L’intelligenza artificiale sta attraversando una nuova fase evolutiva che segna un punto di discontinuità rispetto agli sviluppi precedenti. OpenAI, tra gli attori principali di questa trasformazione, ha recentemente annunciato lo sviluppo e la sperimentazione di agenti autonomi – come ad esempio Operator – progettati per interagire direttamente con interfacce digitali, eseguendo in modo indipendente attività complesse su siti web, applicazioni e ambienti software.
Questi sistemi, capaci di prendere decisioni operative senza la necessità di input costanti da parte dell’utente, rappresentano un salto qualitativo nella direzione di una piena delega dell’azione, non più limitata alla produzione di contenuti testuali ma estesa all’esecuzione materiale di compiti.
L’introduzione su larga scala di questi strumenti solleva interrogativi profondi sul piano giuridico. Quali sono i confini della responsabilità per gli atti compiuti da un agente autonomo? In che misura l’interazione automatica con piattaforme digitali di terzi è compatibile con il diritto contrattuale e con i termini di servizio? È legittimo, ai sensi del GDPR, delegare a un’intelligenza artificiale il trattamento di dati personali? E ancora, quale ruolo può e deve mantenere il controllo umano in un contesto in cui la macchina è concepita per agire senza supervisione continua?
Indice degli argomenti
Agenti AI autonomi: una nuova fase evolutiva dell’intelligenza artificiale
Negli ultimi mesi, lo sviluppo di sistemi intelligenti capaci di svolgere compiti complessi in piena autonomia, senza la necessità di un’interazione costante da parte dell’utente umano, ha segnato un salto qualitativo nell’evoluzione dell’intelligenza artificiale applicata. In particolare, OpenAI ha annunciato e iniziato a testare una nuova generazione di cosiddetti “AI Agents”, o agenti autonomi, i quali rappresentano un paradigma emergente che si distingue nettamente dagli assistenti vocali o chatbot tradizionali.
Questi agenti sono progettati per interagire attivamente con interfacce utente grafiche, proprio come farebbe una persona: possono cliccare pulsanti, scorrere pagine web, compilare moduli, leggere schermate e, in alcuni casi, navigare ambienti software complessi per portare a termine task articolati. La loro caratteristica distintiva non è soltanto la capacità computazionale, ma la loro autonomia funzionale, vale a dire la possibilità di prendere decisioni operative senza ricevere istruzioni dettagliate per ogni singola azione.
Questa evoluzione, destinata a incidere profondamente su numerosi settori – dal customer service all’automazione documentale, dalla burocrazia digitale all’e-commerce – solleva questioni giuridiche tutt’altro che banali.
Se da un lato la possibilità di delegare a una macchina attività ripetitive o procedurali può rappresentare un indubbio progresso in termini di efficienza, dall’altro lato emergono interrogativi fondamentali circa la responsabilità per gli atti compiuti dall’agente, la tutela dei dati personali, la liceità delle interazioni con piattaforme di terzi, e più in generale la compatibilità di questi strumenti con il quadro normativo europeo ed internazionale.
Caratteristiche tecniche degli agenti autonomi AI: oltre i chatbot tradizionali
Per poter comprendere la portata giuridica di questi nuovi strumenti è necessario chiarire, seppure in modo sintetico, la loro natura tecnica. I cosiddetti AI Agents di OpenAI sono costruiti a partire da modelli linguistici avanzati, come GPT-4.5 o versioni successive, ma a differenza dei modelli general purpose destinati alla conversazione o alla generazione di testo, gli agenti sono dotati di capacità operative sul piano dell’interazione ambientale.
In pratica, un agente riceve come input una rappresentazione visuale dell’ambiente digitale in cui si trova – ad esempio, uno screenshot di una pagina web o di un’applicazione – e tramite tecniche di computer vision e analisi del DOM (Document Object Model), è in grado di “interpretare” lo stato del sistema e decidere quali azioni compiere.
Può cliccare su un pulsante, compilare un campo, confermare una scelta, o eseguire sequenze di azioni concatenate. L’obiettivo dichiarato è quello di creare assistenti digitali in grado di svolgere flussi di lavoro complessi al posto dell’utente, intervenendo solo su richiesta o in caso di errori.
L’esempio offerto da OpenAI è significativo: l’agente può eseguire un reso su un sito di e-commerce, inviare una email con un allegato prelevato da un archivio cloud, o prenotare un volo e un albergo confrontando prezzi su più portali. Non si tratta più di strumenti che rispondono a comandi isolati, ma di entità operative capaci di svolgere attività che, nella prassi quotidiana, comporterebbero l’interazione attiva di una persona. Da ciò derivano inevitabilmente riflessioni complesse sul piano giuridico.
Responsabilità legale degli agenti autonomi AI: lacune normative e imputabilità
Uno dei nodi centrali posti dall’impiego di agenti autonomi riguarda la responsabilità giuridica per gli atti da essi compiuti. La questione non è nuova, ma assume connotati più concreti nel momento in cui tali agenti iniziano a compiere azioni che hanno effetti giuridici diretti o indiretti. Si pensi, ad esempio, al caso in cui un agente compili e invii un modulo contenente dati errati, o esegua una transazione online non prevista o non autorizzata. In questi casi, chi è chiamato a risponderne?
Allo stato attuale, il diritto non riconosce personalità giuridica ai sistemi di intelligenza artificiale. Il Parlamento europeo ha, in passato, valutato la possibilità di introdurre forme di “personalità elettronica” per i sistemi più avanzati, ma l’ipotesi non è stata recepita nell’AI Act né in altri strumenti normativi vincolanti. In assenza di tale riconoscimento, la responsabilità ricade necessariamente su soggetti umani o giuridici: il fornitore dell’agente, l’utente che lo ha attivato, o eventualmente un soggetto terzo che abbia contribuito al suo utilizzo.
Il problema, tuttavia, si complica quando si considera l’autonomia decisionale dell’agente. Se l’utente ha fornito soltanto un obiettivo generico – ad esempio “prenota il volo più economico per Parigi domani” – e l’agente ha scelto in modo autonomo la piattaforma, il prezzo, l’orario e i dati di pagamento, fino a che punto l’utente può essere ritenuto responsabile per eventuali errori o conseguenze giuridiche? La linea di demarcazione tra delega consapevole e automatismo imprevedibile diventa sempre più sottile, e ciò impone una riflessione sul concetto di imputazione e sulla necessità di sviluppare standard di trasparenza e tracciabilità delle azioni agentive.
Agenti autonomi ai e interazione con sistemi terzi: questioni contrattuali
Un altro fronte problematico è rappresentato dalla capacità degli agenti di interagire con sistemi digitali di terze parti. Quando un agente accede a un sito web, compila moduli, clicca link e scarica informazioni, sta esercitando un comportamento che, a tutti gli effetti, può essere assimilato all’accesso automatizzato da parte di un bot. In molti casi, i termini di servizio delle piattaforme online vietano espressamente l’uso di bot o sistemi automatizzati per accedere ai contenuti, sia per motivi di sicurezza che per finalità commerciali.
Se l’agente AI agisce in nome e per conto dell’utente – ma con modalità automatizzate – si tratta di un uso lecito del servizio o di una violazione contrattuale? E ancora: l’agente può validamente esprimere il consenso a determinate clausole, accettare condizioni contrattuali o effettuare scelte sensibili (come l’iscrizione a un abbonamento o la trasmissione di dati sanitari)?
Queste domande mettono in luce la necessità di ripensare il quadro delle interazioni digitali: non solo in termini di riconoscimento dell’identità dell’agente, ma anche rispetto alla validità giuridica degli atti compiuti in modo automatizzato. Il diritto contrattuale, così come il diritto dei consumatori e la disciplina delle pratiche commerciali scorrette, dovranno adattarsi a un contesto in cui gli “interlocutori” delle piattaforme non sono più (solo) esseri umani, ma anche entità artificiali operanti in delega.
Protezione dati e agenti autonomi AI: compliance Gdpr e privacy by design
La capacità degli agenti autonomi di interagire con sistemi e ambienti che contengono dati personali impone una riflessione seria sui profili di compliance con il GDPR. Un agente che compila un modulo sanitario, accede a un archivio cloud, trasmette documenti personali o naviga un portale della pubblica amministrazione, entra inevitabilmente in contatto con dati personali, spesso anche appartenenti a categorie particolari ai sensi dell’art. 9 del Regolamento (UE) 2016/679.
In tale contesto, occorre stabilire con precisione chi sia il titolare del trattamento, chi l’eventuale responsabile, e con quali garanzie debbano essere svolte le operazioni effettuate dall’agente. Se l’agente è fornito da una società terza (come OpenAI) ma operato da un utente, si può configurare una contitolarità? O la società fornitrice è semplice fornitore di uno strumento, senza coinvolgimento nel trattamento?
A ciò si aggiunge l’obbligo di rispettare i principi di minimizzazione, limitazione della finalità, integrità e riservatezza dei dati trattati. Un agente che agisce in autonomia deve essere progettato secondo i principi del privacy-by-design e privacy-by-default, e deve garantire meccanismi di auditabilità e controllo ex post da parte dell’utente. Il rischio, altrimenti, è quello di creare entità opache che agiscono senza un’effettiva supervisione, con ricadute gravi sul piano della trasparenza e della responsabilità.
Controllo umano e governance dell’autonomia artificiale
Uno degli assi portanti dell’AI Act – recentemente approvato dal Parlamento europeo – è costituito dall’enunciazione del principio del controllo umano significativo. Tale principio impone che i sistemi di intelligenza artificiale ad alto rischio siano progettati in modo da garantire che le decisioni rilevanti restino sotto il controllo di un essere umano, il quale deve essere in grado di intervenire, comprendere e correggere il comportamento del sistema.
L’introduzione di agenti autonomi, progettati espressamente per agire in modo indipendente, rischia di entrare in tensione con tale principio. L’obiettivo di questi sistemi è proprio quello di sostituire l’intervento umano nelle fasi operative più complesse. Ma dove si colloca allora il controllo? È sufficiente una validazione iniziale da parte dell’utente? O è necessario prevedere strumenti di monitoraggio continuo, log di attività, e possibilità di revoca in tempo reale?
Il legislatore europeo ha indicato nella trasparenza, nella tracciabilità e nella documentabilità del comportamento del sistema i pilastri della governance dell’IA. Gli agenti autonomi dovranno essere conformi a tali requisiti, in particolare se utilizzati in ambiti regolati, come la finanza, la sanità, l’istruzione o l’interazione con la pubblica amministrazione.
La necessità di un nuovo quadro normativo per l’agire artificiale
Lo sviluppo di agenti autonomi rappresenta un punto di svolta nel rapporto tra tecnologia e diritto. Per la prima volta, ci confrontiamo con sistemi che non si limitano a fornire risposte, ma che agiscono, prendono decisioni operative e interagiscono con ambienti digitali al posto degli esseri umani. Questa trasformazione impone un ripensamento delle categorie giuridiche tradizionali: soggettività, imputabilità, volontà, consenso, responsabilità, validità degli atti.
Il diritto ha il compito, oggi più che mai, di non farsi trovare impreparato. Occorre sviluppare una disciplina specifica per gli agenti intelligenti, che tenga conto delle loro peculiarità, ne valorizzi le potenzialità, ma al tempo stesso ne circoscriva i rischi. In gioco non c’è solo la tutela dell’utente finale, ma l’equilibrio tra innovazione e diritti fondamentali in un’epoca sempre più digitale.













