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IA nelle scuole: il dibattito divide insegnanti e studenti



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L’intelligenza artificiale generativa sta sollevando questioni profonde nel sistema educativo. Insegnanti ed esperti dibattono su ChatGPT in classe, tra timori di plagio e potenzialità didattiche. Gli studenti, considerati nativi digitali, mostrano competenze limitate nell’uso consapevole della tecnologia

Pubblicato il 16 dic 2025

Carmelina Maurizio

Università degli Studi di Torino



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L’introduzione dell’IA nelle scuole sta generando un dibattito senza precedenti tra educatori, studenti e ricercatori. Dalla gestione dei compiti all’interazione quotidiana in classe, l’intelligenza artificiale generativa solleva interrogativi che vanno ben oltre le questioni tecniche, toccando la filosofia stessa dell’educazione.

Il dibattito sull’impatto dell’intelligenza artificiale nell’educazione

L’IA generativa sta causando problemi nelle scuole? A questa domanda ha cercato di rispondere Neil Patel, caporedattore di The Verge, e Decoder, attraverso un confronto e dibattito con insegnanti ed esperti, durante una puntata del podcast dal significativo titolo che pone due quesiti “Cosa stiamo facendo qui?” “Qual è il punto?”.

Sin dall’inizio del confronto il team di The Verge ha scoperto che i problemi nell’istruzione con l’IA vanno molto più in profondità, fino alla radice della filosofia stessa dell’istruzione. Sono in molti ad essere preoccupati per il problema che appare più ovvio: gli studenti che usano ChatGPT per imbrogliare nei compiti. E’ emerso come ogni insegnante stia avendo un’esperienza diversa con l’IA in classe e con i propri studenti, ma il filo conduttore è che tantissime di queste esperienze sono percepite come negative.

Alcuni insegnanti trovano che strumenti come ChatGPT li stanno aiutando nel gestire il flusso di lavoro, ma molti altri stanno affrontando timori e dubbi, chiedendosi nel caso in cui questa tecnologia diventa più onnipresente, per cui avremo corsi creati dall’IA, valutati dall’IA, con elaborati degli studenti assolutamente generati dall’IA “cosa stiamo facendo qui?”.

Il mito dei nativi digitali smontato dalla ricerca

Adam Dubé, direttore del Dipartimento di TLC dell’ateneo canadese McGill University, professore associato di Scienze dell’Apprendimento e co-responsabile del McGill Collaborative for AI and Society, è l’esperto che è intervenuto nel dibattito creato da The Verge, e di recente ha sostenuto “i nativi digitali non esistono”, a proposito dell’avvento massiccio dell’IA generativa nelle scuole. Dubé spiega che “nativi digitali” è stato coniato nei primi anni 2000 ed era l’idea che forse coloro che erano nati nell’era della tecnologia la comprendessero meglio di quelli che venivano invece definiti “immigrati digitali“. E ci sono stati molti problemi con questo tipo di linguaggio e con l’inquadramento di come se ne parlava; ci sono stati oltre 20 anni di ricerca per vedere se questo fosse effettivamente vero e rispondere alla domanda: i ragazzi nati e cresciuti con la tecnologia sono migliori nell’usarla rispetto alle persone che l’adottano più tardi nella vita?

La ricerca per 20 anni ha dimostrato che non è in realtà così: non perché si è giovani e si è cresciuti con essa, si è migliori, si tratta solo di quanto si è usata, quanta esposizione si ha avuto. E questo è davvero importante, secondo il docente della McGill, proprio quando parliamo di IA, educazione e tecnologia nell’educazione: perché anche se un ragazzo cresce usando YouTube o un telefono per giocare a Roblox, non significa che sappia usare la tecnologia per imparare realmente.

Gli insegnanti invece in gran parte presumono che i ragazzi sappiano usare la tecnologia in classe per scopi di apprendimento, perché la usano già per guardare YouTube o altro. Questo ha causato molti problemi quando si tratta di educazione e istruzione, perché assumiamo che i ragazzi abbiano competenze che in realtà non hanno.

Come gli studenti interagiscono davvero con l’intelligenza artificiale

I ragazzi, le persone che crescono usando un computer dove c’è principalmente un sistema basato su testo o sulla voce, chi è cresciuto con un file system e interagendo con singole applicazioni invece che ChatGPT, va incontro ad un problema, nell’usare e interagire con il sistema e nel chiedergli di fare cose, e su come interpretare effettivamente il modo in cui quei sistemi danno loro risposte e come le valutano.

Questa è un’area di ricerca su cui si sta lavorando, per cercare di capire come i bambini pensano che i computer pensino. In particolare, come pensano che l’IA ragioni, se possiamo dire che ragioni, e poi quale impatto avrà questo su come imparano dall’IA che viene inserita nelle loro scuole e nelle loro case. Molte persone non sanno come funzioni e inoltre, non abbiamo dati a lungo termine sui suoi effetti in classe perché è così nuova.

Le preoccupazioni dei docenti sull’uso dei chatbot

Dalla parte degli insegnanti emerge, all’interno del dibattito, come riportato da diversi tra loro, che sono più studenti utilizzare l’IA generativa per sostituire la propria lettura, il pensiero e la scrittura, anche quella creativa e personale.

Da qui il timore che i bambini siano cavie per una serie di prodotti non testati, non provati e non regolamentati e la domanda che i docenti si pongono: ci sveglieremo tra un decennio o più e ci renderemo conto di essere saltati su un carrozzone tecnologico che tiene i bambini legati agli schermi, li danneggia e danneggia l’apprendimento?

Cosa dicono i dati sull’uso di ChatGPT tra gli studenti

Adam Dubé ribadisce che ci sono alcune lezioni che dovremmo imparare, partendo da come sono state introdotte le tecnologie precedenti.

La ricerca di Pew pubblicata ad ottobre 2025 ha rilevato che circa un quarto degli adolescenti stava già usando ChatGPT nel loro lavoro scolastico. L’uso maggiore da parte degli studenti delle superiori è per generare idee per i compiti, per riassumere il testo invece di leggerlo; il 40% lo sta usando per modificare porzioni di testo e solo il 10% degli studenti sta effettivamente riferendo di usarlo per generare l’intero compito. Questo è ciò di cui le persone sono davvero preoccupate quando pensano all’imbroglio con l’IA nelle scuole. Gli insegnanti si sentono piuttosto confusi su come rispondere e non c’è molta chiarezza da parte di nessuno nella risposta.

Le opportunità per gli insegnanti secondo alcuni docenti

“La cosa che mi entusiasma di più della tecnologia di IA generativa è il modo in cui sblocca la capacità degli insegnanti di fare un insegnamento migliore in modi che molti di noi vogliono davvero, collaborando con uno strumento di IA come ChatGPT, molto di questo diventa molto più fattibile”, ha detto Eevee May, una docente intervenuta nel podcast di The Verge.

La questione della qualità dei risultati nell’uso dell’IA, fa porre agli insegnanti altre domande: a volte può essere molto più difficile individuare se uno strumento ti sta effettivamente facendo risparmiare tempo o migliorando il tuo lavoro quando inizi a usarlo. E poi l’IA generativa produce contenuti e risposte alle domande così rapidamente che sembra che ti stia dando qualcosa di significativo.

C’è molta ricerca che mostra che, ad esempio con i coder, in realtà finiscono per essere più lenti quando usano questi sistemi perché devono correggere tutti gli errori. Ma se si monitorasse effettivamente quanto tempo ci vuole per generare una lezione rispetto a quanto tempo ci vuole per correggere quelle che l’IA generativa produce, potrebbe non essere effettivamente più veloce.

Come sta funzionando per gli insegnanti? C’è qualche ricerca che esamina i climi scolastici e gli insegnanti che si demotivano per il loro uso dell’IA generativa nell’educazione e cosa causa la demotivazione. Cosa stanno facendo questi strumenti per gli studenti? Chiunque abbia visto un bambino interagire davvero con la modalità vocale di Chat GPT o Google Gemini può vedere che una conversazione, non importa quanto unilaterale, può davvero mantenere viva la curiosità di un bambino e magari anche insegnargli qualcosa. Quindi, potrebbero esserci alcuni lati positivi nei chatbot di IA generativa quando si tratta di apprendimento?.

Prodotto finale contro processo di apprendimento: il nodo cruciale

Sembra che l’uso di questi strumenti possa aumentare l’affetto e la motivazione quando sono stati progettati per farlo. Perché sta succedendo?. È il modo in cui queste cose ci parlano, si congratulano con noi per le nostre domande, forniscono sempre una risposta. Non sorprende che con l’uso dell’IA generativa, uno dei grandi effetti che vediamo è che le persone sono in grado di produrre forse un lavoro che sembra più rifinito, ma non ricordano il lavoro che hanno effettivamente scritto. È questo il punto, come dire: a chi importa se puoi produrre il prodotto e se puoi produrre il lavoro alla fine, non importa. Bene, se pensiamo a un futuro in cui se stai usando questi strumenti per produrre un lavoro, chi è effettivamente in grado di valutare se quel lavoro è buono?

Quindi gli insegnanti si ritrovano con la sfida di convincere gli studenti a non lasciare che ChatGPT pensi per loro, almeno non in classe. Come convincere gli studenti che il valore nella classe è imparare a fare le cose quando la cosa che misuriamo è il prodotto finale, soprattutto quando c’è uno strumento che può togliere un po’ di fatica dalla produzione di quel prodotto?

Ma il processo, piuttosto che il prodotto finale, è la parte importante, ma se lo studente non l’ha fatto, affidandosi al chatbot e ai LLM, se non c’è stato alcun processo, allora cosa stiamo facendo qui?

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