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AI di Apple, un ritardo calcolato: per rispetto degli utenti



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La scelta di Cupertino di rinviare al 2026 l’introduzione dell’AI evoluta nei suoi iPhone segna un confine netto rispetto ai concorrenti. Una cautela che apre il dibattito sul rapporto tra privacy e innovazione

Pubblicato il 11 set 2025

Maurizio Carmignani

Founder & CEO – Management Consultant, Trainer & Startup Advisor



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Apple con gli ultimi annunci, e soprattutto l’iPhone Air ha riportato l’attenzione sul design degli smartphone, ma ha lasciato in sospeso l’annuncio che alcuni si aspettavano: funzioni AI avanzate, Apple Intelligence degna di questo nome e una Siri all’altezza di Gemini.

La posta in gioco non è solo tecnologica: è il patto di fiducia tra cittadini e innovazione, perché Apple ha scelto una via inedita di compromesso tra privacy, affidabilità da una parte e innovazione dall’altra.

Le funzioni di AI sono così rimandate ufficialmente al 2026.

L’AI in Apple: un dilemma tra privacy e innovazione

La differenza di approccio tra Apple e il resto del settore mette in evidenza un dilemma profondo, scegliere se stupire immediatamente con strumenti potenti ma invasivi, o preservare la privacy degli utenti anche a costo di rallentare l’introduzione di nuove funzioni. Proprio da qui parte una riflessione che riguarda non solo la concorrenza sul mercato, ma il futuro stesso del rapporto tra tecnologia, innovazione e società.

Il confronto con Google Pixel

Google, ad esempio, con il nuovo Pixel 10 ha puntato tutto sull’AI, presentando un dispositivo da 799 dollari nella versione base e 999 nella versione Pro. Durante l’evento sono state mostrate funzioni come Magic Cue, capace di setacciare email, messaggi e calendario per proporre al momento giusto la risposta che serve, oppure Voice Translate, che traduce in tempo reale la voce dell’utente clonandone il timbro in un’altra lingua con supporto a dieci idiomi principali.

Lo stesso vale per Camera Coach, un sistema che guida chi scatta, suggerendo inquadrature e pose prima ancora di premere il pulsante, con la possibilità di generare immagini di riferimento e istruzioni passo passo. A queste si aggiunge Ask Photos, che permette di modificare le immagini su comando, cambiando sfondi, luci o persino vestiti. Samsung ha intrapreso una strada simile, inserendo Gemini nei Galaxy e trasformando l’etichetta “Galaxy AI” in un marchio distintivo, con una forte enfasi sulla traduzione in tempo reale e sull’integrazione di funzioni AI nelle app proprietarie.

Siri al palo

In questo scenario, Apple appare ferma al palo. Siri resta indietro rispetto agli assistenti dei rivali, e le promesse di “Apple Intelligence” sono rimaste in gran parte disattese. L’iPhone Air è un’operazione estetica, non un salto funzionale. Eppure, questa apparente lentezza non nasce dal caso, ma da una precisa scelta strategica. Apple continua a ribadire che la privacy è il cuore della propria identità e che non intende costruire funzioni che richiedano una cessione massiccia di dati personali ai server centrali. Qui emerge il dilemma che segna la differenza.

  • Da una parte c’è un modello di innovazione che spinge sullo stupore e sull’immediatezza, capace di trasformare lo smartphone in un compagno di vita onnipresente, ma che si regge su un accesso quasi illimitato alle informazioni più intime degli utenti.
  • Dall’altra c’è un modello che frena, che preferisce rinunciare a qualche anno di vantaggio competitivo pur di non oltrepassare la linea rossa della riservatezza.

Apple sembra voler costruire un’AI che lavori prevalentemente sul dispositivo, senza trasferire tutto sul cloud e che quindi possa coniugare utilità e tutela. La domanda è se questa visione sarà compresa e premiata dal mercato. Nel breve periodo la narrativa è tutta a vantaggio dei competitor.

Il peso dell’UE

I Pixel e i Galaxy appaiono più moderni, ricchi di funzioni sorprendenti, capaci di dimostrare ciò che l’AI può fare nella vita quotidiana. Nel medio-lungo periodo, però, lo scenario potrebbe cambiare. L’Europa con il GDPR e l’AI Act e sempre più governi a livello globale, stanno tracciando regole severe per la gestione dei dati personali. In quel contesto, la strategia “privacy first” di Apple potrebbe rivelarsi lungimirante, trasformando la fiducia degli utenti nel vero differenziale competitivo.

AI negli smartphone: 2026 come anno spartiacque

Il 2026 sarà un anno cruciale. Se Apple riuscirà a presentare un’AI evoluta capace di rispettare i suoi principi, il suo ritardo apparente diventerà un posizionamento vincente. In caso contrario, il rischio è di consolidare l’immagine di un’azienda meno capace di interpretare il presente.

Ma la posta in gioco va oltre Cupertino. La partita che si sta giocando tocca l’intero ecosistema digitale e riguarda la relazione tra innovazione e libertà personale.

Da un lato, un mondo di smartphone pieni di intelligenza artificiale promette efficienza, comodità e un’assistenza sempre più personalizzata, trasformando il telefono in un compagno attivo della vita quotidiana. Dall’altro, lo stesso scenario ci chiede in cambio una parte sempre più ampia della nostra intimità, con la prospettiva di dispositivi che non solo ci ascoltano e ci osservano, ma imparano continuamente da noi e su di noi. Un mondo in cui la privacy resta centrale garantisce maggiore controllo e un rapporto più equilibrato tra utenti e tecnologia, ma inevitabilmente rallenta la corsa allo stupore tecnologico e alla moltiplicazione delle funzioni “magiche”. La vera sfida, dunque, non è scegliere tra progresso e tutela, ma capire se sarà possibile costruire una forma di innovazione che riesca a conciliare entrambe le esigenze.

Scenari possibili tra 2026 e 2030

Guardando avanti al periodo 2026–2030, si delineano scenari divergenti.

  • In uno, l’AI diventa ubiqua sugli smartphone, al punto da sostituire intere categorie di applicazioni con assistenti proattivi che apprendono continuamente dai nostri comportamenti. In questo caso, la privacy rischia di essere ridotta a un bene residuale, con il consenso degli utenti ottenuto più per stanchezza che per scelta consapevole.
  • In un altro scenario, la spinta regolatoria e le pressioni sociali portano a un modello più bilanciato, in cui le aziende sono costrette a integrare AI avanzata senza mai rinunciare alla protezione dei dati, e Apple diventa l’apripista di una nuova stagione di innovazione responsabile.
  • C’è anche un terzo scenario possibile, più incerto: l’esplosione dell’AI sugli smartphone crea aspettative irrealistiche che non vengono mantenute, generando disillusione e una fase di rallentamento in cui gli utenti chiedono meno funzioni “magiche” e più stabilità, sicurezza e durata nel tempo dei dispositivi. In ogni caso, il bivio davanti a noi è chiaro.

Non si tratta solo di quale telefono compreremo, ma di quale rapporto vogliamo costruire tra tecnologia e sfera privata.

Se la scelta di Apple appare oggi come una rinuncia, potrebbe rivelarsi domani come la premessa per un diverso patto di fiducia tra cittadini e innovazione.

Insomma: la partita che si apre tra AI, smartphone e privacy non riguarda soltanto il posizionamento competitivo delle aziende, ma la qualità del rapporto che le persone avranno con la tecnologia nei prossimi anni.

La scelta di Apple di rinviare l’introduzione dell’AI evoluta non è quindi solo una decisione di business, ma un gesto politico e culturale che mette al centro il tema della fiducia. Nei prossimi anni capiremo se la strategia della prudenza verrà premiata dal mercato e dalla società, oppure se l’attrazione verso funzioni sempre più spettacolari avrà il sopravvento.

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