Perché Chatgpt Atlas è innovativo? C’era bisogno di un altro browser con intelligenza artificiale?
La risposta è nella strategia di OpenAI che trova qui compimento. Riassumibile così: estremamente ambiziosa, per le vite digitali degli utenti.
Atlas non è l’ennesima variante di Chromium con qualche estensione generativa incollata sopra, bensì un tentativo esplicito di ridefinire il punto di accesso al Web.
L’idea di fondo è portare l’assistente ovunque, dentro ogni pagina, trasformando la navigazione in un dialogo continuo con un agente capace non solo di rispondere ma anche di agire. È il segnale più chiaro finora del fatto che la competizione fra modelli e piattaforme sta scivolando dal motore di ricerca al browser, il vero crocevia dei comportamenti digitali.
Indice degli argomenti
Che cos’è Atlas e come funziona
Atlas, per ora disponibile, gratis, solo su MacOs, eredita l’interfaccia minimale dei browser moderni, ma l’elemento che lo distingue è la presenza nativa di ChatGPT in un pannello laterale contestuale.
L’assistente “vede” la pagina in primo piano, ne comprende la struttura e può riassumere documenti, confrontare prodotti, estrarre tabelle, riscrivere testi o generare risposte usando il contenuto visualizzato come contesto.
È possibile selezionare porzioni di testo e ottenere suggerimenti di modifica in un clic, oppure porre domande che combinano quello che l’utente sta guardando con conoscenze esterne. In altre parole, l’operazione mentalmente più costosa della navigazione — il copia‑incolla fra pagine e chat — scompare.

Agent Mode di Atlas
Il secondo pilastro è l’“Agent mode”, oggi in preview per gli abbonati Plus, Pro e Business.
Qui ChatGPT non si limita a proporre link o spiegazioni, ma esegue sequenze d’azioni: apre schede, compila moduli, filtra risultati, aggrega informazioni, prepara comparazioni, mette in ordine to‑do e, in alcuni casi, arriva fino alla prenotazione di appuntamenti o all’avvio di un check‑out (sempre con conferma esplicita dell’utente). È una forma di automazione conversazionale che avvicina il browser a un vero ambiente operativo, dove i task sono descritti in linguaggio naturale e tradotti in clic e digitazioni.
Memorie di Chatgpt Atlas
C’è poi un terzo elemento, più discreto ma strategico: le “browser memories”. Atlas può conservare facoltativamente tracce della navigazione utili a ricomporre il contesto nelle sessioni successive. Non parliamo solo di cronologia, ma di spunti più semantici — per esempio “gli annunci di lavoro visti la scorsa settimana” o “gli hotel filtrati per quartiere e fascia di prezzo”. Le memorie sono separate da quelle di ChatGPT e sono gestibili dall’utente, che può disattivarle per singoli siti, cancellarle o attivare una modalità in incognito in cui l’assistente non osserva la pagina.

Atlas: piattaforme supportate e stato dell’arte
Al lancio Atlas è disponibile su macOS e, più precisamente, sui Mac con chip Apple Silicon e versioni del sistema a partire da Monterey.
OpenAI ha chiarito che le versioni per Windows, iOS e Android sono in arrivo, con una disponibilità progressiva sia per i piani gratuiti sia per quelli a pagamento. L’offerta Business è già attivabile in beta, anche se alcune certificazioni di conformità (come SOC 2 o ISO) non rientrano ancora nello scope ufficiale e l’accessibilità non è pienamente allineata alle linee guida WCAG. Sono dettagli “da note di rilascio”, ma rilevanti per team IT e uffici legali che devono valutarne l’adozione in contesti regolamentati.
Sul piano dell’adozione potenziale, Atlas parte con un vantaggio evidente: ChatGPT conta oggi centinaia di milioni di utenti attivi su base settimanale. È una base d’installato “virtuale” che, se convertita anche solo in parte, può garantire a OpenAI una massa critica di tester, feedback e telemetrie utili a iterare rapidamente sul prodotto.
Atlas: esempi d’uso realistici
Per comprendere la natura “agentica” di Atlas conviene osservare scenari concreti. Una ricercatrice può chiedere all’assistente di raccogliere in uno schema unico tabelle da più studi aperti in schede diverse, evidenziando differenze metodologiche e limiti.
Un consulente può farsi costruire un cruscotto temporaneo con i KPI estratti da report pubblici e da fogli di calcolo accessibili via web, lasciando al modello il compito di normalizzare unità e periodi. Un team marketing può domandare ad Atlas di recuperare gli articoli confrontati la settimana precedente, aggiornare i prezzi, filtrare per disponibilità in Italia e impaginare una bozza di email. Tutte operazioni possibili con estensioni e script, ma qui orchestrate da un’unica interfaccia conversazionale che “vede” quello che l’utente vede.
Queste capacità, tuttavia, amplificano anche gli errori. Un riassunto sbagliato in chat è un fastidio; un agente che compila un form con dati imprecisi può causare danni. La raccomandazione pragmatica è trattare l’Agent mode come un assistente junior: ottimo per sbrigare la parte ripetitiva, ma sotto supervisione per gli step critici. In contesti regolamentati o ad alta sensibilità dei dati, l’adozione dovrebbe passare per policy chiare, ambienti pilota e audit periodici sull’uso effettivo della funzione.
Un cambio di paradigma rispetto alle “schede”
OpenAI ha esplicitamente dichiarato che le tab furono un’innovazione straordinaria, ma che oggi lo schema a schede non è più sufficiente a gestire la complessità delle attività sul Web. Atlas prova a sostituire due metafore contemporaneamente. La barra degli indirizzi diventa un campo conversazionale che intende la ricerca come dialogo, mentre la navigazione multischeda cede il passo a una regia agentica che orchestra i passaggi. Il risultato è una navigazione a “stati” piuttosto che a “pagine”, dove l’obiettivo è costruire e completare task.
La mossa ha anche un risvolto economico. Spostando la domanda informativa dall’ecosistema dei motori tradizionali a un assistente integrato nel browser, OpenAI punta a intercettare una porzione del traffico e quindi della spesa pubblicitaria oggi incanalata verso Google. Non è un caso che l’annuncio arrivi mentre Chrome integra sempre più profondamente Gemini, con funzioni di sintesi, automazione e — presto — modalità agentiche nell’omnibox. La partita non si gioca solo sul “prodotto migliore”, ma su chi diventa il mediatore di fiducia nel percorso che va dalla domanda alla decisione d’acquisto.
Privacy, dati e controlli dell’utente nel browser di OpenAI
La promessa di OpenAI è duplice.
Da un lato, l’azienda sostiene di non utilizzare per impostazione predefinita i contenuti di navigazione per l’addestramento dei modelli; l’utente può decidere di abilitare o meno l’opzione “migliora il modello”, e può persino escludere il training per la sola attività di browsing.
Dall’altro, viene offerto un set di leve locali: cronologia cancellabile, gestione delle memorie per sito, esclusione dell’assistente dalla lettura di una pagina, incognito reale in cui il pannello non ha visibilità sul contenuto.
La controparte di questo paradigma è che l’assistente, quando abilitato, osserva e correla. È il prezzo per ottenere personalizzazione e agentività, e il confine fra “assistenza” e “sorveglianza funzionale” è sottile.
I rischi
Nelle prime analisi di osservatori indipendenti emergono due rischi privacy concreti con Atlas.
Il primo riguarda la sensibilità dei dati: anche se Atlas non dovrebbe conservare password o dettagli sanitari, l’estrazione opportunistica d’informazioni dalle pagine potrebbe catturare elementi che l’utente non intendeva condividere con un modello, specie in contesti aziendali.
Il secondo è la traiettoria delle impostazioni: durante l’onboarding il sistema sollecita con insistenza l’attivazione delle memorie e dell’assistenza on‑page, e un design poco chiaro può generare consensi non pienamente informati.
Per le imprese europee entrano in gioco anche cornici normative precise. Sul fronte privacy resta pienamente applicabile il GDPR, con l’obbligo di base giuridica, trasparenza e minimizzazione; su quello dell’IA si aggiungono gli obblighi dell’AI Act, già in vigore e con tappe applicative in corso: i divieti per sistemi ad “alto rischio inaccettabile” sono scattati a febbraio 2025, le regole per i modelli di “general purpose” sono entrate in applicazione ad agosto 2025, mentre altri obblighi si estenderanno fino al 2026‑2027.
Per un browser‑agente come Atlas questo significa documentare chiaramente le funzionalità, delimitare gli ambiti di trattamento dati e predisporre misure tecniche e organizzative proporzionate ai rischi, specialmente quando si abilita l’automazione di compiti che prevedono login, pagamenti o accesso a repository informativi interni.
Vantaggi e limiti al debutto
I punti di forza più evidenti di Atlas sono tre. Primo, la continuità d’esperienza: la chat è sempre a portata, legge il contesto e riduce i passaggi manuali. Secondo, l’agentività nativa, che porta in una sola interfaccia ciò che finora richiedeva plug‑in, estensioni e macchine di RPA. Terzo, l’integrazione con le memorie che consente a ChatGPT di “ricordare” lavori in corso e riprenderli dove si erano fermati.
I difetti iniziali sono speculari. Le memorie e la lettura on‑page devono essere spiegate con assoluta chiarezza, evitando impostazioni ambigue e leve “oscure”. Le garanzie di sicurezza e conformità per il mondo enterprise sono un cantiere aperto e, finché non matureranno certificazioni e controlli indipendenti, molte organizzazioni limiteranno l’uso a casi non critici o ambienti isolati. Infine, rimane il problema strutturale dell’affidabilità delle risposte e della tracciabilità delle fonti: Atlas può e deve fare meglio nel mostrare attribution, versioni e link ai passaggi consultati, così da consentire verifica e contestualizzazione.
Il contesto competitivo: da Comet a Chrome, passando per Edge, gli altri browser AI
Atlas entra in un’arena già popolata. Perplexity ha portato sul mercato Comet, un browser costruito attorno a un assistente che esegue ricerche, riassume e automatizza attività, con un posizionamento dichiaratamente orientato alla produttività.
Google, dal canto suo, ha spinto Gemini dentro Chrome con una sidebar che attinge al contesto di più schede, funzioni di sintesi e pianificazione e un “AI Mode” pronto a portare la conversazione direttamente nella barra degli indirizzi. Anche Microsoft ha aggiunto modalità AI a Edge, mentre altri attori — dai “nuovi” browser come Dia fino a Opera — stanno sperimentando integrazioni di agenti più o meno profonde.
In questo scenario OpenAI sfrutta un vantaggio d’inerzia: milioni di persone hanno già un rapporto quotidiano con ChatGPT. Se l’esperienza di Atlas riduce l’attrito e offre benefici tangibili nelle attività correnti — ricerca, studio, viaggi, shopping, lavoro d’ufficio — la conversione potrebbe essere rapida.
Tuttavia i numeri di Chrome restano imponenti e, secondo le misurazioni indipendenti più recenti, la quota globale di mercato del browser di Google è stabilmente oltre il 70 per cento. Anche assumendo un’erosione iniziale, scalzare un’abitudine sedimentata richiede anni e non mesi.
Copilot Mode in Edge, le novità di ottobre
Microsoft ha annunciato ieri l’evoluzione di Copilot Mode in Edge, trasformando il suo browser in uno strumento intelligente, dinamico e interattivo.
Cos’è Copilot Mode in Edge
Non più soltanto un assistente laterale, ma un vero e proprio “AI browser” capace di comprendere il contesto di navigazione, interagire con le pagine e agire in autonomia su richiesta dell’utente. L’annuncio, arrivato a soli due giorni dal debutto di ChatGPT Atlas di OpenAI, segna l’ingresso di Microsoft nella nuova era dei browser potenziati dall’intelligenza artificiale.
Con la nuova modalità, Edge diventa in grado — previo consenso dell’utente — di “vedere” le schede aperte, analizzarne il contenuto e offrire suggerimenti personalizzati o azioni dirette. L’AI integrata può riassumere una pagina, confrontare fonti diverse, aiutare a compilare moduli, tradurre testi o persino prenotare un hotel, tutto all’interno del browser. Una delle funzioni più interessanti è la capacità di creare una “visione d’insieme” della sessione di navigazione, utile per chi lavora su ricerche complesse o progetti editoriali articolati.
Le novità Copilot in Edge
Tra le novità annunciate ieri, spiccano le “Actions”, comandi testuali o vocali che permettono di compiere operazioni direttamente (“apri questa pagina”, “invia questo file”, “cancella la cache”). È stata inoltre introdotta la funzione “Journeys”, che ricostruisce la cronologia come un percorso tematico e suggerisce i passi successivi. L’esperienza diventa anche più umana grazie a Mico, un nuovo avatar ispirato al vecchio “Clippy”, e alla possibilità di dialogare con Copilot in modalità vocale.
Sul fronte collaborativo, Edge integra ora una chat di gruppo con Copilot per un massimo di 32 partecipanti, consentendo di discutere su una pagina web comune e condividere analisi o note, con memoria personalizzata per ciascun utente. Questo rende la modalità particolarmente interessante per contesti aziendali, redazionali e di lavoro in team.
Per ora, Copilot Mode è disponibile in anteprima negli Stati Uniti, e Microsoft non ha ancora comunicato la data del rilascio europeo. Le funzioni più avanzate, come le Actions e la collaborazione, restano in fase “preview”. L’attivazione richiede un account Microsoft e l’abilitazione manuale della modalità nelle impostazioni del browser.
Sul piano economico, la modalità è gratuita, ma Microsoft ha chiarito che si tratta di un’offerta temporanea. Non è escluso che alcune funzioni possano in futuro essere integrate nei piani a pagamento di Microsoft 365 o in un abbonamento dedicato, come già accade con Copilot Pro.
Implicazioni per l’ecosistema dell’informazione
La diffusione di browser con funzioni di risposta sintetica e azione automatica solleva interrogativi anche per l’editoria e la ricerca aperta. Se la catena del valore si accorcia — l’utente ottiene “risposte” senza cliccare — cambiano misurazioni, modelli di ricavo e incentivi alla produzione di contenuti di qualità. È un tema già emerso con le risposte generative nei motori, ora portato “a bordo” del browser. La replica industriale sarà duplice: accordi di licenza con i produttori di contenuti, per ridurre il contenzioso, e innovazione di formato, spostando valore verso elementi interattivi e servizi che non si prestano a una semplice parafrasi.
Prospettive a medio termine
Nel medio periodo la traiettoria più interessante è la convergenza fra browser, assistenti e sistemi operativi. Se l’agente è in grado di comprendere la pagina e di agire sui suoi elementi, può estendere la stessa logica a documenti locali, app e workflow aziendali, sempre nel perimetro dei permessi accordati. È lo stesso movimento che Google sta compiendo con Gemini in Chrome, e che Microsoft porta dentro Windows con Copilot. In questo senso Atlas non è solo un browser, ma il prototipo di un’interfaccia conversazionale “totale” che abita il desktop e usa il Web come tessuto connettivo.
Per OpenAI, inoltre, Atlas è un ponte verso modelli di business più diversificati. Oltre agli abbonamenti, l’azienda potrebbe sperimentare forme di advertising nativo nelle risposte o nelle pagine di risultati sintetici, con tutte le cautele del caso su trasparenza e separazione fra organico e sponsorizzato. La capacità di misurare intenti e di collegarli a conversioni documentate dentro il browser è un’attrattiva potente per il mercato dell’adtech.
Conclusione
ChatGPT Atlas non è un semplice “Chrome con l’AI”. È il tentativo di fare del browser un assistente operativo che combina comprensione del contesto, memoria e azione. L’ambizione è alta e le incognite non mancano: privacy, affidabilità, governance dei dati, compatibilità con i quadri regolatori europei. Ma se il modello terrà, la navigazione come la conosciamo — fatta di query, schede e copia‑incolla — potrebbe essere ricordata come una fase intermedia. La nuova interfaccia del Web non è una pagina, è una conversazione che si chiude con un risultato.
Bibliografia
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