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Serre intelligenti: luce e tecnologia per il futuro dell’agricoltura



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La serra intelligente integra architettura, luce e intelligenza artificiale per ottimizzare coltivazioni e produzione energetica, affrontando i limiti dei modelli intensivi. Un equilibrio dinamico tra risorse, sostenibilità e qualità delle colture

Pubblicato il 10 set 2025

Michelangelo Di Stefano

senior consultant – tecniche investigative e forensi avanzate

Daniele Rubiu

PMO Digital Innovations Specialist presso Pragma Etimos s.r.l.



serra intelligente

La serra intelligente nasce come risposta alle sfide di un’agricoltura che deve conciliare sostenibilità, efficienza energetica e qualità delle colture. Nel percorso che ha portato al progetto Serra Archimede, luce e intelligenza artificiale diventano elementi centrali di un ecosistema innovativo.

Ma andiamo per gradi.

Coltivazioni intensive e limiti del modello produttivo

Con il termine “coltivazione intensiva” si intende un modello agricolo rivolto a massimizzare produzioni per unità di superficie, utilizzando tecnologie avanzate che sono in grado di accelerare i processi produttivi, anche intervenendo sui tanti fattori di criticità che, spesse volte, intervengono sulla filiera rallentando o pregiudicando il prodotto finale.

Non si tratta, sempre, di un modello virtuoso ed etico, in quanto molti di quei processi sono stati, e sono, condizionati dall’impiego di prodotti nocivi per l’eco sistema, come fertilizzanti e pesticidi ma, anche, pregiudizievoli per tutte le altre catene dell’eco sistema che, nel caso di monocolture, determinano importanti squilibri della flora e della fauna presente nell’area di interesse.

Ma anche eccessivi impieghi di risorse idriche (alle volte oggetto di deviazione illecita) o di imponenti consumi di energia elettrica.

Le alte produzioni determinano, alle volte, anche scompensi nelle dinamiche di mercato, pregiudicando la sopravvivenza di coltivazioni classiche – e virtuose – che gioco forza vanno a scontrarsi con proporzioni falsate del rapporto richiesta/offerta, agevolando i grandi insediamenti di smistamento verso la grande catena di distribuzione, storicamente sottoposta al dictat delle criminalità mafiose.

La filiera beneficia, inoltre, di modelli produttivi meccanici che agevolano il lavoro dell’uomo ma che, parallelamente, ne sviliscono la partecipazione con una sempre più consistente crisi nel settore dei braccianti.

Crisi che, purtroppo, viene compensata sempre più frequentemente attraverso l’istituto del cosiddetto caporalato” dove ogni regola di dignità del lavoratore viene erosa.

Vista in questi termini la pratica di coltivazione intensiva potrebbe, erroneamente, apparire come un limone spremuto, dove a dispetto dei numeri produttivi sempre più grandi su fazzoletti di terra sempre più piccoli, si assisterebbe alla morte della manovalanza, alla degradazione della genuinità del prodotto, all’erosione del terreno di interesse e da ultimo al collasso dell’eco sistema.

Ma a questo scenario distopico va aggiunta la componente più importante e, spesse volte, oggetto di sciacallaggio speculativo: l’assalto alle contribuzioni pubbliche.

Sono migliaia i casi in cui importanti appezzamenti di terreno sono stati, alla bisogna, rasi al suolo per portare poi a dimora, un giorno agrumi e l’altro ancora frutti esotici, a seconda del business del momento foraggiato da miopi imprenditori senza scrupoli, mandando in malora piante di ulivi con tronchi opere d’arte o vigne autoctone secolari.

Il legislatore interno e la Comunità Europea sono intervenuti più volte per arginare la problematica che, purtroppo, trova ancora delle enormi falle di sistema che aggrediscono le casse pubbliche.

A partire dalla previsione penale di una sanzione nei confronti di chi, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell’Unione europea (art. 640 cp), fino alla più specifica previsione del reato di “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche” che, con la legge L. 19 marzo 1990, n. 55, aveva introdotto l’art. 640 bis nel codice penale.

Parallelamente la Commissione Europea aveva avviato già nel lontano 1988 un iter di prevenzione e contrasto con la costituzione dell’ UCLAF, acronimo dell’ Unità di Coordinamento per la Lotta Anti Frodi – Servizio antifrode dell’Unione Europea sostituito, nel 1999, dall’ OLAF, OLAF, Office de lutte anti-fraude, che indaga sui casi di frode ai danni del bilancio dell’UE e sui casi di corruzione e grave inadempimento degli obblighi professionali all’interno delle istituzioni europee.

La centralità della luce nelle serre moderne

In un mondo in cui l’acqua scarseggia, i suoli si surriscaldano e le colture arrancano sotto cieli sempre più incerti, progettare una serra non è più un esercizio di ingegneria: è una sfida ecologica, tecnologica e culturale.

La luce – da sempre simbolo di vita – torna al centro della riflessione agronomica; non tutta la luce, però: solo quella parte che le piante sono in grado di usare per la fotosintesi, la cosiddetta PAR (Photosynthetically Active Radiation), può determinare la resa effettiva di una coltura.

Ogni ombra in più è una potenziale perdita di energia biologica; ogni superficie opaca è un rischio di stress, rallentamento o morte per le piante.

Al contempo, l’energia solare resta una risorsa imprescindibile. La crescente pressione sui costi energetici e sulla sostenibilità impone di ripensare le serre anche come unità produttive autosufficienti, capaci di generare parte dell’energia necessaria al loro funzionamento grazie all’integrazione fotovoltaica.

Ma come produrre energia senza compromettere la crescita delle piante?

Il progetto Serra Archimede nasce esattamente da questa tensione: trovare l’equilibrio dinamico tra luce per la fotosintesi e luce per la produzione elettrica. Tra ombra e calore. Tra forma e funzione.

Il risultato è un sistema integrato, in cui l’architettura solare, i materiali selezionati e l’intelligenza artificiale cooperano per adattarsi in tempo reale alle condizioni climatiche e colturali. Una serra progettata per massimizzare la radiazione fotosinteticamente attiva, ridurre gli sprechi e sopravvivere – e produrre – anche in condizioni ambientali estreme.

In questo primo articolo raccontiamo la nascita della serra: un percorso di ricerca, prove e fallimenti, in cui la forma non è mai stata un semplice contenitore, ma la prima scelta ecologica.

I limiti delle prime serre fotovoltaiche

Nei primi anni della corsa all’agrifotovoltaico, la priorità era chiara: produrre energia.

Le serre, viste come strutture già esistenti e funzionali, sembravano il luogo ideale per integrare pannelli solari: tetti inclinati, esposizione favorevole, superfici ampie.

Ma si sottovalutò un dettaglio tutt’altro che secondario: le piante.

La prima generazione di serre fotovoltaiche – spesso rigide, pesanti, progettate con approcci standard – sacrificava luce e microclima sull’altare dell’efficienza elettrica.

Il risultato fu, in molti casi, un’agricoltura di facciata: colture stressate, rese ridotte, condizioni subottimali.

In alcune situazioni si arrivò persino a colture fittizie o marginali, usate come giustificazione per impianti che di agricolo conservavano solo il nome.

Ecco che le prime serre fotovoltaiche ebbero come effetto quello dell’eccessiva ombreggiatura: la produzione di energia green avrebbe, infatti oscurato le colture.

La forma come innovazione architettonica: la nascita del progetto Serra Archimede

È da questo scenario che nasce Serra Archimede, un progetto che ribalta il paradigma: non una serra agricola a cui aggiungere pannelli, ma una serra progettata da zero, integrando i vincoli agronomici e quelli energetici in un unico gesto architettonico.

La forma non è stata definita a tavolino.

È emersa da una serie di tentativi, fallimenti e revisioni, modellata dai dati, dai vincoli climatici, e soprattutto dalla luce.

Abbiamo imparato che l’orientamento, l’inclinazione, la curvatura delle superfici non sono scelte neutre: determinano la quantità e la qualità della radiazione PAR ricevuta dalle piante.

La vera innovazione non è nel pannello, ma nella geometria.

Materiali, pannelli e architettura della luce

Durante la fase di ricerca, sono stati testati materiali diversi – vetro, policarbonato, film plastici – e trattamenti superficiali in grado di modulare la trasparenza, riflettere il calore, diffondere la luce. Ogni combinazione è stata valutata non solo per la sua trasmittanza solare, ma per la sua capacità di preservare il microclima interno e garantire una distribuzione omogenea della luce fotosintetica.

Anche il fotovoltaico è stato oggetto di valutazione attenta.

La scelta è ricaduta volutamente su moduli standard, comuni, facilmente reperibili sul mercato. Non per mancanza di ambizione tecnologica, ma per una precisa esigenza di replicabilità, economicità e solidità progettuale.

È vero: questi pannelli sono più oscuranti rispetto a soluzioni avanzate.

Ma nella S. A., non è il pannello a decidere la luce. È l’architettura. È il disegno della struttura e dei materiali di copertura a guidare e diffondere la luce indiretta, compensando naturalmente le zone d’ombra e assicurando una distribuzione ottimale per le colture.

Non serve il pannello perfetto, serve un sistema intelligente in cui ogni elemento coopera per armonizzare energia e agricoltura.

Architettura, energia, intelligenza: la serra prende vita

Questa è l’essenza della Serra: un sistema integrato, dove ogni componente – fisico, energetico, vegetale – contribuisce a un equilibrio più grande.

Ma perché questo equilibrio sia mantenuto, analizzato e, quando serve, ottimizzato nel tempo, è necessario uno sguardo sempre vigile, capace di leggere l’invisibile e reagire in tempo reale ai cambiamenti.

Qui entra in gioco l’intelligenza artificiale: non come sostituto dell’esperienza umana, ma come alleato invisibile, silenzioso e instancabile, capace di affiancare il lavoro dell’agronomo, moltiplicandone la presenza, raccogliendo dati, segnalando anomalie, suggerendo aggiustamenti.

Pragma Etimos ha raccolto questa sfida: dare forma a una nuova agricoltura dove la tecnologia non sovrasta, ma accompagna.

Una serra che non è solo intelligente, ma anche consapevole, grazie a sensori, algoritmi e modelli costruiti per rispettare – e potenziare – il ciclo della vita.

Agricoltura resiliente come obiettivo finale

Per questo, l’obiettivo del progetto non è – e non sarà mai – solo la produzione elettrica: l’energia è un mezzo ed il fine è un’agricoltura resiliente, sostenibile, localizzata, capace di rispondere ai cambiamenti climatici e alle crisi idriche senza rinunciare alla qualità e alla produttività.

Una serra che non sfrutta le colture come pretesto, ma che parte da esse per definire tutto il resto.

In questo, il progetto è anche una dichiarazione politica: non basta piantare due pomodori sotto i pannelli per fare agricoltura. Serve progettare, testare, misurare. E soprattutto: serve ascoltare la luce. Una visione non più utopica ma un modello virtuoso e performante di elevatissimo rilievo pubblico, idoneo a compensare tutti i gap che, nel nuovo millennio, hanno registrato l’erosione del mercato di comparto in tutta la sua filiera.

La misurazione della radiazione fotosintetica attiva

La fotosintesi non risponde alla luce in senso generico, ma a una precisa fascia spettrale della radiazione solare, detta PAR – Photosynthetically Active Radiation, compresa tra i 400 e i 700 nanometri.

Misurare la PAR non è semplice. Non basta un fotometro o un sensore di luminosità ambientale: servono strumenti capaci di quantificare l’energia utile alle piante, in μmol/m²/s, e di farlo con continuità nel tempo e nello spazio.

Le misurazioni in campo, condotte all’interno della Serra Archimede e in serre convenzionali di controllo, hanno evidenziato differenze significative nella quantità e distribuzione della PAR.

In particolare, la forma della struttura e la scelta dei materiali influiscono non solo sulla quantità assoluta di radiazione disponibile, ma anche sulla sua direzionalità, diffusione e stabilità nel corso della giornata.

Un monitoraggio ed una sperimentazione curata dai tecnici della Serra in sinergia al mondo universitario che ha abbracciato appieno questa sfida quale possibile svolta generazionale nelle coltivazioni intensive con l’ausilio delle nuove tecnologie.

Ombre, gradienti e fisiologia delle piante

Una luce troppo diretta può causare surriscaldamento fogliare e fotoinibizione; una luce troppo attenuata, al contrario, porta a internodi allungati, clorosi marginali, rallentamenti metabolici.

In questo senso, la serra non è semplicemente un involucro, ma un modificatore del microclima radiante.

I test condotti suggeriscono che l’uniformità orizzontale e verticale della luce all’interno dell’ambiente colturale sia altrettanto importante quanto l’irraggiamento medio.

Le osservazioni fenotipiche – pur preliminari – mostrano risposte diverse in termini di morfologia fogliare, sviluppo radicale e comportamento stomatico tra piante coltivate nella S. A. e piante in serre di tipo tradizionale.

Oltre la quantità: la qualità della luce

A influenzare il metabolismo fotosintetico non è solo la quantità di fotoni, ma anche la composizione spettrale della luce (rapporto rosso:blu, presenza di UV, ecc.) e la stabilità del microclima (fluttuazioni termiche e idriche, stress ossidativi).

In questo senso, una serra moderna deve armonizzare i fattori luminosi, termici e idrici in un equilibrio dinamico. Non basta schermare il sole o accendere un LED: serve un approccio sistemico che tenga conto della fisiologia vegetale, della variabilità climatica e delle esigenze produttive.

La luce non è mai neutra.

Ogni modifica progettuale – inclinazione di un pannello, scelta di un film plastico, apertura automatica – cambia il modo in cui la pianta percepisce e interpreta l’ambiente.

E ogni variazione lascia una traccia visibile nella crescita.

Il ruolo etico dell’intelligenza artificiale

La serra va intesa come una forma di dialogo tra luce, forma e sapere; una serra non è, come erroneamente si potrebbe intendere, un contenitore: bensì un organismo vivo, una soglia fra natura e cultura.

In essa si incontrano la geometria e il sole, la terra e l’ingegno, la memoria del seme e il futuro dell’ambiente.

In questo spazio fluido, l’intelligenza artificiale non entra come padrona, ma come ospite attento, come strumento al servizio di una conoscenza più antica e più profonda: quella dell’agronomo, del contadino, dell’uomo che osserva, che ricorda, che intuisce.

Da qui il ruolo etico di Pragma Etimos, con un approccio dove l’algoritmo non coltiva, ma si affianca alle tecniche agronomiche senza sostituirsi al sapere e all’esperienza.

L’artificial intelligence non sa cos’è una stagione incerta, non conosce l’odore della pianta sana né l’inquietudine che precede una grandinata.

Non ha ricordi, non ha mani sporche di terra.

Per questo, nel progetto Serra Archimede, l’AI non si propone mai come alternativa all’esperienza umana.

Al contrario, il suo compito è amplificare la capacità dell’agronomo, superare i limiti fisiologici dell’occhio e della presenza.

Laddove l’uomo deve dormire, l’algoritmo veglia.

Dove i sensi non arrivano, i sensori raccolgono.

E dove le variabili si fanno troppe, l’AI suggerisce, simula, mostra tendenze.

Ma la decisione resta umana.

Ottimizzazione multi-obiettivo del microclima

Ogni giorno in serra è diverso dal precedente. Il sole cambia traiettoria, il vento cambia umore, la pianta cambia bisogno.

L’architettura della serra reagisce, il microclima si adatta, l’intelligenza artificiale registra, interpreta, impara.

Ma è l’agronomo che dà senso a quei cambiamenti, che li riconduce all’obiettivo più importante: la vita della pianta e la qualità del raccolto.

La vera innovazione non sta nella sostituzione, ma nella sinergia tra linguaggi diversi:

  • il linguaggio della terra, fatto di gesti antichi;
  • il linguaggio della luce, che l’architettura deve saper leggere;
  • e il linguaggio dei dati, che l’AI traduce in suggerimenti e previsioni.

Ottimizzare la luce, preservare l’equilibrio

Nel cuore della serra intelligente, la luce non è solo misurata: è modellata.

Attraverso modelli predittivi addestrati su dati reali – raccolti giorno dopo giorno da sensori ambientali, attuatori, stazioni meteo e report agronomici – l’intelligenza artificiale impara a prevedere il comportamento del microclima e ad anticipare i bisogni della pianta.

L’obiettivo non è solo massimizzare la quantità di luce fotosinteticamente attiva (PAR) che raggiunge la chioma, ma farlo in armonia con tutte le altre variabili del sistema:

  • l’efficienza energetica,
  • il consumo idrico,
  • la temperatura fogliare,
  • l’umidità relativa,
  • lo stress della coltura,
  • la curva di sviluppo desiderata.

Ogni apertura, ogni inclinazione, ogni azione degli attuatori è valutata in funzione non di un singolo parametro, ma di una rete di interazioni, in cui la luce diventa una leva centrale ma non esclusiva.

Il modello AI non lavora quindi su un semplice “obiettivo massimo”, ma su un bilanciamento dinamico: una forma di ottimizzazione multi-obiettivo che rispecchia la complessità del vivente.

E qui, ancora una volta, è l’agronomo a guidare:

  • insegnando all’AI cosa osservare,
  • correggendone gli eccessi,
  • e definendo, caso per caso, cosa significa davvero “ottimale”.

Un nuovo ruolo per l’agronomo digitale

In questa visione, l’agronomo non è né dominato né rimpiazzato dalla tecnologia.

Al contrario: è potenziato, liberato dalla sorveglianza continua, residente ovunque e sempre, grazie all’interfaccia digitale della serra intelligente.

L’AI diventa un secondo sguardo, sempre acceso; un secondo orecchio, sempre in ascolto.

Non prende il posto dell’intuito, ma ne raccoglie i dati.

Non cancella l’errore, ma lo rende più visibile.

Non dà risposte assolute, ma affina le domande.

La serra intelligente come ecosistema in ascolto

La luce non è solo una questione di quantità.

Non basta inseguirne l’intensità, come se ogni raggio fosse uguale all’altro.

Per una pianta, la luce è direzione, durata, colore, ritmo. È un linguaggio silenzioso con cui la natura scrive la sua architettura interna: modella la forma delle foglie, guida la crescita, attiva il respiro.

Per questo, parlare di agrifotovoltaico non significa semplicemente “mettere insieme” energia e coltura.

Significa cercare un equilibrio fragile e vivo, in cui ogni elemento – dalla geometria della serra, al tipo di vetro, fino all’algoritmo che regola una finestra – deve collaborare alla stessa sinfonia: far crescere la vita, con intelligenza.

La Serra Archimede non è solo un’infrastruttura.

È un ecosistema in ascolto, dove architettura, biologia e informatica si alleano per adattarsi, reagire, imparare.

Ogni coltura richiede un microclima diverso, ogni stagione ha i suoi limiti, ogni territorio le sue sfide. L’intelligenza artificiale diventa allora il ponte tra l’imprevedibile della natura e la prevedibilità della macchina, tra il sapere contadino e la potenza del calcolo.

In un mondo che ha bisogno di più cibo, meno risorse e maggiore resilienza climatica, questa alleanza tra forma, coltura e intelligenza non è solo auspicabile: è necessaria.


Hanno collaborato alla stesura del presente articolo Alberto Mangione, Fabrizio Iozzia, Fabio Vincenzo Colacino e Giorgio Rubiu.

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