transizione energetica

Idrogeno verde, promesse in bilico: la realtà dietro l’entusiasmo globale



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Le stime sulla produzione di idrogeno verde crollano. Tra tagli, ritardi e leadership cinese, l’industria affronta il primo vero test della transizione energetica globale

Pubblicato il 12 nov 2025

Riccardo Petricca

Esperto Industria 4.0 Innovation Manager



green bond (1) Rentri; efficienza energetica Sostenibilità digitale; idrogeno verde

Quando si parla di transizione energetica, l’idrogeno pulito è stato per anni dipinto come il cavaliere bianco capace di salvare interi settori industriali dalle emissioni di carbonio.

Raffinerie, industria chimica, trasporti pesanti sono gli ambiti “difficili da elettrizzare” in cui prometteva di sostituire i combustibili fossili. Eppure, nel 2025, mentre il mondo cerca disperatamente soluzioni per contenere il riscaldamento globale, l’idrogeno verde si trova ad affrontare un momento di verità che nessuno aveva previsto.

Il ridimensionamento delle aspettative

L’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia dipinge un quadro complesso, fatto di ambizioni ridimensionate e geografie industriali che stanno cambiando sotto i nostri occhi.

Per la prima volta da quando l’industria ha iniziato a scommettere massicciamente su questa tecnologia, le previsioni sulla produzione futura sono state riviste al ribasso. Un segnale che non può essere ignorato.

Le ragioni sono molteplici. Progetti di elettrolisi cancellati in Africa, nelle Americhe, in Europa e Australia. Impianti di cattura del carbonio che non hanno visto la luce.

Dietro questi fallimenti si nascondono storie di finanziamenti che si sono prosciugati, tecnologie che si sono rivelate più complesse del previsto, mercati che non si sono materializzati con la velocità sperata.

Il paradosso americano ed europeo

Particolarmente emblematica è la situazione negli Stati Uniti e in Europa, due regioni che fino a poco tempo fa si presentavano come leader della rivoluzione dell’idrogeno.

Gli Stati Uniti hanno visto un rallentamento drammatico dopo modifiche sostanziali ai crediti d’imposta federali e tagli ai programmi di supporto alle energie rinnovabili. Progetti che sulla carta sembravano solidi si sono improvvisamente trovati senza le basi economiche per procedere.
In Europa, dove la strategia sull’idrogeno era stata presentata come un pilastro del Green Deal, la realtà industriale si sta dimostrando ostica.

I costi energetici elevati, la concorrenza asiatica e l’incertezza normativa hanno frenato investimenti che sembravano garantiti. È interessante notare come questi rallentamenti arrivino proprio mentre il continente cerca alternative al gas
russo e soluzioni per decarbonizzare la sua industria pesante.

La marcia cinese verso il dominio

Se c’è un punto luminoso in questo panorama complesso, quello brilla dall’altra parte del mondo.

La Cina non sta semplicemente partecipando alla corsa dell’idrogeno verde: la sta dominando con una forza che ricorda quanto accaduto con i pannelli solari e le batterie al litio negli ultimi due decenni.
I numeri parlano chiaro. A luglio 2025, la Cina controllava il 65% della capacità mondiale di elettrolizzatori installati o in fase di installazione. Non solo: il Paese produce quasi il 60% degli elettrolizzatori del mondo intero.

Ma il vero elemento dirompente è il costo. Installare un elettrolizzatore in Cina costa circa un terzo rispetto a qualsiasi altra parte del mondo. È un vantaggio competitivo schiacciante.
Questa leadership manifatturiera potrebbe tradursi in qualcosa di ancora più significativo. Secondo l’IEA, la Cina è sulla buona strada per produrre idrogeno verde competitivo in termini di costo rispetto all’idrogeno da combustibili fossili entro la fine del decennio. Sarebbe una svolta
epocale.

Fino ad oggi, il principale ostacolo alla diffusione dell’idrogeno pulito è stato proprio il prezzo: i metodi tradizionali basati sul gas naturale sono semplicemente troppo economici per essere battuti.

Se la Cina riesce a colmare questo gap, il gioco cambia completamente.

Sud-est asiatico: il mercato nascosto

Mentre l’attenzione globale si concentra su Stati Uniti, Europa e Cina, c’è una regione che potrebbe rivelarsi cruciale per il futuro dell’idrogeno verde: il Sud-est asiatico. Questa parte del mondo sta vivendo una crescita economica tumultuosa, e con essa una domanda energetica in rapida espansione.
Il Sud-Est asiatico utilizza già oggi circa 4 milioni di tonnellate di idrogeno all’anno, principalmente nell’industria della raffinazione petrolifera e nel settore chimico per la produzione di ammoniaca e metanolo.

È un mercato esistente, maturo, che usa già il gas. La differenza è che oggi quell’idrogeno proviene quasi interamente da fonti fossili.

C’è poi la questione del trasporto marittimo. Singapore, il cuore pulsante della logistica navale globale, ha fornito circa un sesto di tutto il carburante utilizzato nel trasporto marittimo mondiale nel 2024.

Sono volumi impressionanti, e oggi sono quasi esclusivamente combustibili fossili. Ma il settore sta iniziando a testare alternative più pulite: metanolo, ammoniaca, e nel lungo termine, idrogeno. Se questa transizione dovesse accelerare, il Sud-est asiatico diventerebbe automaticamente uno dei mercati più importanti per l’idrogeno verde.
Al momento ci sono 25 progetti in sviluppo nella regione. Non è un numero enorme, ma è significativo. Il successo di queste iniziative dipenderà sostanzialmente dal supporto alle energie rinnovabili: senza elettricità pulita ed economica, gli elettrolizzatori non hanno senso.

Idrogeno verde, fra hype e concretezza

Guardando il quadro complessivo, emerge un’industria che sta attraversando quella che potremmo chiamare la “valle della disillusione” tipica di ogni tecnologia emergente.

Dopo anni di entusiasmo, investimenti e promesse, ora arriva il momento più difficile: far funzionare davvero questo vettore energetico, su scala industriale, a costi accettabili.
L’idrogeno verde non è morto, né è destinato a rimanere una curiosità di laboratorio. Ma la strada verso la sua affermazione si sta rivelando più tortuosa di quanto molti avessero previsto.
I prossimi cinque anni saranno decisivi. Ci diranno se questo vettore energetico riuscirà davvero a mantenere le promesse ancora ambiziose che porta con sé, o se rimarrà confinato a nicchie specializzate.
Una cosa è certa: la geografia della produzione sta già cambiando. Mentre l’occidente tentenna, l’Asia avanza. E questa volta, a differenza di quanto accaduto con altre tecnologie pulite, il mondo sembra essersene accorto in tempo per adattarsi. Forse.

Bibliografia e fonti

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