In che mondo sta crescendo l’AI (intelligenza artificiale)? Non intendiamo quello virtuale con città e fiumi digitali su cui distopici detrattori e utopici sostenitori vanno allo scontro; ci riferiamo al mondo reale, dove non non c’è un solo modo di accogliere AI: ci sono tanti modi diversi.
L’atteggiamento delle aziende cambia rapidamente. Quello delle persone è estremamente diversificato. Secondo le fasce di età si passa dalla diffidenza all’entusiasmo.
Alcuni paesi e aree geografiche danno un giudizio e manifestano un atteggiamento verso l’uso di AI sorprendente. Anche il nostro Paese sorprende, e questa volta – come vedremo – in positivo. C’è perfino chi vede in queste differenze lo spazio per promuovere una maggiore equità, nuove opportunità per i più svantaggiati, a partire dai paesi africani.
L’Africa è un’area poco considerata, su cui questo articolo pone attenzione.
Indice degli argomenti
L’intelligenza artificiale in Africa
Il mercato AI dell’Africa è stimato nel 2025 4,5 miliardi di dollari, con una prospettiva di crescita a 16,5 miliardi nel 2030. Il tasso di crescita è rilevante, oltre il 27% all’anno e comprende tutte le applicazioni AI: riconoscimento vocale, elaborazione di immagini, veicoli a guida automatica, e servizi.
Ci sono fattori limitanti, come le infrastrutture inadeguate, la disponibilità di energia irregolare, l’analfabetismo. Ma la popolazione africana ha un’età media di 19 anni, come vedremo si tratta di una risorsa strategica al fine dell’adozione delle nuove tecnologie, come AI generativa (GAI).[1]
Il ruolo dei pagamenti digitali è importante per creare sia le infrastrutture sia le prime competenze di accesso alle reti e al cloud: in Kenya M-Pesa è uno dei loghi più diffusi ed è un servizio di mobile money lanciato nel 2007 da Safaricom, che consente di inviare, ricevere e gestire denaro tramite cellulare, anche senza un conto bancario. Il nome combina “mobile” con “pesa”, la parola swahili per “denaro”. Oltre a trasferimenti, permette pagamenti, ricariche e l’accesso ad altri servizi finanziari. In molti paesi si sviluppano i pagamenti elettronici, anche senza la dotazione di conto bancario.
L’impegno per sviluppo etico, inclusivo e collaborativo in Africa
L’Africa non è solo terreno di conquista per i protagonisti di AI, è anche terreno di discussione e di proposta. La Dichiarazione di Kigali sull’AI responsabile in Africa nell’aprile 2024, ha sottolineato l’impegno collettivo del continente per uno sviluppo etico, inclusivo e collaborativo. A Kigali è stata presa la decisione di istituire un fondo da 60 miliardi di dollari per avviare un ecosistema di AI in tutta l’Africa, con l’obiettivo di far uscire 11 milioni di persone dalla povertà e creare 500.000 posti di lavoro all’anno entro il 2030. L’iniziativa giunge in un momento critico, poiché gli africani rappresentano attualmente solo il 4% della forza lavoro globale nel settore dell’AI, evidenziando sia la sfida che l’immensa opportunità di crescita. Nel giugno 2024, i ministri africani delle ICT hanno approvato la Strategia continentale per l’intelligenza artificiale e l’African Digital Compact, con l’obiettivo di definire un quadro coordinato per il progresso dell’AI in Africa .
I vantaggi di produttività
Se adottata su larga scala, l’AI potrebbe generare un incremento economico annuo compreso tra 61 e 103 miliardi di dollari per il continente[2]. Questo valore deriva dall’aumento della produttività e da nuovi casi d’uso basati sull’AI che abbracciano il settore bancario, il commercio al dettaglio, le telecomunicazioni e i servizi pubblici.
Ad esempio, l’AI può automatizzare il servizio clienti, personalizzare l’istruzione, migliorare la resa dei raccolti con previsioni più accurate e semplificare le operazioni governative. In particolare, questa cifra si aggiunge all’impatto dell’AI tradizionale (non generativa): il potenziale combinato dell’AI in Africa è più del doppio di quello della sola AI generativa, con almeno il 60% del valore derivante da tecniche consolidate di AI e apprendimento automatico. L’AI generativa potrebbe diventare un importante catalizzatore economico, ma per sfruttare appieno questa opportunità da circa 100 miliardi di dollari sarà necessario affrontare le barriere (competenze, dati, potenza di calcolo) e implementare progetti pilota di successo in tutto il continente.
Vediamo ora come il mercato mondiale AI sta evolvendo e se questa evoluzione può incontrare i bisogni dell’Africa e come l’Africa può inserirsi nell’economia di AI.
I vantaggi dell’Africa nell’adottare l’AI
I modelli AI adatti all’Africa evolvono.
Si legge in un report recente: “Grazie a modelli di piccole dimensioni sempre più performanti, il costo di inferenza per un sistema con prestazioni pari a GPT-3.5 è diminuito di oltre 280 volte tra novembre 2022 e ottobre 2024″. “A livello hardware, i costi sono diminuiti del 30% all’anno, mentre l’efficienza energetica è migliorata del 40% ogni anno. I modelli open-weight stanno colmando il divario con i modelli chiusi, riducendo la differenza di prestazioni dall’8% a solo l’1,7% su alcuni benchmark in un solo anno. Insieme, queste tendenze stanno rapidamente abbassando le barriere d’accesso all’intelligenza artificiale avanzata.”[3]
I nuovi benchmark introdotti nel 2023 (MMMU, GPQA, SWE) dimostrano che l’incremento delle performance varia tra il 20% e il 50% e dimostrano che la Cina, pur investendo assai meno degli Stati Uniti, ha raggiunto risultati paragonabili a quelli dei modelli americani.
A livello globale le aziende che hanno adottato AI sono salite dal 20% del 2017 a circa il 78% del 2024; in particolare GAI è usata regolarmente dal 71% delle organizzazioni nel 2024 contro il 33% del 2023: sono più che raddoppiate in un anno.
Modelli accessibili e generazioni disponibili, due punti a favore dell’Africa
Quali sono i motivi che spingono all’adozione di GAI? Secondo IBM sono: la riduzione dei costi attraverso una maggiore automazione, la tendenza ad incorporarla nelle soluzioni aziendali per renderle immediatamente disponibili, la pressione competitiva, quella dei consumatori e quella dell’azienda, sia per l’indirizzo dei leader sia per la cultura aziendale. La ragione più interessante, riportata nella figura 1, è anche quella più frequentemente citata: la migliore accessibilità di AI[4].

Nella figura 2, la capacità di utilizzare AI nel proprio contesto organizzativo appare come l’angoscia dominante tra i leader delle aziende.

La tavola delle generazioni continua ad allungarsi, per non perdere il conto riproduciamo la periodizzazione (figura 3).

Il 65% degli utenti di GAI sono Millennial o Gen. Z e 6 su 10 ritengono di essere capaci di usarla in modo soddisfacente AI. Il 70% della Gen. Z la usa e la metà di loro ritiene che AI aiuti a prendere decisioni più informate. I primi che l’anno adottata dichiarano di essere passati dal divertimento all’uso nel posto di lavoro o in azienda.
Il 75% di coloro che usano GAI pensano di automatizzare alcuni compiti lavorativi e comunicazioni di lavoro. Il 68% di chi non usa GAI sono Gen X o Baby Boomers. Il 40% di loro ritiene di non avere sufficiente dimestichezza con la tecnologia e il 32% ritiene che non sia utile. Tra i motivi che i manager IT dichiarano come impedimento all’adozione di GAI troviamo:
- timori per la sicurezza (79%);
- mancanza di competenze dei dipendenti (66%);
- difficoltà ad integrare AI nella struttura tecnologica (60%);
- mancanza di una strategia unitaria sui dati (59%)[5].
L’età conta molto nell’atteggiamento verso AI e nella capacità di acquisire le competenze necessarie ad usarla. Ma contano anche le preoccupazioni sulla sicurezza.
Entrambi questi fattori pesano sulle società più sviluppate che, come abbiamo visto, hanno una propensione ad accettare AI più bassa delle società più giovani e con minore attenzione alle questioni della sicurezza e della privacy (India e Cina in primis). I paesi africani hanno la popolazione più giovane del pianeta: la loro propensione ad accogliere le innovazioni è altissima.
AI, Paesi accoglienti e Paesi no
L’attitudine individuale verso AI si coagula, a livello macroscopico, nell’atteggiamento dei diversi paesi. Alcuni risultati sono scontati: India e Cina guidano la graduatoria dei paesi più disponibili (figura 4 barre blu).

Sorprendono la Corea e i paesi anglosassoni – Stati Uniti in particolare – che hanno una propensione ad adottare AI più bassa, in misura significativa, dei paesi europei e soprattutto dell’Italia.
Scopriamo che non siamo un paese chiuso, ma aperto nei confronti di AI e ciò è particolarmente significativo perché la nostra struttura produttiva è basata sulle aziende medio-piccole, in genere più lente nell’affrontare gli investimenti necessari all’adozione di AI nella propria organizzazione. Le aziende sopra i 10 mila dipendenti, infatti, hanno un utilizzo che è del 50% più elevato di quello delle aziende di medie dimensioni. Si disegna una scenario internazionale articolato: gli Stati Uniti hanno il primato negli investimenti e nella ricerca, la Cina e anche l’India nell’implementazione, l’Europa si dibatte sulla regolazione, perdendo di vista la risorsa strategica per tutti, siano investitori o utilizzatori: il capitale umano.
Non è facile spiegare questi andamenti così diversificati. Più regolare è l’attitudine a esplorare AI (linea rossa nella figura), dove la differenza si riduce in modo significativo con media sopra il 40%, e minimi in Germania e Canada. Ricordando le considerazioni fatto sopra a proposito dell’entusiasmo tecnologico dei last comers, sembra che chi è all’avanguardia nella produzione di servizi AI e più avanti sul piano tecnologico, come tipicamente Corea e Stati Uniti, sia meno disponibile nei confronti delle nuove tecnologie.
Questi andamenti sorprendenti posti in evidenza da Vention sono confermati da Saleforce, la cui indagine più recente dice che il 73% degli indiani usa GAI contro il 45% degli americani.[6] Ma se guardiamo all’Africa, ben il 55% dei sudafricani ha utilizzato l’intelligenza artificiale generativa nell’ultimo anno, segnando un notevole aumento rispetto al 45% del 2023, e una forte maggioranza del 71% si dichiara entusiasta del potenziale dell’intelligenza artificiale, ritenendo che i vantaggi superino qualsiasi potenziale preoccupazione[7].
L’Africa e i paesi emergenti, l’impatto dell’AI: che succede
Non si incontra frequentemente l’Africa nelle statistiche sull’intelligenza artificiale. E’ un sintomo del grave disinteresse per il continente a noi più vicino: ma tra non molto avremo bisogno dei giovani africani non più per raccogliere i prodotti agricoli o per fare le badanti, ma per utilizzare e applicare GAI.
L’atteggiamento del pubblico generale nei confronti di AI varia molto più di quello di chi lavora in azienda o in altre organizzazioni.
Sappiamo, anche per averlo vissuto nel nostro Paese, che le ondate tecnologiche hanno la capacità di incontrare l’entusiasmo delle fasce di popolazione dotate di meno risorse o che erano rimaste indietro rispetto alla precedente ondata di innovazione. L’Italia, ad esempio, recuperò posizioni a livello internazionale quando internet fu raggiungibile dallo smartphone. Influivano la scarsità di infrastrutture, la diffusione lenta dell’alfabetizzazione digitale (quella dei pc per intenderci).
Ostacoli economici e ostacoli sociali furono superati dalle connessioni mobili e dalla conseguente diffusione dell’accesso a internet “guidato” dalle app. Qualcosa di simile è accaduto, ma in dimensioni colossali, per un intero continente, l’Africa. Negli anni Novanta c’era meno di una linea telefonica ogni 100 abitanti. Saltando la fase della costruzione della rete fissa e passando direttamente al mobile, in due decenni in Africa l’intera popolazione ha raggiunto la connessione telefonica[8].
Come abbiamo visto, la tecnologia riduce i costi di AI: banda, energia, inferenza. Per l’Africa, l’AI è una grande sfida e una straordinaria opportunità: la popolazione giovane è disponibile ad accogliere le innovazioni, che le consentono di saltare fasi tecnologiche con i relativi costi. Al contempo il capitale umano dell’Africa e dei paesi in via di sviluppo è penalizzato dalla non conoscenza della lingua e dall’analfabetismo. La Banca Mondiale stima che nell’Africa Subsahariana l’89% della popolazione con 10 anni non comprenda una frase di testo e il testo è fondamentale nell’utilizzo di GAI. Questa carenza iniziale è un macigno sulla via dello sviluppo del continente, ma l’energia delle nuove generazioni è tale da compensare in parte questa fragilità[9].
“A meno di tre anni dal lancio di ChatGPT, circa 800 milioni di persone, un settimo degli adulti del mondo, la utilizzano ogni settimana. Molti si trovano nei paesi in via di sviluppo, dove la popolazione è giovane e tecnologicamente aperta. Dopo l’America, India e Brasile sono i mercati più grandi. Un’indagine delle Nazioni Unite rileva che la fiducia nell’intelligenza artificiale è maggiore nei paesi con punteggi di sviluppo umano più bassi”[10].
I modelli cinesi
Non c’è solo ChatGPT. L’alleanza creata due anni fa tra Huawei e High-Flyer, proprietaria di Deepseek, muove in Africa: Huawei crea le infrastrutture della rete mobile, offre il cloud, vende gli smartphone, Deepseek offre servizi GAI ad un costo frazionale rispetto a quello dei modelli americani[11]. La filosofia dell’AI cinese pone in evidenza il contrasto con il modello americano. L’approccio di Huawei, Alibaba, DeepSeek non è proprietario, ma open source: un’offerta irrinunciabile per le economie africane. L’intera economia digitale dell’Africa è valutata 180 miliardi dollari, poca cosa di fronte al valore azionario recente di OpenAI, pari a 500 miliardi. Ma la semplicità di Deep Seek è ciò che l’Africa chiede.
La via della Seta con l’AI in Africa
La strategia Belt and Road, la Via della Seta, prevedeva un ruolo centrale della Cina per aprire i mercati mondiali all’export, alla tecnologia, alla finanza cinese. Ora la presenza cinese in Africa conquista spazio nei terminali (Huawei, Xiaomi, Honore), nelle infrastrutture (Huawei, ZTE), nei data center (ZTE, nelle app (Byte Dance).
Le aziende cinesi lavorano con partner africani sulle lingue, chiave di accesso ai servizi GAI. Gli sforzi di Google-Gemini e OpenAI ChatGPT di entrare in Nigeria, il maggiore paese africano con 400 milioni di abitanti, si scontrano con decine di lingue e dialetti, con i costi elevati rispetto al reddito disponibile, con i problemi delle licenze. Il cammino è accidentato.
L’Europa si svegli
I paesi avanzati non devono credere che il mercato africano sia troppo piccolo. Esso crescerà in modo vertiginoso e anche l’Europa dovrà svegliarsi dal sopore dei suoi rituali normativi, per scoprire che il continente a lei più vicino non è solo un mercato di sbocco ancora troppo povero, ma è anche il potenziale bacino di competenze per mettere in campo AI come moltiplicatore della produttività.
Note
[1]) Mastyercard, Harnessing the transformative power of Ai in Africa, August 2025.
[2]) Mayowa Kuyoro, Umar Bagus, Leading, not lagging: Africa’s gen AI opportunity, Mc Kinsey, May 12, 2025.
[3]) Human Centered Artificial Intelligence, Stanford University, Artificial Intelligence
Index Report 2025, 2025.
[4]) Vention, AI adoption statistics by industries and countries: 2025 snapshot, https://ventionteams.com/solutions/ai/adoption-statistics
[5]) Ibidem.
[6]) Salesforce, Top Generative AI Statistics for 2025, https://www.salesforce.com/news/stories/generative-ai-statistics/
[7]) Ecofin Agency, Africa Could Unlock $103bn a Year from Generative AI, McKinsey Says, 16 May, 2025.
[8]) The Economist, Can AI make the poor world richer? October 23, 2025.
[9]) World Bank, The State of Global Learning Poverty: 2022 Update. June, 2022.
[10]) The Economist, ivi.
[11]) Saritha Rai, loni Prinsloo, Helen Nyambura, DeepSeek’s Push Into Africa Reveals China’s AI Power Grab, Bloomberg, October 22, 2025.
By making AI cheaper and less power-hungry, DeepSeek has put the technology within reach of millions of people.












