A maggio le prime evidenze segnalavano un forte calo di assunzioni di neolaureati, soprattutto nel settore tech e nelle Big Tech, con un vero e proprio paradosso dell’esperienza: i giovani non trovano lavoro perché privi di esperienza, ma non possono farne perché non trovano lavoro.
Allora i dati provenivano da fonti diverse (SignalFire, Oxford Economics, Federal Reserve Bank di New York), e mostravano un quadro frammentato, riduzione delle entry-level, ma anche nuova domanda di profili con 2–5 anni di esperienza, in un contesto macro di occupazione ancora robusta. Il dubbio era se fossimo di fronte a un fenomeno transitorio, legato alla fase economica post-pandemica, o a una trasformazione strutturale.
Adesso arriva una conferma importante che deve fare riflettere aziende e istituzioni.
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AI, lavoro e assunzioni, lo studio Harvard: la prova del “seniority-biased technological change”
Il nuovo paper di Hosseini & Lichtinger dell’università di Harvard rappresenta un avanzamento importante rispetto alle analisi precedenti. La ricerca non si limita a osservare tendenze generali, ma entra nel dettaglio dei dati aziendali e individuali, costruendo un quadro robusto che dimostra come l’adozione della generative AI abbia introdotto una frattura tra lavoratori junior e senior.
Gli autori hanno esaminato un archivio di 62 milioni di profili lavorativi collegati a 285.000 imprese statunitensi, utilizzando metodi statistici di tipo causale (difference-in-differences e triple-difference) per isolare l’effetto specifico dell’adozione dell’AI. I risultati indicano con chiarezza che a partire dal primo trimestre del 2023, proprio nel momento in cui la diffusione dell’AI generativa ha accelerato, si registra una contrazione significativa dell’occupazione junior, pari a circa il 7,7% in sei trimestri, mentre i lavoratori senior continuano a crescere in modo costante.
Questa dinamica non deriva da licenziamenti di massa, bensì da un forte rallentamento delle nuove assunzioni a livello entry-level, che calano in media del 22%, parzialmente compensato dall’aumento delle promozioni interne. Colpisce inoltre che alcuni settori tradizionali, come il commercio all’ingrosso e al dettaglio, risultino tra i più esposti, con una riduzione delle assunzioni junior intorno al 40%. In sostanza, le imprese non espellono i giovani già inseriti ma smettono progressivamente di assumerne di nuovi, restringendo i canali di ingresso e alterando la struttura delle carriere.
Una nuova gerarchia educativa: il pattern a U
Il risultato forse più inatteso riguarda il ruolo dell’istruzione e della provenienza accademica. Non tutti i giovani, infatti, sono penalizzati nello stesso modo dall’adozione della generative AI. L’analisi mostra che i laureati provenienti da università di fascia media, quelle collocate nei livelli intermedi della gerarchia accademica, sono i più esposti a un calo delle opportunità occupazionali.
Al contrario, i laureati delle università di élite continuano a essere relativamente protetti, mentre sorprende che i giovani provenienti da istituti di qualità molto bassa non subiscano effetti statisticamente rilevanti.
Il quadro che emerge è quello di un pattern a forma di U, che evidenzia come la tecnologia non eroda in modo uniforme le possibilità di ingresso nel mercato del lavoro, ma selezioni i candidati in base a un intreccio di costi e percezioni di produttività. Questo risultato apre scenari complessi: da un lato, le imprese mantengono la disponibilità ad assumere i migliori e gli entry-level meno costosi, dall’altro riducono drasticamente lo spazio per quella fascia intermedia che tradizionalmente ha alimentato la mobilità sociale e rappresentato la base solida del capitale umano qualificato.
AI e assunzioni, perché è diverso da prima
Ciò che emerge da questa nuova ricerca non è soltanto un arricchimento di dati, ma un vero e proprio cambio di prospettiva. La differenza più significativa risiede nella capacità di documentare con precisione, attraverso dati micro e metodi causali, ciò che accade all’interno delle imprese e non soltanto nelle statistiche aggregate.
Non si tratta più di osservare semplici correlazioni o di raccogliere testimonianze, bensì di misurare l’impatto diretto dell’adozione della generative AI sulle dinamiche occupazionali. È possibile così comprendere che la frattura non si genera tanto sul piano delle competenze astratte, ma su quello della seniority.
I canali di ingresso si restringono, le assunzioni di junior diminuiscono sensibilmente, mentre i lavoratori già presenti vengono in parte ricollocati attraverso meccanismi di promozione interna. Questo spostamento mette in luce un fenomeno diverso dal classico skill-biased technological change e apre la strada a una nuova categoria interpretativa, quella del seniority-biased technological change, capace di spiegare come l’AI stia ridisegnando non solo le mansioni ma l’intera architettura delle carriere.
Implicazioni per aziende e policy nell’assunzione
Le implicazioni che derivano da questo scenario sono tutt’altro che marginali. Quando i primi gradini della scala professionale vengono progressivamente erosi a essere compromessa non è soltanto la capacità di assorbire i neolaureati, ma l’intera dinamica della mobilità sociale. Se i giovani non riescono a inserirsi, diventa più difficile per loro intraprendere un percorso di crescita interna e conquistare progressivamente posizioni di responsabilità.
La riduzione del cosiddetto college wage premium, cioè del vantaggio salariale legato al titolo di studio, rischia di tradursi in una minore convenienza all’investimento formativo e in un indebolimento del legame tra istruzione, lavoro e reddito. Sul piano aziendale questo si traduce in un impoverimento della pipeline di talenti, le imprese possono guadagnare efficienza nell’immediato, ma perdono la capacità di formare internamente le competenze che serviranno nei ruoli critici di domani.
Anche per i decisori pubblici la sfida è notevole, diventa urgente ripensare strumenti di politica attiva che favoriscano l’ingresso, incentivare programmi di tirocinio e apprendistato, creare percorsi di accompagnamento che riducano il divario generazionale. Senza tali correttivi, il rischio è quello di un mercato polarizzato in cui chi è già inserito riesce ad avanzare, mentre un’intera generazione resta bloccata alla porta, con conseguenze gravi in termini di coesione sociale e sostenibilità economica.
Il divario di seniority creato dall’AI al lavoro
Avevamo descritto segnali e formulato ipotesi; oggi disponiamo di una prima conferma empirica che mostra come la generative AI stia effettivamente restringendo le opportunità di ingresso e creando un divario di seniority sempre più evidente. La questione non è soltanto occupazionale, ma riguarda in profondità l’equità e la sostenibilità sociale, poiché dalla possibilità di avviare una carriera dipende la capacità di intere generazioni di costruire un futuro di autonomia e di mobilità. La direzione, come accaduto in altre rivoluzioni tecnologiche, non è predeterminata, sarà il risultato delle scelte compiute da imprese, istituzioni e società civile. Possiamo immaginare almeno tre scenari.
- Nel primo, prevale una logica di pura efficienza: le aziende utilizzano l’AI per ridurre al minimo le assunzioni di junior, concentrando le risorse sui senior già formati; ne deriva un mercato polarizzato, con pochi vincitori e molti esclusi.
- Nel secondo, più bilanciato, l’AI diventa un fattore di trasformazione positiva: le imprese riorganizzano i percorsi di ingresso, creano programmi formativi mirati e usano la tecnologia come leva per accelerare l’apprendimento e integrare i giovani in nuovi ruoli; in questo scenario la produttività cresce senza sacrificare la mobilità sociale.
- Un terzo scenario, intermedio e forse più realistico, è quello della frammentazione: alcuni settori e territori investono in modelli inclusivi, altri invece accentuano la selezione, generando un mosaico disomogeneo di opportunità che rischia di ampliare le disuguaglianze già esistenti. La scelta tra esclusione, trasformazione o frammentazione dipenderà dalla visione strategica che sapremo adottare nei prossimi anni.








