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AI in classe: la sfida educativa che l’Italia non può ignorare



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L’uso dell’intelligenza artificiale cresce nelle scuole italiane. Gli studenti la integrano nei percorsi di apprendimento, mentre molti insegnanti restano inconsapevoli del suo impatto e del potenziale educativo ancora inespresso

Pubblicato il 12 nov 2025

Roberta Cocco

Esperta di Trasformazione Digitale ed Empowerment femminile – Docente universitaria



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L’intelligenza artificiale a scuola non è più un esperimento isolato ma una realtà diffusa. Mentre studenti e docenti ne esplorano le potenzialità, il sistema educativo italiano affronta una trasformazione che chiede nuove competenze e un approccio critico condiviso.

IA a scuola: un cambiamento già in corso

Il recente report “Generazione AI – La nuova sfida della scuola”, realizzato dal think-tank Tortuga in collaborazione con Yellow Tech, offre un quadro inedito e sorprendente sull’impatto dell’intelligenza artificiale generativa nel sistema scolastico italiano.

La ricerca, condotta su oltre 3.800 tra studenti, docenti e personale scolastico appartenenti a 274 istituti distribuiti in 18 regioni, mostra in modo chiaro che la rivoluzione dell’AI non è una prospettiva futura, ma una realtà già pienamente presente nelle aule, nei dispositivi e nelle abitudini di apprendimento delle nuove generazioni.

I dati raccontano molto più di un semplice cambiamento tecnologico: delineano un mutamento culturale profondo, che chiama in causa il modo stesso di concepire l’insegnamento e la relazione educativa.

Il divario percettivo tra studenti e docenti

Il 66% dei docenti italiani dichiara di utilizzare strumenti di intelligenza artificiale generativa almeno una volta a settimana. Tra gli studenti questa percentuale sale all’83%. Eppure, il 35% degli insegnanti è convinto che i propri alunni non usino affatto queste tecnologie.

Un divario percettivo enorme, che rivela quanto la scuola rischi di non vedere ciò che accade realmente tra i banchi: l’AI è già entrata nei processi cognitivi e di studio, ma una parte significativa del corpo docente non ne ha consapevolezza piena.

Come gli studenti usano l’AI e le percezioni dei docenti

Ancora più interessante è osservare come gli studenti utilizzino l’AI: la maggioranza la impiega per controllare risposte e verificare la correttezza di elaborati, molti per cercare ispirazione o per migliorare i propri testi, pochi per approfondire davvero i contenuti. È un uso pratico, immediato, spesso intuitivo ma non sempre critico. Allo stesso tempo, molti insegnanti tendono a sovrastimare le capacità logiche dei modelli generativi, ritenendoli più efficaci in matematica e problem solving, quando in realtà questi strumenti mostrano il meglio nelle attività linguistiche, di sintesi e rielaborazione testuale.

Il dividendo dell’AI e la necessità di competenze

Il report di Tortuga e Yellow Tech mette in luce un altro punto cruciale: l’intelligenza artificiale potrebbe liberare tempo e risorse per la didattica, alleggerendo il carico amministrativo e burocratico degli insegnanti. Questa possibilità resta però ancora in gran parte inesplorata.

È quello che il rapporto definisce “il dividendo dell’AI”, ovvero la capacità di recuperare energie da reinvestire nel valore educativo, oggi spesso spese in attività ripetitive e di scarsa utilità formativa. Ma perché ciò accada, serve una competenza elevata e diffusa: la conoscenza degli strumenti, dei loro limiti, dei bias e delle implicazioni etiche diventa una condizione imprescindibile per un’adozione consapevole.

Educare all’uso critico, non vietare

Non si tratta quindi di chiedersi se introdurre o meno l’intelligenza artificiale a scuola, ma di riconoscere che essa c’è già — e che la vera sfida è educare a usarla. Gli studenti l’hanno integrata spontaneamente nei propri percorsi di apprendimento, spesso al di fuori del controllo o della guida dei docenti. Vietarla o ignorarla non serve: il compito della scuola non è porre barriere ma offrire strumenti di comprensione, promuovere un approccio critico, stimolare il dialogo tra intelligenza umana e artificiale. In questo senso, docenti e studenti dovrebbero lavorare insieme, in un patto educativo nuovo, in cui la tecnologia diventi parte integrante del processo di costruzione della conoscenza, non un elemento esterno da temere o contenere.

L‘evento della LIUC e la formazione delle mentalità

Un contributo importante a questa riflessione è venuto anche dall’Università LIUC, che in occasione della Milano Digital Week del 3 ottobre ha organizzato un evento dedicato proprio al tema “Competenze che contano: come la GenAI sta cambiando studio e lavoro”. Nel confronto tra accademici, imprese e istituzioni è emersa una consapevolezza condivisa: non basta introdurre nuovi strumenti, occorre formare nuove mentalità. Le esperienze didattiche presentate hanno mostrato come l’AI possa diventare un alleato per la progettazione, per la ricerca e per l’elaborazione di idee, non solo per l’esecuzione di compiti. Si è discusso della necessità di creare figure capaci di coniugare senso critico e competenze digitali e di definire un quadro di regole chiare sull’uso consapevole dell’AI in contesti educativi.

Patentino digitale e formazione continua

Tra le varie proposte emerse nel dibattito vi è quella di un “patentino digitale” per gli studenti, che certifichi un livello minimo di alfabetizzazione tecnologica e consapevolezza etica, mentre sul fronte docente si è sottolineata l’urgenza di una formazione continua che non si limiti all’introduzione tecnica ma sviluppi capacità di riflessione e mediazione culturale. Benché è evidente la ragione della scelta di vietare lo smartphone in classe, questa non può rappresentare la risposta strutturale al fenomeno: l’intelligenza artificiale è ormai integrata in ogni dispositivo e il punto non è escluderla ma essere in grado di governarla.

La rivoluzione silenziosa e il rischio dell’ignoranza

La lezione che arriva da queste analisi e da questi confronti è semplice e potente: la rivoluzione dell’AI è già qui, silenziosa ma inarrestabile. Gli studenti la usano ogni giorno, spesso con una naturalezza che sorprende; gli insegnanti cercano di comprenderla, talvolta con timore, talvolta con curiosità. Il vero rischio non è l’abuso dell’intelligenza artificiale, ma la sua ignoranza. Solo conoscendola a fondo si potrà costruire una cultura digitale condivisa, capace di coniugare innovazione e responsabilità.

L’alfabetizzazione digitale come sfida del secolo

Per questo la scuola — e più in generale tutto il sistema formativo e pubblico — deve smettere di chiedersi se l’AI sia una minaccia o un’opportunità, e iniziare a trattarla come un fatto educativo. L’obiettivo non è proteggere gli studenti dall’AI, ma prepararli a convivere con essa in modo maturo, etico e creativo. Se il Novecento è stato il secolo dell’alfabetizzazione di massa, il XXI secolo sarà quello dell’alfabetizzazione digitale. E questa sfida, come ricorda il report “Generazione AI”, non si gioca nel futuro: è già cominciata.

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