AI e decarbonizzazione

La transizione energetica ha bisogno di AI (e di cultura digitale)



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Senza infrastrutture digitali solide, senza dati di qualità e senza una reale trasformazione culturale, l’intelligenza artificiale rischia di restare un esperimento isolato, incapace di generale valore concreto. Ecco perché i vantaggi tardano ad arrivare nelle aziende di utilities, energia elettrica e rinnovabili

Pubblicato il 10 nov 2025

Giovanni Grossi

Partner di Boston Consulting Group



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La corsa alla decarbonizzazione è ormai una maratona globale. Per limitare l’aumento della temperatura al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, il mondo dovrà triplicare la capacità installata di energie rinnovabili entro il 2030. Per rendere meglio l’idea della portata della sfida possiamo pensare all’Australia, dove per rispettare gli obiettivi climatici, l’installazione di turbine eoliche dovrà accelerare di sei volte rispetto ai ritmi attuali.

È l’emblema di una sfida epocale che mette governi e imprese davanti alla
stessa domanda. Ecco come riuscire a stare al passo nell’era di AI e transizione energetica.

Il ruolo (ancora inespresso) dell’AI

Una parte della risposta è già disponibile. L’intelligenza artificiale ha il potenziale di rendere l’energia pulita una realtà scalabile.

Tuttavia, al grande entusiasmo non corrispondono ancora risultati concreti.
Secondo lo studio di Boston Consulting Group (BCG) dal titolo A New AI Playbook for Renewable Energy Companies, quasi il 60% dei dirigenti si aspettava benefici tangibili dall’AI entro un anno.

Eppure, a distanza di tempo, oltre il 70% si dichiara insoddisfatto dei progressi. La contraddizione è evidente: potenzialità immense ma troppo spesso ferme alla fase pilota.
Molte aziende, infatti, si trovano intrappolare in quello che BCG definisce “caos
creativo
”: una fase in cui l’entusiasmo per l’innovazione porta a lanciare decine, se non centinaia di proof of concept ovvero esperimenti utili a dimostrare se un’idea funziona davvero e se può generare valore, senza una regia strategica. Ma i progetti restano spesso confinati in laboratorio, incapaci di diventare soluzioni scalabili e di entrare nei processi core.

Il risultato è un limbo che rallenta non solo l’innovazione, ma l’intera transizione energetica. Un lusso che non possiamo permetterci.

Un potenziale di trasformazione enorme

Nonostante gli ostacoli, il quadro non è affatto negativo: se utilizzata con metodo, l’AI può generare un miglioramento dell’efficienza fino al 25%, aumentare di 2-3 punti percentuali la disponibilità di energia rinnovabile e garantire ritorni economici significativi in meno di cinque anni.
Questo potenziale si traduce in effetti concreti lungo tutta la catena del valore.
Attraverso la manutenzione predittiva di turbine e impianti solari è possibile individuare i guasti prima che accadano, limitare i fermi macchina e prolungare la vita utile degli asset, riducendo così i costi.

Allo stesso tempo, l’ottimizzazione della supply chain snellisce logistica e gestione dell’inventario, riducendo sprechi e inefficienze. L’AI consente inoltre di aumentare i ricavi ottimizzando la produzione in base alle previsioni meteo e alla domanda, così da estrarre più energia dagli stessi impianti.
Parallelamente, le piattaforme di trading energetico basate sull’intelligenza artificiale aprono nuove opportunità, rendendo accessibili anche ai piccoli operatori mercati che in passato erano riservati ai grandi player.

Anche le centrali elettriche virtuali, capaci di aggregare risorse decentralizzate, migliorano la distribuzione e aprono a ulteriori possibilità di monetizzazione. Infine, l’adozione di soluzioni di automazione di attività ripetitive consente di liberare tempo e risorse, soprattutto in funzioni come operation, ingegneria e amministrazione, che da sole rappresentano oltre il 70% del potenziale di
produttività del settore.

Il contesto

Allora vediamo perché i benefici tardano ad arrivare. Il problema non è la tecnologia in sé, ma il contesto in cui viene implementata.

Senza infrastrutture digitali solide, senza dati di qualità e senza una reale trasformazione culturale, l’intelligenza artificiale rischia di restare un esperimento isolato, incapace di generale valore concreto. La ricerca lo
conferma: il successo dei progetti AI dipende per il 70% da persone, processi e
cultura, mentre solo il 30% è legato ad algoritmi e tecnologia.

In altre parole, non è sufficiente installare nuovi sistemi, ma bisogna ripensare il modo di lavorare.

Un nuovo approccio per superare le resistenze

Non sorprende che, nel 2024, solo il 24% delle aziende di utilities, energia elettrica e rinnovabili avesse raggiunto un certo grado di maturità AI.

Il nodo centrale resta il coinvolgimento dei dipendenti.

Ingegneri e operatori di rete, abituati a decisioni basate sull’esperienza, spesso diffidano di insight generati da “scatole nere”, soprattutto se questi implicano modifiche radicali ai flussi di lavoro.
Per superare questa resistenza serve un approccio centrato sull’utente. I progetti di maggior successo sono quelli sviluppati insieme ai futuri utilizzatori, con attività sul campo che permettono di capire come si lavora e quali problemi vanno risolti.

È il caso di un’azienda di servizi pubblici globale che desiderava aiutare i propri tecnici a svolgere al meglio le attività di manutenzione grazie all’IA: in una sola settimana di interviste e affiancamento ai tecnici sono stati raccolti 1.500 insight e 150 immagini operative. Una base che ha permesso di mappare con precisione i processi e individuare soluzioni realmente utili, coinvolgendo attivamente gli operatori.

Portare l’AI oltre la fase pilota nella transizione energetica

Partendo da questo quadro, Bcg ha sviluppato un vero e proprio playbook per portare l’AI oltre la fase pilota.

Il primo passo è definire con precisione quale valore ci si aspetta da ogni progetto, considerando non solo i benefici operativi o come ridurre i tempi di
fermo degli impianti, ma anche i ritorni economici e l’effettiva adozione da parte dei dipendenti, misurata per esempio con i tassi di utilizzo o la partecipazione alla formazione.

Il passo successivo riguarda la scelta dei progetti, che non può essere lasciata al caso, ma deve essere guidata dai casi d’uso che uniscono impatto e fattibilità, allineati agli obiettivi strategici dell’azienda (dall’integrazione della rete alla decarbonizzazione) e sostenuti da dati di qualità, così da essere replicabili tra siti e geografie diverse.

Questione di governance

Il successo dell’intelligenza artificiale richiede una governance del cambiamento solida, con l’impegno visibile della leadership, la creazione di strutture dedicate e un approccio che combini direzione dall’alto e coinvolgimento dal basso.

Come già accennato, coinvolgere i team operativi sin dalle prime fasi – attraverso cicli agili e periodi di affiancamento sul campo – si è dimostrato un metodo efficace per aumentare l’engagement e migliorare la qualità delle soluzioni.

In questo modo le tre leve si rafforzano reciprocamente: la chiarezza sul valore orienta le priorità, le priorità rendono scalabile la tecnologia e la gestione del cambiamento ne garantisce l’adozione.

Il ruolo dell’AI nella transizione energetica

L’AI può aiutare le aziende a fare molto di più che rendere efficiente la produzione di energia pulita.

Può contribuire ad abbinare domanda e offerta in maniera dinamica, a coinvolgere i clienti in modi nuovi e ad aumentare la flessibilità operativa in reti sempre più complesse.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario superare l’approccio tradizionale all’adozione delle tecnologie digitali e costruire organizzazioni basate sull’AI, in cui competenze, processi e cultura aziendale evolvano insieme alla tecnologia.

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