Dopo che per ben 70 anni ha plasmato il panorama tech mondiale, il Venture Capital tradizionale sarebbe ormai obsoleto. È davvero così? Proviamo a smontare questo mito.
Con i due terzi della top 20 delle società a maggiore capitalizzazione al mondo, nate sviluppate grazie al venture capital. Sinceramente, sembra di sentire ancora, dopo 2600 anni, la favola della volpe e dell’uva.
Al fine di evitare confusione ci concentriamo su due aspetti banali delle venture capital che sono la base che spesso si tende ad ignorare.
Indice degli argomenti
Cos’è una startup e cosa cerca un venture capitalist
Approfondendo alcuni aspetti controintuitivi rendono il venture capital ed il supporto alle startup qualcosa di completamente diverso rispetto a tutti i modelli di business e di rischio conosciuti. Dove, anticipo un aspetto, pagare troppo può essere più redditizio che pagare troppo poco.
Partiamo dal concetto basilare che periodicamente deve essere ribadito. Cosa è una startup (senza trattino) prendiamo le 3 delle definizioni più celebri:
- “Una startup è un’organizzazione temporanea in cerca di un business model replicabile e scalabile.” Steve Blank.
- “Una startup è un’istituzione umana concepita per offrire nuovi prodotti o servizi in condizioni di estrema incertezza.” Eric Ries.
- “Una startup è una società concepita per crescere velocemente.” Paul Graham.
Cosa ci dicono: che la startup deve essere scalabile e replicabile, e concepita per crescere velocemente, vive di incertezza che alcuni chiamerebbero innovazione disruptive e vive nello stato di startup solo per una fase della sua vita. E’ temporanea, dopo il successo o diventa una grande impresa, o fallisce, o diventa una PMI che è un’altra cosa. Tutti gli altri approcci.
Lifestyle business, Small business, Social Business etc. anche se fortemente innovativi, anche se rivoluzionari non sono startup.
La power law e il modello economico del venture capital
Quindi chi è il venture capitalist. Colui che investe in startup. Con un unico scopo. Trovare quella che scala, o meglio, iperscala. Il venture capitalist è, banalizzando, un cacciatore di unicorni. Il suo modello di business è basato su una ed una sola regola.
Che in finanzia non è molto diverso che in matematica, sociologia, fisica etc. Le leggi di potenza sono un modo per descrivere distribuzioni in cui una piccola parte degli elementi domina il fenomeno, mentre la maggioranza ha un impatto minore.
Rispiegando la power law.
Il venture capital, per sua natura, è caratterizzato da un’alta incertezza e rischio. Molte startup falliscono, altre offrono rendimenti modesti, ma un piccolo, anche molto piccolo, numero di aziende, quelle che riescono a scalare rapidamente e a raggiungere un successo significativo, generano rendimenti eccezionali. Ed ecco alcuni punti chiave:
Disproporzionalità dei rendimenti
La maggior parte dei fondi VC si basa sulla legge di Pareto, ovvero che l’80% dei rendimenti provengono dal 20% degli investimenti, o anche molto meno.
Investimenti ad alto rischio, rendimenti elevati
Il VC investe in aziende ad alto potenziale di crescita, ma anche ad alto rischio di fallimento. Il power law riflette questa natura, dove il potenziale di guadagno è legato al rischio.
Importanza della diversificazione
Per mitigare il rischio associato alla legge di potenza, i fondi VC devono a diversificare i loro portafogli, investendo in un ampio numero di startup, pur sapendo che solo alcune di esse genereranno ritorni eccezionali.
In sintesi, il power law è un concetto chiave nel venture capital, che spiega come i rendimenti elevati provengono da un numero limitato di investimenti di successo, mentre la maggior parte degli altri investimenti può fallire o generare ritorni modesti.
Capitale, fondatori e il rischio di sbilanciare la captable
Chi si comporta da gestore di private equity – calcoli meticolosi, sconti aggressivi, “cherry‑picking” di metriche – rischia di restare con rendimenti mediocri e partecipazioni illiquide
Quindi un investitore che gestirà il portafoglio in modo oculato, concludendo affari con valutazione basse. Che probabilmente sarebbe un ottimo gestore di private equity. Contro intuitivamente probabilmente fallirà. Nel senso non genererà nessun rendimento significativo, non riuscirà a liquidare il suo portafoglio e finirà con dichiarare per decenni valori di portafoglio su carta che nessuno vedrà concretizzarsi. Al contrario la statistica mostra come investitori Spread and Pray. Che sopravvaluteranno le startup più promettenti, si ritroveranno magari con quell’unicorno in portafoglio che da solo ripaga l’intero portafoglio.
Questo concetto, apparentemente controintuitivo ha basi logiche molto robuste e che riguardano il funzionamento stesso di una startup.
Regola numero uno: non creare caso nella captable
La prima regola da rispettare è: non fare casino nella captable.
L’errore fatale che uccide il bambino in culla è fare operazioni in cui:
- I fondatori si trovino velocemente in minoranza nel capitale della startup. Se avrò agito in questo modo avrò dato ex ante un tetto ai round che la startup può fare. Che magari dovranno essere molti. Visto che l’asset principale della startup sono team e founder, se questi dopo due round sono alla porta, la loro motivazione sarà bassa, probabilmente nel frattempo stanno già cercando un altro mestiere. La startup sarà semplicemente morta prima ancora di nascere, magari l’investitore pensa di aver fatto un affare in realtà ha solo compiuto uno startupicidio. Qualsiasi VC proveniente da mercati maturi dirà che una porzione elevata dei fallimenti è causata da problemi fra i founder o da squilibri fra founder e investitori.
- Evitare come la peste il dead Capital. Avere una startup in cui ad esempio il prof. che ha partecipato al progetto, ma non è operativo, detiene il 30/40% del capitale. Equivale ad avere i founder operativi alla porta dopo un paio di round. Stesso discorso per consulenti, università, incubatori etc. Il capitale inerte impedisce di premiare chi lavora 18 h al giorno.
- Patti parasociali capestro che di fatto ottengono le diluizioni dei founder come nel caso A ma posticipando il problema. Siccome si suppone che un founder di una startup un poco di algebra la conosca ottengo il risultato del punto A semplicemente non rendendo il processo trasparente ed esplicito ai terzi.
Quando la captable è sbilanciata, la Power Law gioca contro: la startup muore prima di poter diventare quella su cui il fondo contava per fare il 90 % dei ritorni
Perché sopravvalutare una startup può essere utile
Regola numero due. È più probabile che si faccia un affare sopravvalutando che sottovalutando la startup.
Questo può essere controintuitivo ma vediamo anche in questo caso cosa succede:
Un investimento VC vero, secondo le metriche internazionali, mediamente accetta due soli risultanti. Il successo o l’azzeramento della partecipazione. Nel primo caso per un VC il successo vuol dire moltiplicatori molto elevati. A questo punto la differenza tra un X20 un X50 o un 100X conta poco. Cosa innesco però se sopravvaluto la startup? Rendo in suo capitale una moneta che vale molto. E vediamo anche qui tutti i meccanismi virtuosi che si innescano.
- Nel capitale della startup c’è spazio per molti round di investimento prima di rischiare di perdere il team. Sopravvalutando compro il diritto di sbagliare, se in team è buono questo può valere più dell’idea iniziale.
- Posso usare il capitale per pagare, ad esempio l’acquisizione di un’altra startup, oppure talenti, usando quote minime di capitale e quindi senza distruggere la captable
- Ho un’arma potentissima per attirare talenti usando due leve. Da un lato posso usare l’arma promozionale che talento andrà a lavorare in una startup che già vale molto. “Fate un sondaggio se un brillante ingegnere preferisce andare a lavorare in una startup che vale 3 milioni o 50.”
- Dall’altro il capitale diventa metodo di remunerazione virtuale. Attirare talenti costa, anche molto. E non è detto che un soggetto con cashflow negativo, anche se ben finanziato, abbia la possibilità di bruciare cassa per attirare talenti in modo più che proporzionale ad un mercato che paga già molto bene. Un piano di stock option permette di pagare, anche molto bene, un talento, con moneta virtuale.
- Ho un’arma potentissima per attirare talenti usando due leve. Da un lato posso usare l’arma promozionale che talento andrà a lavorare in una startup che già vale molto. “Fate un sondaggio se un brillante ingegnere preferisce andare a lavorare in una startup che vale 3 milioni o 50.”
Guardiamo anche qui tre scenari. Una startup che ha un valore post money di 2, 20 e 200 milioni di euro.
- Primo scenario. Con un valore di 2 milioni se diamo 50 mila euro di stock option ai 5 talenti strategici, su un periodo di 3 anni, avremo ceduto più del 30% del capitale. Pur pagando relativamente poco, e quindi con un basso potere di attrattiva, avrò creato casino nella captable rendendo molto problematica l’exit futura.
- Secondo scenario. Le stesse stock option corrispondono a poco più 3% del capitale. Do una bassa remunerazione aggiuntiva che mi da un minimo di attrattività ma non comprometto la captable.
- Nel terzo scenario posso ottenere lo stesso risultato in termini di diluizione dei soci dando però 500 mila euro di stock option ogni anno ai talenti migliori.
Ma se nei primi due casi la motivazione extra è appena accettabile nel terzo posso accedere al meglio dei talenti globali, e posso chiedere sacrifici e ritmi lavorativi monstre. Questo senza compromettere la captable e lasciando quindi spazio a round sostanziosi nel tempo.
Se qualità della squadra e dedizione sono tra i fattori che influenzano maggiormente il successo delle startup nel diventare unicorno quale dei tre scenari ha maggiore probabilità di successo?
Quando sopravvalutare non è un rischio reale
Contro esempio.
Prendiamo il caso in cui le cose vanno male o iniziano ad andare male. E nella vita di una startup tali eventi sono tutt’altro che rari.
- Caso 1. La situazione diventa così deteriorata da richiedere agli investitori il writeoff, in tutti e tre gli scenari i soldi virtuali delle stock option si saranno azzerati, e vero che su carta ho dato decine di milioni di stock option ma senza realmente aver investito un euro in più. Sopravvalutare la startup non mi è costato di più.
- Caso 2. La situazione è critica ed arriva il momento di chiede sforzi monstre e sacrifici, è meglio avere un team che, se il progetto fallisce perde milioni oppure un team che è meglio si inizi a cercare un nuovo lavoro? In questo caso sopravvalutare l’azienda, senza investire un euro in più mi regala una maggiore possibilità di successo.
La competizione per i talenti
Ulteriore scenario. La competizione per i talenti.
Oggi uno scientist sull’intelligenza artificiale nella varie startup AI può facilmente avere una remunerazione in cui la parte stock option supera il milione l’anno. Senza le valutazioni mostre che girano nell’ambiente startup dove avremmo l’equity per coprire tali piani di incentivazione.
Senza queste quale possibilità di competere nell’attrazione dei talenti ha una startup rispetto ad un colosso già affermato sul mercato. Ed è in ottica valutazione che una startup ha un’arma in più rispetto al colosso per attirare talenti. Come? Grazie alla dinamica delle valutazioni delle startup probabilmente un milione di stock su Antropic o Open AI è una scommessa potenzialmente molto più redditizia rispetto a Google e Meta. Perché? Da Google un X10 è improbabile se non impossibile. Un x10 da OpenAI te lo puoi aspettare, ed ecco che quel milione possono diventare 10. Grazie a questi meccanismi il potenziale di attrazione USA diventa imbattibile rispetto ad una qualsiasi realtà UE o italiana dove le startup si acquistano a saldo per fare l’affare. Il Brain Drain che gli USA sono in grado di esercitare sul mondo vede proprio nelle valutazioni monstre, apparentemente illogiche, l’arma più potente del suo arsenale.
Ultimo scenario. Come tutti sanno la moneta più costosa che la startup ha per fare investimenti è l’equity. Ma esiste anche il debito. Disporre di una moneta virtuale abbondante. Permette di ridurre il cash burn di risorse messe ad equity. Domanda? È più facile raccogliere un bond, emettere un obbligazionario, con valorizzazioni basse o alte? Un prestito bancario che ha come collaterale di garanzia azioni è più fattibile se queste azioni sono a saldo oppure se queste hanno un valore virtuale alto.
Il ruolo della concorrenza tra fondi e la stagnazione europea
Stando a queste analisi sembrerebbe che sopravvalutare le startup contribuisca sia a fare crescere sia al rendimento. Perché però negli USA le valutazioni monstre solo la norma e da noi impossibili da vedere. Analizziamole con ordine:
La più lampante è la mancanza di concorrenza tra i VC, nell’ecosistema italiano i player sono molto pochi ma soprattutto sembra vigere una sorta di tacito accordo in cui non ci si fa concorrenza. SE battaglie per le startup sono la norma negli USA in Europa ed in Italia no. Per cui non sussiste l’incentivo positivo del tipo “se tratto troppo sulla valutazione rischio di perdere il deal” mediamente tutti sanno che il potere contrattuale dei founder è bassissimo per cui la possibilità di perdere il deal per valutazioni troppo basse è infintamente più bassa.
Il mito del “troppo caro” smontato dai fatti
Nel 2004 Mark Zuckerberg si presentò da Sequoia in pigiama con una presentazione intitolata «Top 10 reasons you shouldn’t invest». Sequoia passò. Il punto? Perdere un deal trasformativo costa infinitamente più di pagarlo sopra i parametri mediani.
Lo stesso ragionamento vale per SpaceX, valutata “follemente” 18 poi 70 poi 300 milioni quando i vettori esplodevano, oggi ne vale 400 (di miliardi) chi ha fatto due diligence sul rischio invece che farsi bloccare dal prezzo ha moltiplicato il capitale di ordini di grandezza.
La tendenza è esplosiva. Il 16 luglio Thinking machines lab, ha raccolto due miliardi di dollari di seed con valutazione a 12 miliardi. Per un team noto al pubblico il 15 luglio in giorno prima. Certo, una squadra stellare, ma senza queste valutazioni è possibile immaginare di formarla? E senza questa potenza di fuoco che speranze abbiamo in un mercato binario, dove mediamente chi vince prende tutto?
Il Venture Capital non è un asset class “media” dove la regola aurea è comprare a sconto e ridurre i rischi: è un gioco binario, dominato da una legge matematica che punisce la mediocrità e premia l’audacia.
La power law vale anche per i fondi di venture capital
Stesso discorso vale anche per i VC. Non è proprio esatto dire che la Power law porta ad avere poche startup che remunerano tutto il capitale di tutti fondi. In realtà la power law vale anche per i fondi stessi.
Il venture capital vive di estremi. In questo settore finanziario ad alto rischio, la distribuzione dei rendimenti non è affatto equa: una piccola élite di fondi ottiene risultati straordinari, mentre la maggioranza fatica persino a restituire il capitale investito ai propri sottoscrittori.
Analisi recenti confermano una dinamica da power law, in cui una minima percentuale di operatori incamera la gran parte dei profitti. I numeri dipingono un quadro netto: secondo dati PitchBook meno del 5% dei fondi genera da solo il 95% dei rendimenti complessivi dell’industria. In altre parole, su migliaia di fondi attivi, solo una manciata produce utili eccezionali, mentre la stragrande maggioranza si deve accontentare di performance modeste o addirittura inferiori ai mercati azionari tradizionali.
Questa disparità emerge chiaramente confrontando i ritorni del venture capital con altri investimenti. Su 1.186 fondi VC analizzati negli USA appena 15,3% di essi è riuscito a raddoppiare il capitale (DPI ≥ 2x) per i propri investitori. La maggior parte, oltre 84%, non ha raggiunto nemmeno questo traguardo base. Per mettere la cifra in prospettiva, un semplice indice S\&P 500 ha triplicato il valore (≈3,3x) nello stesso orizzonte temporale di 10 anni. Significa che l’investitore medio avrebbe guadagnato di più dal mercato azionario pubblico, mantenendo il suo risparmio liquido, che affidando i soldi a un fondo di venture capital qualsiasi. È un dato sorprendente che sottolinea quanto solo i fondi davvero bravi battano il mercato, mentre molti altri a stento eguagliano rendimenti “mediocri” (se non addirittura perdite, considerando l’inflazione e le commissioni). Non a caso, la Kauffman Foundation già da tempo avvertiva che per un investitore istituzionale ha senso puntare solo sui fondi top quartile, quelli nella fascia alta, perché gli altri difficilmente creano valore netto.
Una concentrazione crescente nei fondi vincenti
L’ultimo quinquennio ha ulteriormente accentuato questa forbice tra vincenti e perdenti. Durante il boom tech pre-2020, numerosi nuovi fondi sono nati sull’onda dell’ottimismo, ma i risultati attuali rivelano che in tanti non stanno mantenendo le promesse. Secondo i dati di Carta quasi due terzi dei fondi lanciati nel 2019 non hanno restituito neanche 1 dollaro agli investitori dopo 5 anni. E per i fondi partiti nel 2020 va anche peggio: solo il 30% ha distribuito qualcosa finora.
Questo implica che la concentrazione dei rendimenti nei migliori è ancora più marcata nelle annate recenti: i vincitori assoluti ottengono multipli sempre più elevati, mentre il grosso degli altri resta indietro. La cima del gruppo si sta allontanando sempre di più dal resto, e la power law si sta rafforzando. Pur in un’epoca in cui sembra che tutti nel settore abbiano successo (vista l’abbondanza di startup unicorno negli ultimi anni), la realtà è che in termini di profitti sono relativamente poche le aziende che accumulano valore enorme, e i fondi che le possiedono sono quelli che davvero sovraperformano il mercato.
Negli ultimi anni il numero di startup unicorno (valutate ≥1 miliardo di dollari) è passato da poche decine a oltre 800 a livello globale, un balzo enorme. Eppure, rappresentano sempre una piccola frazione di tutte le imprese finanziate dai VC, e solo pochissime di queste hanno generato ritorni così grandi da ripagare interamente un intero fondo
Questa distribuzione sbilanciata dei rendimenti ha profonde ripercussioni sul lato della raccolta di capitali da parte dei fondi stessi. I cosiddetti Limited Partners (LP) – ossia investitori istituzionali, fondi pensione, fondazioni, family office che affidano i soldi ai gestori di venture – stanno diventando sempre più selettivi. Comprensibilmente, tendono a puntare sui nomi con track record stellari e ad evitare i gestori mediocri. Il risultato? I pochi fondi percepiti come “vincenti” drenano la maggior parte delle nuove sottoscrizioni, mentre la folla di fondi minori fatica a raccogliere nuovi mezzi.
I dati del 2024 negli Stati Uniti sono eloquenti: su circa 76 miliardi di dollari affluiti in nuovi fondi VC durante l’anno, ben il 75% è stato concentrato in appena 30 società di gestione. Ancora più impressionante, 9 mega-fondi da soli hanno attirato metà di tutto il capitale raccolto nell’anno. E un singolo operatore, Andreessen Horowitz (a16z), ha raccolto oltre l’11% dell’intera torta.
Nel frattempo, i gestori di fascia medio-bassa vivono una stretta. Con la maggior parte dei guadagni generati dai big, gli LP hanno meno incentivi a finanziare nuovi fondi emergenti o team senza prove di successo. Chi è rimasto fuori dal club dei top performer ora si trova a dover giustificare la propria esistenza: molti fondi di seconda fascia faticano a raccogliere il fondo successivo e rischiano di sparire.
Questa concentrazione è visibile anche a livello geografico. Ad esempio, nel 2024 nove soli fondi USA hanno raccolto più capitale di tutto il settore venture europeo messo insieme.
Le somiglianze tra VC e startup, e i limiti dell’approccio europeo
E qui va fatta una prima considerazione. VC e startup sono soggetti molto più simili di quanto pensiamo. Con una maggiore difficolta che i VC cha hanno l’aggravante di fare tutti più o meno lo stesso mestiere. E come se nel 2025 volessimo investire in un social network. Quante possibilità abbiamo che ci siano 50 social network di successo.
Il peccato originale europeo ed italiano
Dagli albori del VC europeo, nella prima decade di questo millennio, si è sempre sostenuto che il problema del venture capital europeo era ed è la poca raccolta. Da allora la raccolta è probabilmente centuplicata, ma i problemi rimangono gli stessi, e continuiamo a vedere pochi o nulli unicorni. Performance basse, ecosistemi frammentati, soldo pubblico che copre tutto. Direttamente o indirettamente.
Secondo me il rapporto pochi soldi uguale bassi rendimenti vuol dire invertire il nesso causale.
Il VC come le startup sono mestieri particolari, con componenti immateriali e qualità umane che fanno da driver del successo. Che presenta tassi di fallimento prossimi al 90% che prevedono un mix di dedizione totale alla causa, fiuto imprenditoriale, predisposizione al rischio estremo, guidate da persone che non necessariamente sono normali, anche nell’accezione negativa del temine. Un misto tra pirateria e compagnia della Indie in chiave 4.0.
Il profilo psicologico di un founder di successo e quello di un venture capitalist di successo presentano molti tratti in comune, pur declinati secondo i rispettivi ruoli. Entrambi devono essere iper-resilienti di fronte alle avversità, focalizzati, tolleranti ed amanti del rischio e orientati alla visione di ciò che non esiste ancora. Condividono inoltre la necessità di un’elevata capacità decisionale in contesti incerti e di competenze di intelligenza emotiva per guidare e influenzare le persone intorno a loro.
In Europa siamo sinceri, è un’altra cosa. Si è costruita un’industria che somiglia ad un mini private equity, dove spesso la compliance è più importante del rendimento. I cui gate keeper sono spesso analisti molto junior che magari avranno anche un percorso accademico brillante, oppure provenienti da grandi società di consulenza, magari anche esperti di finanza, ma con visione, capacità di leggere il mercato, discutibile.
Se a Sequoia, forse il più celebre VC al mondo, gli incontri con le startup e partner sono descritti da chi ci partecipa, intensi, visionari, con la capacità di far cambiare visione, in Europa, a sentire le startup non sembra niente di memorabile.
Con la conseguenza, stiamo chiedendo di inondare di capitali un’industria il cui dato meglio tenuto segreto è capire il rendimento.
Conclusioni operative per investitori, founder e policy‑maker
Se sei investitore: diversifica, corri rischi asimmetrici e non tirare sul prezzo quando hai tra le mani qualcosa che può cambiare il mondo. Ma soprattutto il tuo mestiere non è gestire le startup. È prima di tutto non fare casino nella struttura del capitale delle startup. I tuoi capitali sono una leva per creare valore, l’idea di poter estrarre valore è un mito che porta solo a portafogli zombi.
Se sei founder: proteggi la tua captable, usa l’equity come carburante, non come tesoretto da nascondere, corri, rischia ed imbarca talenti, stai giocando una partita binaria. Se sei lento, conservativo, quando arrivi al traguardo la torta è già finita.
Se sei policy‑maker europeo: crea le condizioni fiscali e regolatorie perché il capitale non sia allergico a valutazioni “stellari” – altrimenti gli unicorni nasceranno altrove e soprattutto, azzera gran parte delle procedure, e velocizza solo le sopravvissute, quelle strettamente necessarie. In una gara, qualunque essa sia, partire in ritardo è fatale. E soprattutto prima preoccuparti dei soldi lavora sulle best practices, incentivandole, rendendole trasparenti, prima di sottoscrivere un ennesimo fondo, guarda l’operatività.
Nel futuro, il valore sarà sempre più concentrato: l’unica risposta razionale è pensare in grande, agire in fretta e non avere paura di pagare un prezzo che, domani, sembrerà ridicolmente basso.






