Il modello di collaborazione open source rappresenta un caso emblematico di cooperazione globale che supera confini e differenze culturali. La sua efficacia emerge con forza nel contesto dell’infrastruttura digitale moderna, costruita grazie all’impegno congiunto di migliaia di persone nel mondo.
Indice degli argomenti
Come nasce la collaborazione globale nel modello open source
La maggior parte dell’infrastruttura digitale su cui facciamo affidamento – che si tratti di un’app per smartphone o dell’online banking sul desktop – è stata costruita e viene mantenuta da migliaia di persone che lavorano insieme attraverso culture e continenti diversi, e spesso lo fanno gratuitamente.
Questo, in un mondo sempre più basato su confini, firewall, nazionalismi, e in qualche caso addirittura tribalismi, rappresenta uno straordinario esempio di come gli individui riescano a superare qualsiasi barriera – reale o artificiale – per poter raggiungere un obiettivo comune, che in questo caso è la costruzione di nuove tecnologie in modo aperto e condiviso.
E, contrariamente a quello che pensano in molti, non si tratta solo di codice, ma di un nuovo modo di lavorare che sta silenziosamente ridefinendo il concetto stesso di collaborazione globale.
I principi fondanti del modello open source
Perché il modello open source non è mai stato pensato per essere locale ma è nato per la cooperazione globale, ed è basato sull’accesso pubblico, la partecipazione volontaria e la distribuzione globale.
E infatti, i principali strumenti del mestiere (Git, GitHub, GitLab, mailing list, wiki pubblici) sono progettati per flussi di lavoro asincroni e distribuiti, mentre le licenze che definiscono l’open source (e in modo particolare quelle copyleft come GPL, LGPL e MPL) sono progettate per abbattere le barriere legali in modo che chiunque, in ogni luogo, possa usare e migliorare il software.
Il modello open source come ecosistema distribuito
Se tutto questo viene associato alla natura universale della programmazione, si ottiene un ecosistema in cui uno sviluppatore ad Amburgo può correggere un bug scoperto da un utente a Città del Capo, revisionato da un esperto di qualità a Valencia, approvato da un altro sviluppatore a Rio de Janeiro, e distribuito da una fondazione a Berlino, tutto nella stessa settimana.
È solo un esempio di quello che succede ogni giorno all’interno del progetto LibreOffice, e i nomi delle città non sono scelti a caso. In questo modo, i progetti open source riescono a offrire una tecnologia migliore, più intelligente e inclusiva, rispetto a quella proprietaria.
Inclusività e localizzazione nei progetti open source
La diversità nel processo di sviluppo, infatti, riflette la diversità degli utenti. Un software costruito pensando a un unico mercato può incappare in alcuni problemi nel momento in cui viene portato all’interno di altre realtà. Il software open source invece riflette la complessità degli utenti perché nasce da comunità complesse e distribuite a livello globale.
Prendo a esempio ancora una volta LibreOffice, la suite per ufficio open source sviluppata da The Document Foundation che ho lanciato nel 2010 insieme ad altri sostenitori del software libero, e che è disponibile in 120 versioni linguistiche, più di ogni altro software per la creazione di documenti. Questo significa che prevede decine di convenzioni locali, dalla direzione del testo ai formati dei numeri e delle date, perché sono quelle utilizzate da chi lo sviluppa.
I membri della comunità stanno lavorando ad altre 40 versioni linguistiche, che porteranno il totale a 160, tra cui alcune lingue che rischiano di essere dimenticate perché poco diffuse e quindi poco remunerative sotto il profilo commerciale per le software house tradizionali. Un fattore che viene superato grazie all’approccio allo sviluppo open source.
Resilienza e meritocrazia nel lavoro open source
Tra l’altro, le comunità globali non sono solamente più inclusive ma anche più resilienti, perché non si fermano nemmeno di fronte alle crisi o alle pandemie, in quanto sono già organizzate in modo tale da poterle superare senza che i problemi si trasferiscano sulle attività.
Casi concreti di efficacia del modello open source
Il più grande progetto open source in termini numerici, il kernel Linux, è gestito da migliaia di sviluppatori che provengono da tutto il mondo e governato da Linus Torvalds e da un team di collaboratori più stretti. Nonostante le dimensioni, fonde la gerarchia con l’apertura, e consente sia un rigoroso controllo della qualità che un’ampia partecipazione.
Questo modello consente agli sviluppatori più validi di emergere in modo del tutto indipendente dal luogo in cui si trovano, dato che i contributi sono visibili – show me the code – e misurabili. Oggi molti sviluppatori vengono assunti grazie alla loro storia su GitHub o GitLab piuttosto che in base al loro curriculum.
Un altro progetto globale, legato ai contenuti più che allo sviluppo, è quello di OpenStreetMap: una mappa collaborativa del mondo, sviluppata e mantenuta da volontari. Nel 2010, quando Haiti è stata colpita da un terremoto devastante, gli aiuti umanitari sono riusciti a raggiungere e a orientarsi all’interno delle zone più colpite grazie proprio agli aggiornamenti in tempo reale di OpenStreetMap, più velocemente di quanto avrebbero potuto fare con le mappe commerciali.
Le criticità del modello open source e le soluzioni possibili
Naturalmente, il modello di collaborazione globale open source ha alcuni punti deboli, che derivano dalla complessità del coordinamento di gruppi eterogenei e distribuiti su più fusi orari. Quando le decisioni coinvolgono persone in cinque o più continenti, la sincronizzazione è sempre una sfida.
Anche la lingua è una barriera. L’inglese è l’idioma dominante, e questo mette in svantaggio chi non è madrelingua, o chi proviene da paesi dove le lingue straniere non vengono tenute nella dovuta considerazione, soprattutto quando si affrontano discussioni complesse o si scrive documentazione.
Un’alternativa concreta per il futuro del lavoro digitale
Infine, le differenze culturali – soprattutto quando coinvolgono le relazioni tra gli individui – possono dare origine a veri e propri scontri, perché lo stile diretto degli anglosassoni può essere percepito come ostile mentre la deferenza degli orientali può essere scambiata per mancanza di decisione. E anche se molte comunità open source hanno dei codici di condotta per gestire queste differenze, è necessario un lavoro costante e una grande attenzione.
I progetti open source più importanti hanno un team di persone pagate che hanno il compito di coordinare le attività dei volontari, e questo spesso aiuta a risolvere i problemi più evidenti, quelli che possono demotivare i membri della comunità e limitare i loro contributi.
Concludendo, il modello collaborativo open source dimostra che è possibile un altro modo di lavorare basato su una meritocrazia associata alla collaborazione e ai contributi, e non al titolo o alla posizione, o addirittura ai rapporti con il datore di lavoro o con i manager. Un modello imperfetto, perché nasce dagli individui e non dai teorici dei modelli, che per il momento funziona, e ci permette di avere un’infrastruttura globale robusta e resiliente.











