L’inquinamento da plastica non è sempre stato percepito come una minaccia. Per chi ha l’età per ricordare le pubblicità di Carosello, la plastica è indissolubilmente legata al tormentone sul Moplen, in cui Gino Bramieri, con il grembiule da cucina, prometteva alle massaie italiane accessori per la casa pratici, leggeri e indistruttibili.
La rivoluzionaria scoperta del polipropilene isotattico, un tipo di plastica dura e resistente commercializzato con il marchio Moplen, fu uno dei grandi successi scientifici e industriali italiani e valse a Giulio Natta il premio Nobel per la chimica nel 1963.
Come siamo passati dall’associare la plastica alla prosaica immondizia piuttosto che alla creatività, all’inventiva e alla praticità? Due parole riassumono la risposta: monouso e microplastica.
Indice degli argomenti
Inquinamento da plastica e boom produttivo nel secondo Novecento
L’esplosione industriale della plastica si verifica nella seconda metà del Novecento, con una produzione che passa da 2 milioni di tonnellate all’anno negli anni Cinquanta a oltre 25 milioni negli anni Settanta, superando ormai i 400 milioni di tonnellate con una crescita annuale media dell’8,5%: nessun altro tipo di materia prima ha conosciuto una crescita così dirompente.
A parte rare eccezioni, la plastica è un prodotto dell’industria petrolchimica e consuma circa il 20% della produzione mondiale di petrolio, contribuendo significativamente anche alle emissioni di CO2. La plastica viene impiegata per imballaggi, nell’edilizia, nell’industria tessile e per produrre una miriade di oggetti che ci circondano. Il suo basso costo favorisce un impiego effimero: spesso l’oggetto di plastica viene usato poche volte o addirittura una volta sola.
Mare e oceani: l’inquinamento da plastica fuori controllo
Le chiamano isole, ma in realtà non hanno né suolo né riva e si possono attraversare senza incontrarle. Parliamo delle cosiddette isole di plastica, che sono in realtà degli addensamenti di detriti al centro degli oceani, causati dalle correnti marine. La più grande e la prima a essere stata scoperta è quella del Pacifico, ma anche il Mediterraneo ne possiede una. Infatti, gran parte della plastica dispersa nell’ambiente finisce in mare, come può notare chiunque vada a passeggiare sulla spiaggia. Il problema è ormai globale e si calcola che negli oceani sono abbandonate più di 150 milioni di tonnellate di plastica. L’impatto sulla fauna marina è devastante.
Microplastiche: il lato invisibile dell’inquinamento da plastica
I rifiuti di plastica (macroplastiche) sono visibili in superficie, sia in mare che sulle spiagge, ma con il tempo si degradano in minuscoli frammenti non più visibili a occhio nudo, la microplastica, che è stata rilevata su tutta la superficie terrestre, dalla cima dell’Himalaya alla Fossa delle Marianne. I depositi di microplastica sono talmente significativi da essere ormai considerati un possibile segno distintivo dell’Antropocene, il termine proposto per indicare l’attuale era geologica, caratterizzata dall’impatto dominante delle attività umane sull’ambiente terrestre.
In una inquietante forma di riflessione speculare dal globale all’individuale, la microplastica non si accumula solo sulla superficie terrestre, ma anche nel nostro corpo, attraverso il cibo che mangiamo, l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo. La microplastica è stata trovata in molti tessuti del corpo umano, in particolare nel cervello, nei polmoni e nella placenta. Anche se l’impatto sulla salute non è ancora stato stabilito con certezza, studi comparativi recenti indicano possibili effetti negativi sugli apparati respiratorio, digestivo e riproduttivo.
Tendenze future dell’inquinamento da plastica secondo l’OCDE
Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCDE), senza una politica proattiva, la produzione di plastica potrebbe triplicare entro il 2060, raggiungendo oltre 1.300 milioni di tonnellate annue, di cui 44 milioni finiscono disperse nell’ambiente. Ciò comporterebbe un aumento della quantità di plastica nei fiumi e negli oceani, che potrebbe raggiungere i 493 milioni di tonnellate. Si prevede anche il raddoppio delle emissioni di CO2 derivanti dalla produzione e dall’uso della plastica per raggiungere 4,3 miliardi di tonnellate. In una forma inconsueta di giustizia ambientale si prevede che la dispersione di microplastiche, a differenza di quella delle macroplastiche, aumenterà anche nei paesi ricchi.
Secondo l’OCDE, una politica aggressiva a livello internazionale potrebbe ridurre la produzione di plastica del 30% e la dispersione nell’ambiente del 90%. L’OCDE suggerisce tre possibili direzioni: ridurre la domanda, incentivare il riciclo e ridurre la dispersione.
Purtroppo, nonostante sia previsto un aumento della proporzione di plastica riciclata, il rapporto dell’OCDE stima che, senza politiche adeguate, entro il 2060 solo il 12% della plastica sarà di origine circolare.
Passare dai polimeri alla bioplastica faciliterebbe la circolarità e la biodegradabilità e ridurrebbe le emissioni di CO2 durante la produzione, anche se l’impatto dell’uso dei terreni agricoli e della deforestazione potrebbe compensare questi benefici. Tuttavia, l’OCDE prevede che, in assenza di politiche di supporto, la bioplastica rappresenterà solo una piccola parte dell’uso totale di plastica, circa lo 0,5%, entro il 2060.
Insomma, se si lascia che l’economia mondiale sia guidata solo da logiche industriali e commerciali, il problema della plastica, con tutte le conseguenze sulla biodiversità e sulla salute, non si risolverà da solo.
Geopolitica della plastica e il trattato ONU mancato
Chiaramente, solo un’azione politica coordinata a livello internazionale può produrre risultati concreti. Nel marzo 2022, l’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente ha istituito il Comitato Intergovernativo di Negoziazione sull’Inquinamento da Plastica ( https://www.unep.org/inc-plastic-pollution ) con il mandato di affrontare l’intero ciclo di vita della plastica, dalla produzione allo smaltimento. L’obiettivo era quello di arrivare entro il 2024 a un trattato come quello di Montreal del 1987, che ha permesso di proteggere lo strato di ozono della Terra, o come l’accordo di Parigi del 2015 sul cambiamento climatico.
Purtroppo, dopo quattro sessioni infruttuose, anche la quinta, tenutasi a Ginevra nell’estate del 2025, non ha permesso di finalizzare il trattato globale sulla plastica. Nonostante la maggior parte dei Paesi (tra cui l’UE e molti Stati africani e latinoamericani) spingesse per un trattato ambizioso, la resistenza di paesi produttori di petrolio come gli USA e l’Arabia Saudita ha impedito di raggiungere un testo condiviso. I prossimi passi saranno la ricostituzione delle istanze dirigenti del comitato INC, ma al momento non c’è nessun accordo all’orizzonte.
Tra le ONG presenti alle trattative a Ginevra c’era anche Plastic Free, l’unica ONG italiana. Silvia Pettinicchio, responsabile per la Strategia Globale dell’associazione, ci racconta che la delusione per il fallimento è stata compensata dalla determinazione mostrata dal gruppo di paesi che intendono proseguire sulla strada di un mondo senza rifiuti di plastica. La High Ambition Coalition, unisce un gruppo di paesi tra cui l’Unione Europea in una sorta di alleanza dei volenterosi per la lotta alla plastica.
L’obiettivo è quello di eliminare le plastiche problematiche, stabilire standard di sostenibilità, garantire la trasparenza, monitorare i progressi e fornire supporto tecnico e finanziario ai Paesi, in particolare a quelli in via di sviluppo, per eliminare l’inquinamento da plastica entro il 2040.
L’Europa contro l’inquinamento da plastica: dati e politiche
In questo scenario, l’Europa gioca un ruolo da leader mondiale, imponendo direttive che prevedono criteri rigidi per quanto riguarda la raccolta differenziata, l’uso di materiale riciclato, la riduzione della plastica monouso e degli imballaggi. L’impegno europeo dà risultati concreti.
Nel 2023, in media, sono stati generati 35,3 kg di rifiuti di imballaggi in plastica per ogni persona residente nell’UE. Di questi, 14,8 kg sono stati riciclati. La quantità di rifiuti di plastica generati è diminuita di 1,0 kg rispetto al 2022, mentre la quantità di rifiuti di plastica riciclati è aumentata di 0,1 kg.
Cosa possiamo fare tra volontariato, scelte quotidiane e politica
I volontari delle associazioni che combattono l’inquinamento da plastica non stanno comunque con le mani in mano: si rimboccano le maniche e, tra le altre cose, vanno in spiaggia a raccogliere la plastica. Una delle principali attività di Plastic Free è proprio l’organizzazione di raccolte di plastica.
Al di là dei risultati immediati, quantificabili in tonnellate di plastica raccolta e in spiagge ripulite e restituite a un uso collettivo, che si spera responsabile, le raccolte di plastica svolgono un importante ruolo educativo e di sensibilizzazione delle istituzioni. Silvia Pettinicchio afferma che molti comuni in Italia partecipano con entusiasmo alle loro campagne e mostrano una sincera sensibilizzazione al problema.
A livello personale, siamo sia responsabili che vittime e, piuttosto che aspettare che i politici del mondo si decidano a intraprendere azioni concrete, possiamo agire per proteggere la nostra salute e quella dei nostri cari, riducendo al contempo il nostro impatto ambientale. Ecco alcune piste da seguire:
- Non riscaldare gli alimenti nel microonde in contenitori di plastica. Anche l’acqua calda della lavastoviglie può causare la degradazione della plastica.
- Evitare o sostituire gradualmente i prodotti di plastica.
- Conservare gli alimenti in barattoli di vetro.
- Utilizzare borse di tela, utensili di metallo o bambù e una bottiglia d’acqua riutilizzabile.
- Acquistare tessuti naturali quando possibile.
- Pulire regolarmente, perché le microplastiche possono accumularsi nella polvere.
- Mangiare più cibi freschi e fatti in casa, includendo molta frutta e verdura.
- Incoraggiare i datori di lavoro a ridurre l’uso di plastica monouso, ad esempio evitando gli utensili di plastica nella cucina dell’ufficio.
- Evitare di acquistare oggetti o alimenti imballati in plastica.
Non dobbiamo dimenticare che siamo non solo consumatori, ma anche cittadini e possiamo partecipare attivamente ad azioni sociali volte a trovare soluzioni al problema della plastica monouso e a esercitare pressioni su chi ci rappresenta a livello locale e nazionale. Un primo passo è quello di informarsi sulle posizioni politiche dei vari partiti riguardo a questo argomento.
Volt Italia, ad esempio, nel suo programma Green, propone soluzioni concrete per promuovere l’economia circolare, favorire le bioplastiche e ridurre la dispersione dei rifiuti nell’ambiente (https://www.voltitalia.it/wp-content/uploads/2022/05/Programma-Green-2021-con-emendamenti-inclusi.pdf.). Con la sua rappresentanza al Parlamento Europeo, Volt spinge perché l’UE introduca limiti ambiziosi e giuridicamente vincolanti alla produzione primaria di polimeri plastici, acceleri e ampli il campo di applicazione del regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR) e del regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (PPWR) e rafforzi i sistemi di responsabilità estesa del produttore (EPR) per trasferire l’onere finanziario della gestione dei rifiuti dai contribuenti e dai comuni ai produttori di plastica, secondo il principio “chi inquina paga”.
Un mondo pieno di plastica: il senno perduto di Astolfo
Le isole di plastica e le spiagge coperte di rifiuti fanno pensare all’Orlando Furioso e al viaggio di Astolfo sulla Luna, dove si accumulano le cose perse sulla Terra, tra cui il senno di Orlando. Solo che qui parliamo di sacchetti, bottiglie, giocattoli e tanti altri oggetti che i consumatori di tutto il mondo hanno disperso nell’ambiente, forse insieme a un po’ del loro buon senso.
Insomma, dovremmo tutti trasformarci in moderni Astolfi e aiutare l’umanità a ritrovare il senno perduto dietro alla facilità d’uso della plastica.
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