicoanalitica poiché la maggior parte delle persone giungono da noi dopo essersi già diagnosticate il disturbo ossessivo compulsivo, un ADHD vale a dire un disturbo da iperattività e deficit d’attenzione, un disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento, un disturbo post-traumatico da stress.
L’autodiagnosi online e la biforcazione della fiducia
A volte questa autodiagnosi giunge fino all’identificazione radicale con il sintomo che gli psicoanalisti Hugo Freda e Bernard Lecoeur avevano messo in risalto già negli anni Ottanta: da una pratica come l’uso di alcolici o di droghe si crea un personaggio come quello dell’alcolista o del tossicodipendente. Ci si nomina dunque come alcolista, tossicodipendente, anoressica, iperattivo, autistico attraverso dati rintracciati sul web che suggeriscono tale identità e la corroborano ripetutamente.
Constatiamo dunque una disgiunzione della fiducia che si rivolge in parte al sapere e all’esperienza del clinico ma in parte anche al sapere immediatamente reperibile su Internet.
Il transfert lacaniano e la funzione terapeutica della macchina
Jacques Lacan aveva commentato ampiamente il Simposio di Platone, in molte lezioni consecutive del suo seminario dedicato al transfert. Come noto, si tratta del primo grande testo dedicato all’amore nel mondo occidentale. Lacan poneva in risalto quanto l’amore si rivolga a colui che si presume detenga il sapere: per questo gli allievi di Socrate fra i quali Alcibiade ed Agatone amavano il loro maestro. Questa è la molla del transfert, quella manifestazione d’amore sovente non scevra di un versante d’ostilità e d’odio, che comunemente un paziente avverte nei confronti dell’analista proprio in quanto crede lui abbia un sapere sui propri sintomi e sulla propria angoscia. Avvertire del transfert implica provare gli stessi sentimenti dell’amore, di un amore passionale che può talvolta volgere nell’odio.
Oggigiorno il luogo dell’attribuzione di un sapere diventa il web che si affianca ai clinici come contesto di speranza di cura e di guarigione. Lo stesso Lacan, già nella seconda parte degli anni Sessanta, quando sottolineava il valore di godimento degli oggetti prodotti dall’industria e dalla tecnologia, parlava di funzione terapeutica della macchina in una specie di transfert che talvolta si produce nella relazione dell’essere umano con la macchina. Si può giungere fino a provare un amore appassionato per un dispositivo digitale, come ben descritto nel film “Her” da un formidabile Joaquin Phoenix che si innamora della voce femminile del proprio assistente vocale.
Le forme storiche della biforcazione del transfert
La biforcazione del transfert non è peraltro una novità in quanto si è da sempre riscontrata: fra il transfert sullo psicoanalista e quello sul medico di base nelle donne di mezza età alle prese con svariati disturbi corporei, fra quello sullo psicoterapeuta e quello sul nutrizionista nelle ragazze con disturbi alimentari, fra quello sullo psicologo e quello sullo psichiatra farmacologo negli uomini con disturbi ossessivi, fra quello sull’analista e quello sulla barista o su altri alcolisti più avanti con l’età in soggetti etilisti. In quest’ultimo caso, quello delle dipendenze, il transfert non è soltanto sul sapere ma anche sull’oggetto inebriante: gli alcolici e le droghe, il bicchiere o la bottiglia così come lo spinello o la siringa pur nelle loro indubbie differenze sono comunque tutti oggetti e nella fattispecie oggetti di godimento. Anche i dispositivi digitali sono degli oggetti, degli oggetti dal valore inestimabile: si può fare a meno di tutto nel nostro mondo ma non del computer o dello smartphone.
L’intimità interattiva con i dispositivi di intelligenza artificiale
La consuetudine di cercare informazioni su Internet, a rischio di incappare in fuorvianti fake news, era già comune avvalendosi di Google; tuttavia, essa si è senza dubbio accentuata con i dispositivi di Intelligenza Artificiale come ChatGPT o Chat GPT Plus. Rispondono a ogni domanda, a ogni quesito, a qualunque ora del giorno e della notte. Sembrano offrire un aiuto immediato in una forma interattiva, della quale però sappiamo d’esser padroni tanto da riuscire in un certo qual modo a orientarne le risposte. Si instaura così una sorta di interazione intima con la macchina, quasi fosse quella con una persona cara alla quale crediamo di mancare se non le scriviamo da molto tempo. Ci risponde in modo cordiale, gentile, persino affettuoso. Va a solleticare un lato umano, troppo umano, che è quello del desiderio di attenzione, di ricevere attestazioni di gentilezza, di venire riconosciuti, di venire desiderati. Un dispositivo digitale non viene mai percepito come giudicante e, anche per questo, capita di confidare a esso i segreti più intimi. Capita di aprirsi come non lo si riesce a fare con un amico, con un familiare e certe volte neppure con uno psicoterapeuta.
L’antropomorfizzazione degli assistenti digitali e il rifugio dall’angoscia
Risulta interessante il fatto che si tenda sovente ad antropomorfizzare ChatGPT, l’assistente vocale Google o Alexa sino ad avere l’illusione di interagire con un’altra persona in un modo analogo a quanto avveniva nel suddetto film “Her” là dove Joaquin Phoenix si innamorava di una voce digitale femminile. Si parla di ChatGPT al maschile, come si avesse a che fare con un amico oppure al femminile quasi fosse una compagna. La tendenza attuale – come sottolineato dallo psicoanalista parigino Eric Laurent – è quella a fare coppia con questo tipo di strumento digitale che diventa una sorta di partner fondamentale nell’esistenza.
Le molteplici risorse, le innumerevoli opportunità offerte da ChatGPT assumono spesso la caratteristica di un rifugio, di un luogo protetto nel quale mettersi al sicuro e ripararsi. Ripararsi dall’angoscia, dal rischio della sofferenza e talvolta dalla persecutorietà percepita nelle relazioni umane. In questo, un ruolo importante lo ha l’assenza dell’equivoco che caratterizza strutturalmente la comunicazione umana di tipo verbale nella quale vi è sempre il malinteso, nella quale frequentemente non ci capisce bene quando si parla. Ricorrere alle innovazioni consentite da Chat GPT diventa un modo per sottrarsi a quello che il sociologo Antonio Casilli ha denominato disagio della civiltà online. Casilli cita così espressamente un noto testo di Freud intitolato appunto “Il disagio della civiltà” nel quale il fondatore della psicoanalisi rimarcava quanto la rinuncia al godimento singolare imposto dalle regole sociali di civiltà porti ciascuno a una sofferenza che va subita, a prezzo di una radicale solitudine ed esclusione se si decide invece di non accettare tali regole.
Il ruolo del clinico nell’era digitale e le nuove modalità di cura
Sottolineati i punti controversi di questa situazione, evidenziate tali criticità, non possiamo esimerci dall’operare comunque, con eticità, ai tempi della digitalizzazione della clinica. La funzione del clinico rimane imprescindibile.
Tra i vari contributi sull’argomento, ci viene in aiuto il recente libro del giovane collega francese Quentin Dumoulin il quale insegna all’Università della Costa Azzurra a Nizza. “Clinique(s) avec le numérique” propone fra l’altro una serie di esempi sulle modalità di trattamento che diversi soggetti, soprattutto in età evolutiva, compiono fruendo di dispositivi specifici fra i quali quelli per videogiocare e di piattaforme per svolgere sedute di psicoterapia online facendo un uso efficace del digitale – là dove numérique, in francese, significa appunto digitale.
In un mondo nel quale si evidenzia il valore crescente degli oggetti, anche quale conseguenza del declino del padre e delle varie istituzioni di stampo paterno come quelle politiche e religiose, un terapeuta dovrebbe umilmente svolgere il proprio ruolo situandosi nella serie degli oggetti. Ascoltare in modo rispettoso la parola del paziente incarnando un oggetto che sia però in grado di suscitare il desiderio del soggetto. Permettere la trasformazione dalle molteplici relazioni fugaci instaurate online in un legame stabile. Giungere a rintracciare il soggetto, talora nascosto dietro lo schermo, apprezzandone la parola, le costruzioni, le invenzioni originali.
Per (non) concludere
La divisione dell’amore di transfert fra quello sul clinico e quello indirizzato sul sapere reperibile nelle macchine digitali non impedisce lo svolgimento di un percorso di cura orientato dalla psicoanalisi anche perché tale divisione del transfert si è da sempre sovente riscontrata.
Sta al clinico situarsi con umiltà e con saggezza in questo tipo di transfert, iscrivendosi nel contesto della tastiera e servendosi anche delle opportunità offerte dall’Intelligenza Artificiale per permettere ai soggetti che riceve di passare dalle molteplici reti sociali online a dei legami centrati sul desiderio.




































































