La sovranità digitale europea è diventata una priorità strategica. Costruire un’infrastruttura cloud autonoma e sostenibile non è solo una questione tecnologica, ma una condizione necessaria per garantire sicurezza, competitività e indipendenza industriale nel nuovo ordine digitale globale.
Indice degli argomenti
Il cloud come infrastruttura strategica per la sovranità europea
I servizi cloud sono la spina dorsale dell’economia digitale. Alimentano tutto, dai modelli di intelligenza artificiale alle piattaforme di e-government, dalla manifattura intelligente alla sanità digitale. Come ha evidenziato Mario Draghi nel suo rapporto del 2024 sulla competitività europea, l’infrastruttura cloud non è solo una utility digitale: è un asset strategico.
La dipendenza dell’Europa da un numero ristretto di hyperscaler non europei mette a rischio la sua sovranità digitale. Senza opzioni cloud sicure, interoperabili e competitive sviluppate e gestite all’interno dell’UE, la regione resta esposta a pressioni tecnologiche e geopolitiche esterne. Il Rapporto Draghi invoca investimenti massicci e un intervento regolatorio mirato per costruire capacità sovrane nel cloud, nell’IA e nelle infrastrutture dati. Per affrontare questa sfida, l’Europa deve anche correggere le distorsioni strutturali che frenano il proprio settore cloud.
Il mercato del cloud in Europa evidenzia forti segnali di concentrazione strutturale. Secondo dati recenti di Synergy Research Group, i fornitori europei detengono oggi circa il 15% della quota locale nei servizi cloud (IaaS, PaaS e soluzioni di cloud pubblico/ibrido), mentre i colossi globali, in particolare AWS, Microsoft e Google, controllano il restante 70% del mercato europeo. Anche quando i provider europei crescono in termini di fatturato (nello specifico, triplicati tra il 2017 e il 2024), l’espansione del mercato complessivo è stata così rapida da erodere la loro quota relativa (dal 29% nel 2017 al 15% nel 2022, rimanendo stabile fino ad oggi).
In altri termini, le asimmetrie di scala e infrastrutturali richiedono interventi da parte delle istituzioni europee per governare questo fenomeno fondamentale per il futuro dell’innovazione tecnologica europea.
La struttura dello stack cloud e le sfide ambientali
Il settore cloud è spesso rappresentato come uno “stack” composto da tre livelli distinti, ciascuno con proprie dinamiche e criticità concorrenziali:
- Infrastructure as a Service (IaaS): fornisce potenza di calcolo grezza, storage e capacità di rete. Dominato da hyperscaler come AWS, Microsoft Azure e Google Cloud, questo mercato è fortemente capital-intensive e beneficia di forti economie di scala.
- Platform as a Service (PaaS): offre strumenti di sviluppo, middleware e servizi che si poggiano sull’infrastruttura. Include database, strumenti di IA e ambienti cloud-native. Spesso rinforza effetti di lock-in poiché è strettamente integrato al layer IaaS sottostante.
- Software as a Service (SaaS): comprende applicazioni per l’utente finale come Microsoft 365, Google Workspace, Salesforce e migliaia di strumenti sviluppati da ISV. Questi servizi dipendono fortemente dai livelli inferiori.
Le autorità della concorrenza olandese (ACM) e britannica (CMA), nei rispettivi studi settoriali sul cloud, utilizzano questo modello a tre livelli per analizzare le strozzature concorrenziali. Entrambe evidenziano che mentre i mercati IaaS e PaaS sono altamente concentrati e verticalmente integrati, anche i mercati SaaS presentano pratiche di bundling e dipendenze tecniche che limitano la scelta per l’utente e l’accesso dei concorrenti.
Per funzionare, il sistema “virtuale” del cloud richiede un’articolata rete di infrastrutture materiali in grado di sostenere la complessità e la continuità operativa. In questo contesto, i data center costituiscono il livello fisico su cui poggia l’intero stack cloud sopra descritto. In sintesi, sono le strutture che ospitano server, apparati di rete, sistemi di alimentazione e raffreddamento, garantendo capacità di calcolo, storage e connettività a bassa latenza. La loro espansione sul territorio europeo rappresenta non solo una delle sfide per la sovranità digitale europea ma anche ambientale.
Tali infrastrutture complesse per funzionare richiedono infatti un enorme quantitativo di energia. L’impatto energetico e ambientale dei data center sta diventando un tema sempre più importante a livello politico. Non a caso, il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Teresa Ribera promuove un modello di industrializzazione pulita che include anche i data center, riconosciuti come infrastrutture essenziali per una transizione digitale ed ecologica sostenibile. Nel 2024, i data center in Europa hanno consumato circa 96 TWh, rappresentando circa il 3,1% del consumo totale di energia elettrica nell’UE. Entro il 2030, si prevede che questa cifra aumenti a 150 TWh, pari a circa il 5% del consumo totale, con un tasso di crescita annuale del 15%. Altra risorsa necessaria per i data center è l’acqua, usata principalmente per il raffreddamento dei server. Nel 2023, il consumo globale di acqua per i data center è stato di circa 560 milioni di metri cubi, con una previsione di aumento a 1,2 miliardi di metri cubi entro il 2030. In Europa, si stima che il mercato del consumo idrico dei data center passerà da 0,82 trilioni di litri nel 2025 a 1,58 trilioni di litri nel 2030, con un tasso di crescita annuale del 14,02%.
Sono numeri che evidenziano non solo una dipendenza economica significativa ma anche un notevole dispendio di risorse energetiche. La predominanza dei grandi hyperscaler extraeuropei implica che gran parte di questa domanda energetica e idrica alimenti infrastrutture controllate al di fuori dell’UE, consolidando la loro posizione dominante e generando un impatto ambientale, energetico e urbanistico all’interno dei confini europei.
Concentrazione e lock-in: il cloud come collo di bottiglia europeo
Le ambizioni europee nel cloud si scontrano con ostacoli strutturali:
- Alta concentrazione: pochi hyperscaler dominano tutti i livelli dello stack, grazie a scala globale, basi utenti esistenti ed ecosistemi proprietari.
- Economie di scala e di scopo: creano vantaggi di costo difficili da recuperare per i nuovi entranti.
- Effetti di rete: più sviluppatori e utenti si affidano a una piattaforma (es. Azure + Microsoft 365), più essa diventa attrattiva, rafforzando la posizione dominante.
- Alti costi di switching: ostacoli tecnici e contrattuali impediscono agli utenti di migrare facilmente o combinare servizi cloud.
- Effetti di lock-in: restrizioni di licenza, costi di trasferimento dati, API proprietarie alimentano la dipendenza.
- Problemi di interoperabilità: la compatibilità limitata tra ecosistemi cloud ostacola la concorrenza.
- Strategie di bundling e licenze: come emerso nel caso CMA-Microsoft, alcuni provider favoriscono la propria infrastruttura a discapito dei rivali.
Queste dinamiche compromettono l’obiettivo europeo di un’infrastruttura digitale sovrana, scoraggiano l’innovazione e allontanano investimenti strategici nei fornitori cloud europei.
Il ruolo del Digital Markets Act per una concorrenza leale
Il Digital Markets Act (DMA) è pensato per ripristinare contestabilità e equità nei mercati digitali dominati da gatekeeper. La sua applicazione al settore cloud è naturale: affrontando pratiche di self-preferencing, bundling e mancanza di interoperabilità, il DMA può abbassare le barriere all’ingresso e rafforzare i fornitori e gli utenti europei.
Il DMA consente alla Commissione di adottare designazioni qualitative di gatekeeper, anche per servizi cloud, laddove esista un potere sistemico di intermediazione, anche in assenza di soglie quantitative. Ciò è cruciale per cogliere forme emergenti di potere di mercato, come quelle derivanti dall’integrazione software-cloud.
Le principali disposizioni rilevanti sono:
- Articolo 5(8): vieta il bundling tra servizi di piattaforma principale e altri servizi, salvo sia tecnicamente necessario e proporzionato.
- Articolo 6(7): promuove l’interoperabilità con servizi terzi.
- Articolo 6(6): facilita lo switching tra servizi concorrenti.
- Articolo 6(9): garantisce la portabilità dei dati tra piattaforme.
Risolvere queste problematiche permetterà di ridurre gli effetti di lock-in e aprire il mercato a nuovi operatori europei. Questo aumento della contestabilità genererà un circolo virtuoso: maggiori certezze legali e regole eque abbassano il rischio percepito per investitori e imprenditori, incentivando lo sviluppo di alternative europee nel cloud. La capacità di attrarre capitali, promuovere R&S e costruire ecosistemi non dipende solo da fondi pubblici, ma anche da condizioni concorrenziali corrette.
In sintesi, sbloccare il futuro cloud europeo richiede non solo finanziamenti ma anche regole giuste. Il DMA è un catalizzatore indispensabile per raggiungere questo obiettivo. Ma l’applicazione rigorosa del DMA rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente, per restituire all’Europa controllo e autonomia nel settore cloud. Regolare i gatekeeper non basta: occorre costruire un ecosistema alternativo, credibile,competitivo e sostenibile.
Dalla regolazione alla costruzione di alternative europee
Se l’Europa vuole veramente costruire una sua sovranità digitale, nel prossimo decennio dovrà sostituire progressivamente le piattaforme tecnologiche e i servizi cloud non europei con soluzioni sviluppate e gestite internamente. Non si tratta di autarchia, ma di riconquistare e favorire la capacità industriale e negoziale in un settore che definisce la competitività, la sicurezza e la libertà di scelta dei cittadini europei. Solo così l’Unione potrà passare da “potenza regolatoria” a potenza tecnologica e digitale globale.
Il mercato unico come leva di potere economico
Con un mercato unico di oltre 450 milioni di cittadini integrato da un corpus normativo avanzato in materia di sicurezza, privacy e protezione dei dati, l’Europa dispone già di un solido terreno naturale per lo sviluppo industriale e commerciale. Questo spazio economico non è solo un bacino di consumo, ma un asset strategicoche, se utilizzato in modo coordinato, può costituire una leva di potere economico e regolatorio.
L’accesso al mercato europeo rappresenta una quota significativa dei ricavi globali degli hyperscaler extraeuropei: ogni licenza software, servizio cloud o contratto di infrastruttura stipulato nell’UE contribuisce al consolidamento delle loro posizioni di mercato a livello mondiale. L’Unione dovrebbe valorizzare questa asimmetria di dipendenza invertendo la logica attuale: subordinare l’accesso al mercato europeo al rispetto di condizionalità tecniche e operative – interoperabilità, portabilità dei dati, localizzazione dei processi critici, apertura delle API – che favoriscano la crescita di fornitori europei e la neutralità infrastrutturale.
Come il GDPR ha imposto uno standard globale di riferimento sulla protezione dei dati, l’UE può e deve oggi ridefinire il paradigma della sovranità tecnologica applicando in modo coerente il principio del “level playing field” digitale: trasformare il mercato interno da semplice spazio di consumo a piattaforma attiva per lo sviluppo di capacità industriali, infrastrutturali e cloud-native europee.
Data center europei e sostituzione progressiva delle piattaforme extraeuropee
Favorire la nascita e l’espansione di data center europei, sviluppati e gestiti da operatori locali, costituisce uno dei primi passi concreti verso la sovranità digitale. Queste strutture non sono solo infrastrutture fisiche: rappresentano un asset strategico, assorbono energia, occupano suolo, richiedono competenze tecniche avanzate e diventano il punto di ancoraggio per l’intero ecosistema cloud continentale. Orientare gli investimenti verso operatori europei significa trattenere sul territorio i benefici economici e industriali del cloud, ridurre la dipendenza dagli hyperscaler extraeuropei e creare le condizioni materiali e normative per lo sviluppo di soluzioni interoperabili, sicure e competitive.
Ad maiora Europa!
Fonti principali:
- Commissione europea, Digital Markets Act (Regolamento UE 2022/1925)
- Mario Draghi, “Rapporto sulla competitività dell’Europa” (2024)
https://commission.europa.eu/topics/eu-competitiveness/draghi-report_en
- ACM, “Market study into cloud services” (Paesi Bassi, 2023)
https://www.acm.nl/en/publications/market-study-cloud-services
- CMA, “Final Report – Market investigation into cloud infrastructure services” (Regno Unito, 2024)
https://assets.publishing.service.gov.uk/media/688b8891fdde2b8f73469544/final_decision_report.pdf
https://forumeuBeneath the surface: Water stress in data centers | S&P Globalropa.eu/ribera-urges-not-ignore-challenges-regarding-energy-and-devastating-consequences-climate-change












