L’Il ruolo dell’esperto forense digitale è diventato cruciale nell’ecosistema iperconnesso contemporaneo, dove ogni crimine lascia tracce elettroniche analizzabili.
Questo professionista opera come ponte tra la complessità tecnologica e il rigore procedurale del diritto, trasformando dati binari in prove giuridicamente valide. La sua figura ibrida richiede competenze che vanno ben oltre la semplice estrazione di informazioni digitali.
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Il paradosso del digitale nelle indagini
La tecnologia ha ampliato sia il potenziale criminale sia le capacità investigative. Quasi ogni reato include oggi tracce digitali che, se individuate e analizzate correttamente, possono diventare prove utili. I crimini, che un tempo si consumavano nel mondo fisico, oggi si arricchiscono a vario titolo di una componente digitale, lasciando dietro di sé tracce elettroniche che costituiscono una miniera d’oro per le indagini, quando sapientemente: individuate, raccolte ed analizzate. Se un tempo l’effrazione di una serratura o di una finestra avvenute in un certo modo erano foriere di informazioni circa le abitudini, modalità, finalità e talvolta anche identificazione dell’autore del reato; oggi l’attenzione si sposta sulle tecniche di “Ingegneria sociale” e di “Phishing” utilizzate, sulla tipologia di “Malware” e sulle caratteristiche della “Cyber Kill Chain”[1] .
In ogni caso ed in conclusione a questa breve introduzione non posso che riaffermare che, dunque, oggi non esiste praticamente crimine che non possa essere attuato, agevolato, ma anche scoperto, perseguito e risolto grazie al “digitale”.
In questo scenario, emerge quindi con forza la figura dell’esperto forense digitale:il suo ruolo va oltre la semplice analisi dei dati; egli deve saper interpretare le tracce digitali, ricostruendo una narrazione che possa essere tradotta in prove valide e inconfutabili in un’aula di tribunale.
Mentre il diritto, con la sua natura tendenzialmente più lenta e formalistica, cerca con non poca fatica di adattarsi alle nuove sfide tecnologiche, l’esperto forense digitale si deve saper muovere con agilità in un ambiente in continua evoluzione, fornendo quel supporto tecnico-scientifico indispensabile per superare i limiti intrinseci di un quadro normativo che talvolta “segna il passo” dinanzi ad un evoluzione tecnologica che ogni giorno sforna nuove sfide investigative e nuovi strumenti per vincerle.
Per comprendere appieno questa dinamica, apparentemente elementare, è utile fare un esercizio di pensiero: si consideri un reato “classico” e si rifletta su come le moderne tecnologie digitali abbiano agevolato la sua esecuzione, per poi analizzare come le stesse tecnologie abbiano anche ampliato le possibilità investigative di scoperta, repressione e prevenzione dello stesso.
Questo parallelismo rivela, in ogni caso, una verità lampante: se da un lato il digitale ha esponenzialmente elevato il potenziale criminale; dall’altro ha anche contemporaneamente ampliato, e reso più efficace, la capacità di indagare, reprimere e prevenire tali reati.
Il digitale è, in definitiva, un’arma a doppio taglio che richiede, per essere gestita, una nuova generazione di professionisti capaci di padroneggiare tanto la scienza quanto il diritto.
Il profilo ibrido dell’esperto: un ponte tra tecnologia e diritto
Partiamo dall’innegabile presupposto che l’esperto forense digitale non si limita a estrarre dati, ma li rende comprensibili e legalmente validi per un contesto giuridico. È noto come la “complessità delle reti e dei sistemi” ha raggiunto livelli non più alla portata dell’improvvisazione: oggi servono competenze qualificate anche solo per identificare l’architettura del sistema[2]!
La complessità appena tratteggiata si traduce spesso in complessità tecniche che riverberano pesantemente sulla concreta possibilità di poter individuare, acquisire ed esaminare i dati a vario titolo “coinvolti” in un determinato fatto. L’esperto non si limita ad individuare, acquisire ed esaminare il dato ma crea un ponte tra il linguaggio binario e quello legale, trasformando i bit e i byte in prove concrete e ammissibili in tribunale. Questo richiede non solo competenza, ma anche una profonda etica, integrità professionale e una capacità di comunicazione chiara ed efficace, sia scritta che verbale, capace, quest’ultima di rendere comprensibile al profano come la triangolazione di celle telefoniche, piuttosto che i Log di sistema di un dispositivo, possono documentare con buona approssimazione un certo fatto.
Competenze tecniche reali dell’esperto forense digitale contro aspettative irrealistiche
La “sindrome di Harry Potter” [3] descrive aspettative irrealistiche verso l’esperto forense. Compiti come copiare grandi volumi di dati remoti o selezionare in tempi ristretti i soli dispositivi rilevanti richiedono pianificazione, limiti operativi chiari e basi legali.
Strumenti e acquisizione forense
Invero, oggi l’esperto digitale deve saper maneggiare “sapientemente” strumenti e tecniche nel rispetto delle procedure legali. Per un esperto di digital forensics, gli strumenti sono fondamentali quanto il bisturi per un chirurgo.
Strumenti software come Magnet AXIOM, Vound-Intella, FTK (Forensic Toolkit), e X-Ways Forensics e molti altri anche “open-source”[4] non sono semplici applicazioni, ma vere e proprie suite professionali integrate che guidano l’analista attraverso l’intero ciclo di vita dell’indagine forense digitale.
Esistono poi strumenti per l’acquisizione dei dati, che rappresenta il primo passo cruciale in ogni indagine. È noto che non si lavora mai sul dispositivo originale per preservarne l’integrità. L’acquisizione di una copia del dispositivo o solo di parte dei dati di interesse garantisce che ogni singolo bit del supporto originale venga replicato, e che le successive operazioni (svolte sulla copia) non vadano in alcun modo a modificare, alterare, i dati originali e lo stato del dispositivo. Questi strumenti permettono (ove possibile)[5] di creare una copia esatta bit a bit chiamata “immagine forense/copia forense” del dispositivo di interesse. Questa copia è un clone perfetto, che include non solo i file visibili, ma anche i dati cancellati, i file di sistema, e lo spazio non allocato. L’integrità della prova è garantita attraverso il calcolo di un hash crittografico (come MD5 o SHA-256), un’impronta digitale unica che assicura che il dato originale non sia stato alterato.
analisi, ricerche e reportistica
Ma lo spazio maggiore è dedicato agli strumenti dedicati all’analisi dei dati: Una volta acquisita l’immagine forense, l’analista utilizza le potenti funzionalità di queste suite per esaminare i dati. Questi strumenti permettono, di:
- Recuperare dati cancellati, in pratica (ove possibile) cercano e recuperano file che sono stati eliminati dall’utente, ma che sono ancora fisicamente presenti sul supporto.
- Analizzare i metadati, ossia estrarre informazioni come data di creazione, modifica, e ultimo accesso di un file, che possono essere cruciali e strategiche per ricostruire una sequenza di eventi.
- Analizzare la cronologia di navigazione e le e-mail ricostruendo l’attività online dell’utente e analizzano la corrispondenza digitale.
- Effettuare ricerche avanzate ed approfondite, permettendo di cercare parole chiave o stringhe di testo anche all’interno di file compressi o in file di sistema.
Infine, vi sono strumenti di reportistica, in queste “suite” che offrono strumenti per generare rapporti dettagliati e professionali. Questi report documentano ogni passo dell’analisi, elencano le prove scoperte, e spiegano la metodologia utilizzata in un formato chiaro e comprensibile anche a chi non ha competenze tecniche, come un avvocato o un giudice. La qualità della reportistica è essenziale per garantire che le scoperte dell’analista siano ammissibili, comprensibili e persuasive in un contesto legale.
Rischi del “one-click” e scelte metodologiche
Nel chiedere scusa per la sinteticità (ho trattato e tratterò questi temi in maniera più approfondita in altri contesti), spero che il “panorama” tracciato sia sufficientemente eloquente ad evidenziare come le competenze tecniche necessarie a maneggiare con sapienza, cura ed attenzione strumenti così complessi sia tutt’altro che questione di “lana caprina”. Invero il rischio in agguato (fortemente agevolato dall’avvento dell’Intelligenza Artificiale) è quello del ricorso a strumenti “One-click” un tasto e via! Per i quali non metto in dubbio l’efficienza e l’efficacia, ma il forte dubbio che chi spinge il tasto, non sa cosa e come lo strumento stia compiendo una certa azione, rimane! Questo è forse l’aspetto più drammatico, laddove poi “domani” l’operatore dovrà spiegare come si sia pervenuti ad un certo risultato e la risposta sarà un laconico “ho fatto click”.
Di qui un ulteriore elemento e punto che grida a gran voce la necessità di elevate ed approfondite competenze tecniche (e vedremo non solo) in capo all’esperto forense digitale di oggi e del futuro. Se da un lato è impensabile una conoscenza approfondita di tutti gli strumenti e mezzi a disposizione dall’altro è innegabile come invece un “minimo” di conoscenza sia non richiesta ma necessaria per poter rispondere a quelle domande (classiche del dibattimento) ove le parti chiedono perché sia stato preferito uno strumento ad un altro e perché quella tecnica sia stata ritenuta maggiormente idonea, efficiente ed efficace rispetto ad un’altra.
Quando la conoscenza tecnica incontra il diritto processuale
Ma questa “conoscenza” vedremo non è limitata solo al campo tecnico-scientifico, anche la sfera giuridica che avvolge questi ambiti incide oggi sempre più pesantemente sugli esiti di quella che siamo soliti definire “indagine digital-forensics”.
La conoscenza giuridica e processuale è fondamentale nella digital forensics perché ogni azione compiuta durante un’indagine ha implicazioni legali dirette, dalla raccolta delle prove alla loro ammissibilità in un procedimento. Ignorare, sottovalutare, questi aspetti può compromettere l’intera indagine e rendere inutili non solo le prove raccolte, ma spesso giorni, mesi di duro lavoro di raccolta e analisi.
Le digital evidence: trattamento e garanzie processuali
Un’indagine di digital forensics non è solo un’operazione tecnica, ma anche e soprattutto un “processo” legale. Le prove digitali, come file, e-mail, o dati di navigazione, sono considerate alla stregua di qualsiasi altra prova fisica e la loro particolare natura (sequenze di bit e alta volatilità) richiede attenzioni e cure che vanno ben oltre a quelle di riporre il “reperto” dentro un sacchetto antieffrazione.
Le cosiddette “digital-evidence”, devono essere “trattate” seguendo procedure rigorose che ne garantiscono la loro autenticità e integrità durante l’intero ciclo che le coinvolge. Dalla loro individuazione alla loro presentazione al dibattimento tutte le fasi che le coinvolgono (individuazione, raccolta, esame e presentazione) devono essere caratterizzate da rigorose procedure che ne assicurino sempre l’autenticità ed integrità.
I pilastri giuridici della digital forensics
Ecco alcuni, dei motivi principali per cui la conoscenza del diritto è indispensabile per chi si occupa di digital forensics:
- validità delle prove: le prove raccolte senza rispettare le normative legali, vigenti, come quelle sulla privacy (GDPR in Europa) o sulla riservatezza delle comunicazioni, possono essere considerate “il frutto dell’albero avvelenato” (in gergo legale, fruit of the poisonous tree). In altre parole, se l’indagine iniziale è illegale, anche le prove che ne derivano rischiano di essere inammissibili in tribunale. Accedere a un computer in assenza di una legittima autorizzazione per quel caso, non solo può rendere inutilizzabili le prove raccolte, ma può configurare in capo all’operatore responsabilità penalmente rilevanti (accesso abusivo – art. 615 ter C.P.);
- catena di custodia: è un concetto fondamentale che riguarda la tracciabilità delle prove, se un tempo (2009) nel “dibattimento” si combatteva sulla funzione crittografica di hash (MD5) che era stata dichiarata “cryptographically broken and unsuitable for further use” (crittograficamente fallimentare e inadatta all’uso)[6], oggi il dibattimento si è spostato sull’adozione ed incorruttibilità della catena di custodia. La prima domanda posta dal difensore è “avete adottato una robusta catena di custodia? Perché vedo dagli atti che dalle ore x alle ore y del giorno z non si sa chi ha consultato il reperto k”. I professionisti della digital forensics devono documentare ogni passaggio: chi ha avuto accesso alla prova, quando, e per quale motivo, solo questo garantisce che la prova non sia stata alterata o contaminata nel suo “ciclo” dalla individuazione alla presentazione in Tribunale e permette altresì attraverso questo “sistema di tracciabilità”, di attribuire correttamente le responsabilità di eventuali modificazioni ed alterazioni in capo ai responsabili effettivi[7]. Una documentazione incompleta o imprecisa della catena di custodia al di là dell’impossibilità di poter rispondere alla domanda di chi, come e perché ha maneggiato quella digital-evidence, può portare ad ingenerare dubbi sulla autenticità, genuinità ed immodificabilità della stessa con le ovvie e conseguenti censure processuali.
- autorizzazione e mandato: Gli esperti di digital forensics devono sapere quali sono i loro limiti legali e quando è necessario ottenere un’autorizzazione per procedere con l’indagine. L’affermazione che l’acquisizione di dati digitali non possa avvenire arbitrariamente, ma debba essere sovente supportata da un’autorizzazione formale, si radica in principi giuridici fondamentali che fungono da pilastro per la tutela delle libertà individuali in uno stato di diritto. L’ autorizzazione non è un mero tecnicismo burocratico, ma riflette l’esigenza di bilanciare due interessi primari: la necessità di un’efficace attività investigativa e la protezione dei diritti inviolabili, dal punto di vista accademico, l’intera materia si inserisce nel più ampio dibattito sul principio di legalità e sulla riserva di giurisdizione. La ricerca di prove digitali, che siano contenute in un server, un dispositivo personale o un account cloud, equivale a una perquisizione o a un sequestro nel mondo fisico; pertanto, l’accesso a tali dati non è mai un atto discrezionale dell’investigatore, ma deve essere rigorosamente regolamentato e, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici moderni, richiede un decreto di perquisizione e sequestro emesso dall’autorità giudiziaria competente[8]. Questo requisito non è un ostacolo all’indagine, ma una garanzia che l’atto coercitivo di acquisizione della prova sia legittimo e proporzionato. L’esperto di digital forensics, in questo contesto, assume un ruolo cruciale che va oltre la mera competenza tecnica, egli deve agire come un ausiliario di giustizia, comprendendo che ogni sua mossa è vincolata da un quadro normativo ben delineato e preciso, scevro di improvvisazioni e soluzioni empiriche. La sua professionalità si manifesta anche nel saper riconoscere i limiti del proprio mandato, ad esempio, non accedendo a dati o sistemi non espressamente menzionati nell’autorizzazione, o non superando le restrizioni temporali e spaziali imposte dal giudice. La sua ignoranza del diritto non è considerata un’attenuante; al contrario, può compromettere la validità dell’intero processo investigativo. In sintesi, la necessità di un decreto per l’accesso ai dati digitali è l’espressione di un sistema giuridico che, per definizione, subordina il potere investigativo al controllo giurisdizionale. Questa prassi tutela la presunzione di innocenza e l’equità del processo, assicurando che le prove digitali siano raccolte in modo lecito e, di conseguenza, possano essere considerate affidabili e ammissibili in sede processuale. La collaborazione tra l’esperto tecnico e l’autorità giudiziaria è quindi non solo opportuna, ma essenziale per la costruzione di un impianto probatorio solido e inattaccabile.
- reportistica e testimonianza: Un’altra fase cruciale, spesso sottovalutata è la redazione di un rapporto tecnico-scientifico- legale che descriva in dettaglio le operazioni svolte e le “scoperte” fatte. Questo rapporto deve essere chiaro, obiettivo e scritto in modo che possa essere compreso da un giudice o da una giuria, che non sono quasi mai, esperti tecnici. L’esperto di digital forensics è chiamato a testimoniare in tribunale come testimone esperto, spiegando il processo di indagine e le conclusioni raggiunte. Uno degli aspetti più delicati e, al contempo, cruciali del ruolo è la capacità di tradurre il “linguaggio” tecnico-scientifico in un formato comprensibile “potabile” per un pubblico non specializzato, come giudici, avvocati e giurie. Va evitato il “gergo” l’esperto deve bandire il tecnicismo eccessivo, optando per un linguaggio chiaro, conciso e accessibile a tutti, l’obiettivo è farsi capire, comprendere, non dimostrare la propria superiorità tecnica, per questo per esempio vanno utilizzate “analogie e metafore”. Spiegare un attacco di phishing o il funzionamento di un server cloud può essere facilitato ricorrendo a metafore o a schemi e grafici che semplifichino concetti astratti ed elevati tecnicismi spesso incompresi dal cosiddetto “uomo della strada”. Piuttosto che dilungarsi su ogni singolo byte analizzato[9], l’esperto dovrebbe evidenziare il significato delle scoperte e le loro implicazioni legali e investigative nello specifico contesto: “Questo log dimostra che l’accesso è avvenuto da qui” è più efficace di una disquisizione tecnica sul formato, tipologia e funzionalità del log. Infine, l’esperto deve essere pronto a difendere tecnicamente e scientificamente le proprie conclusioni, spiegare le metodologie utilizzate e rispondere a domande complesse in modo calmo, professionale e autorevole, supportando le proprie considerazioni sulla scorta di bibliografia accreditata a livello accademico, ma anche delle più recenti scoperte scientifiche. Invero la tecnologia e l’informatica corrono ad una velocità diversa rispetto allo studio scientifico ed accademico, questo non deve essere di impedimento al ricorso a recenti scoperte ed innovazioni a condizione che le stesse trovino nella comunità scientifica di riferimento solide basi di accettazione e condivisione. Sarebbe quanto meno imbarazzante la condanna di un individuo sulla scorta del risultato di un vecchio “tool” di analisi incapace di analizzare gli “artifacts” prodotti da quel sistema e che a seguito di analisi attraverso un nuovo strumento capace di “parsare” questi artefatti inficia o ribalta le precedenti conclusioni! Del resto, è cronaca che molti processi a seguito di innovazioni tecnologiche e scientifiche capaci di analizzare meglio ed in maniera più approfondita “le prove”, hanno portato ad altre conclusioni. Il mondo dell’informatica è particolarmente sensibile a questi aspetti, ogni giorno nascono “tool” capaci di esplorare ciò che prima era impossibile “sondare” o non veniva considerato utile per le determinazioni processuali. Spesso ci si basa su foto, file di testo, video ossia di quello che siamo soliti “visualizzare” in modo “umano” sui nostri dispositivi; tuttavia, ogni dispositivo per varie ragioni nasconde al proprio interno milioni di altre informazioni all’apparenza illeggibili ed insignificanti ma che, se sapientemente “lette” ed interpretate potrebbero fornire “un alibi” di ferro o ribaltare qualche facile conclusione indotta dal tool “one click”
Il detective digitale: ricostruire narrazioni da frammenti elettronici
I punti finora sollevati rappresentano l’essenza stessa dell’investigazione forense digitale moderna, elevandola oltre il semplice recupero di dati per collocarla nell’ambito di una vera e propria disciplina di ricostruzione narrativa. Si tratta di un processo che richiede non solo competenza tecnica e scientifica, ma anche una profonda capacità di pensiero analitico e strategico, superando il concetto antiquato di un “cercatore di file” per abbracciare il ruolo di uno “storico” degli eventi digitali. La digital forensics non si limita a individuare e recuperare un singolo documento[10], ma si impegna a tessere una narrazione forense coerente e cronologica degli eventi, capace di rispondere a delle domande e capace di affermare un’qualcosa con un sufficiente grado di “probabilità”. Questo approccio è cruciale perché un file da solo non sempre fornisce il contesto necessario per comprendere un’azione, è qui che l’esperto di digital forensics, operando come un investigatore sulla “scena del crimine virtuale”, raccoglie e analizza una moltitudine di artefatti digitali che, presi singolarmente, potrebbero sembrare insignificanti. Egli esamina i log di sistema per tracciare gli accessi e le modifiche ai file, i dati di navigazione web per capire l’intento e le ricerche effettuate, le chat e le comunicazioni per stabilire le interazioni tra gli attori, e i metadati dei file per determinare quando e da chi un documento è stato creato, modificato o visualizzato. Questa meticolosa raccolta di informazioni consente di costruire una timeline forense dettagliata, che visualizza in modo preciso la sequenza di azioni, svelando la dinamica di un’intrusione, la cronologia di un furto di dati o la preparazione di un attacco informatico. La sfida principale in questo processo risiede nella capacità di collegare dati apparentemente non correlati, identificando le dipendenze e le interconnessioni tra i diversi artefatti per ricostruire il quadro completo e fornire risposte concrete e inconfutabili al chi, cosa, come, quando, dove e perché?
Sfide contemporanee: dispositivi mobili, cloud e attacchi complessi
Questo esercizio è tutt’altro che semplice, l’evoluzione della tecnologia ha reso le indagini di digital forensics significativamente più complesse e sfidanti, richiedendo agli esperti di pensare al di fuori dei paradigmi tradizionali.
I crimini informatici di oggi spesso coinvolgono una molteplicità di dispositivi e piattaforme, trascendendo i confini fisici e giurisdizionali. Ad esempio, il recupero di dati da dispositivi mobili, come smartphone e tablet, presenta sfide uniche a causa della crittografia, dei sistemi operativi proprietari e della natura effimera dei dati. L’analisi dei dati in cloud, invece, richiede l’applicazione di principi forensi a un ambiente virtuale, dove i dati sono distribuiti su server in diverse località geografiche, complicando non solo la raccolta delle prove ma anche il rispetto delle normative legali internazionali. Ancora più complessa è la gestione delle indagini su attacchi complessi, come quelli di ransomware o di spionaggio industriale, che possono coinvolgere più sistemi, server, e attori distribuiti su diverse giurisdizioni. In tali scenari, l’esperto deve dimostrare una visione strategica, coordinando le indagini su più fronti e lavorando in collaborazione con team legali e altre agenzie per garantire che ogni passaggio rispetti le leggi locali e internazionali. Questo richiede una profonda comprensione non solo della tecnologia, ma anche del contesto operativo e giuridico in cui l’indagine si svolge, confermando che il ruolo dell’analista forense digitale è diventato quello di un risolutore di problemi multidisciplinare e di un pensatore strategico.
Formazione permanente: necessità non negoziabile
In un’era di rapida evoluzione tecnologica e di dinamici mutamenti del panorama giuridico[11], la figura dell’esperto di digital forensics non può più essere concepita come un mero tecnico specializzato, ormai il suo ruolo si è evoluto in quello di un professionista multidisciplinare, la cui efficacia investigativa e credibilità processuale dipendono intrinsecamente dalla capacità di dimostrare e ormai anche “certificare” un aggiornamento continuo. Questa necessità non deriva da un semplice desiderio di rimanere al passo con i tempi, ma dalla natura stessa delle sfide che si trova ad affrontare, che richiedono una sintesi organica di competenze scientifiche, tecniche e giuridiche. L’ecosistema digitale è in perenne trasformazione, ogni ora sorgono nuovi dispositivi, patch di sicurezza, minacce ciascuna con proprie peculiarità che incidono sulla modalità di acquisizione e analisi dei dati.
L’esperto forense deve quindi possedere una profonda conoscenza non solo delle architetture hardware e software, ma anche delle più recenti tecniche di crittografia, delle metodologie di occultamento dei dati e delle infrastrutture cloud. L’analisi di un caso di frode informatica, ad esempio, può richiedere l’estrazione di dati da un’applicazione di messaggistica istantanea di ultima generazione, mentre l’investigazione di un attacco ransomware può necessitare della comprensione delle vulnerabilità di un sistema IoT.
L’aggiornamento come garanzia di giustizia
Non aggiornarsi equivarrebbe a utilizzare strumenti obsoleti per risolvere problemi contemporanei, rendendo l’indagine inefficace e le prove potenzialmente inammissibili. La formazione continua diventa, quindi, un investimento essenziale nella strumentazione intellettuale dell’analista, permettendogli di affrontare scenari investigativi sempre più complessi e diversificati.
Parallelamente all’evoluzione tecnologica, il quadro giuridico che regola le indagini forensi digitali è in costante ridefinizione, in un contesto nel quale sempre più spesso la “giurisprudenza” sul caso specifico tenta di tracciare nuove procedure e paradigmi[12]. Leggi sulla privacy, come il GDPR in Europa, direttive sulla cyber security, e normative nazionali che disciplinano l’acquisizione di prove elettroniche sono soggette a revisioni e interpretazioni giurisprudenziali, per questo l’esperto forense deve rimanere costantemente aggiornato su tali evoluzioni per garantire che ogni sua azione, dalla fase di identificazione alla presentazione del rapporto, rispetti i principi fondamentali dell’ordinamento.
La conoscenza delle sentenze rilevanti e delle nuove disposizioni legislative non è un’opzione, ma un requisito fondamentale per la credibilità e l’ammissibilità del suo operato ma anche per sapersi “orientare” in un eterogeneo mondo “digitale” di casi ove l’applicazione di rigide procedure e tecniche risulta spesso inefficace ed inefficiente. La sua testimonianza in tribunale, infatti, non si basa solo sulla perizia tecnica, ma anche sulla capacità di giustificare le procedure adottate alla luce del quadro normativo applicabile, dimostrando una comprensione profonda delle implicazioni legali delle proprie scelte metodologiche. La vera eccellenza nella digital forensics si raggiunge nel punto di intersezione tra la competenza tecnica e quella giuridica, è qui che l’esperto forense di successo dimostra non solo di sapere come estrarre un dato da un dispositivo, ma sa anche se è legalmente autorizzato a farlo e come garantire la sua integrità per la catena di custodia, solo così diventa “ponte tra la scienza e il diritto”, capace di tradurre i complessi dettagli tecnici di un’indagine in un linguaggio giuridico comprensibile per giudici e avvocati, e di applicare i principi del diritto all’intricato mondo dei bit e dei byte.
Questa integrazione di saperi non è innata, ma si costruisce attraverso un percorso di formazione e aggiornamento permanente che trascende i confini disciplinari tradizionali. In un mondo in cui il crimine informatico evolve a ritmi esponenziali, la figura dell’esperto forense digitale che si aggiorna costantemente non è solo auspicabile, ma assolutamente necessaria per garantire la giustizia e la sicurezza nella società digitale.
Conclusioni
Concludendo, la figura dell’esperto forense digitale emerge non come un semplice esecutore tecnico, ma come una sentinella indispensabile e un interprete cruciale nella complessa intersezione tra l’evoluzione tecnologica e l’applicazione del diritto. La vera eccellenza in questo campo non risiede nella padronanza di un singolo tool o di una specifica normativa, ma nella capacità di integrare in modo sinergico conoscenze tecniche, metodologie scientifiche e rigorosi principi giuridici, solo questa unione di saperi, consentirà all’esperto di superare le sfide poste dai crimini complessi e transnazionali, di decifrare il linguaggio binario e di trasformarlo in una narrazione coerente e inconfutabile per l’aula di tribunale.
Note
[1] Ingegneria sociale: È la manipolazione psicologica delle persone per indurle a compiere azioni o divulgare informazioni riservate. Non si basa su vulnerabilità tecniche, ma sulla fiducia, la curiosità o la paura delle vittime.
Phishing: È una forma di frode online in cui un attaccante si spaccia per un’entità legittima (come una banca, un’azienda o un servizio web) per rubare dati sensibili come password, numeri di carte di credito e altre informazioni personali, spesso tramite e-mail o messaggi ingannevoli.
Malware: Il termine è l’abbreviazione di “malicious software”. Si tratta di qualsiasi programma informatico creato con l’intento di danneggiare un sistema, rubare dati, o ottenere il controllo non autorizzato di un dispositivo. Esempi comuni includono virus, worm, trojan e ransomware.
Cyber Kill Chain: È un modello di intelligenza sulla sicurezza informatica che descrive le fasi tipiche di un attacco cyber, dall’inizio alla fine. Aiuta gli analisti a identificare e bloccare gli attacchi in ogni loro fase. Le sue sette fasi sono: ricognizione, armamento, consegna, sfruttamento, installazione, comando e controllo, e azioni sugli obiettivi.
[2] Si pensi alla complessità del mondo “Mobile” degli smartphone, ove due sistemi operativi dominano il mercato, Android e iOS, rappresentando quasi la totalità dei sistemi operativi utilizzati dagli smartphone prodotti oggi. Tuttavia, è noto agli addetti ai lavori come esistono diverse versioni di Android. Quali: Android Open Source Project (AOSP) che è la versione “pura” e non modificata di Android, resa disponibile da Google. Poi vi sono le cd. versioni dei produttori, invero la maggior parte dei produttori di smartphone (come Samsung, Xiaomi, ecc.) prende la versione AOSP e la personalizza, aggiungendo la propria interfaccia utente, software preinstallato e funzionalità specifiche per i loro dispositivi. Questo porta a interfacce utente come la One UI di Samsung o la MIUI di Xiaomi, che sono essenzialmente personalizzazioni di Android. Ma non vanno dimenticati Android GO che è una versione ottimizzata di Android, più leggera, pensata per smartphone di fascia bassa con meno RAM e storage. Ed anche Android TV, Wear OS, Android Auto, ovvero versioni di Android appositamente adattate per altri tipi di dispositivi, come smart TV, smartwatch e sistemi di infotainment per auto.
[3] https://www.youtube.com/watch?v=ZgpVlqEPC_g&t=3s (min. 18.35 – 19.00)
[4] “Una cassetta degli attrezzi gratuita per la digital-forensics” (pag. 231-266) – in “Intelligenza artificiale Cybersecurity e Digital evidence “IISFA Memberbook 2025 – IISFA Educational 2025.
[5] Il riferimento è al mondo “Mobile” ove la copia forense a differenza della “classica” copia bit a bit si differenzia in Acquisizione Logica che è la modalità di estrazione più veloce e meno invasiva. Si basa sulla comunicazione con il sistema operativo del dispositivo (iOS o Android) per copiare solo i dati visibili e accessibili all’utente. Questi dati includono SMS, contatti, calendario, registro chiamate, foto, e file visibili nelle cartelle utente. Non permette il recupero di dati cancellati o di file di sistema nascosti. È una sorta di “backup” forense, utile per indagini rapide che non richiedono un’analisi approfondita e allorquando risulta essere l’unica opzione non avendo a disposizione la strumentazione necessaria per effettuare un’Acquisizione del File System, questa tecnica è più profonda della copia logica. L’analista ottiene l’accesso al file system completo del dispositivo, inclusi i file di database delle app, i file di configurazione e le cache. Permette di recuperare una maggiore quantità di informazioni, comprese alcune che non sono immediatamente visibili all’utente. Spesso, questa modalità può permettere di dati cancellati attraverso l’analisi dei database delle APP. Infine vi è l’Acquisizione Fisica che è la tecnica più completa e complessa. Consiste nella creazione di una copia bit a bit dell’intera memoria del dispositivo, come un’immagine forense di un hard disk. Questa operazione non si basa sul sistema operativo e permette di accedere a ogni singolo settore di memoria, compresi i dati cancellati e lo spazio non allocato. L’acquisizione fisica è l’unica che garantisce l’accesso a tutte le informazioni, ma è più difficile da realizzare e richiede strumenti specializzati e non è sempre effettuabile.
[6] Nel fare rimando qui per eventuali approfondimenti https://www.kb.cert.org/vuls/id/836068 , segnalo senza paura di smentita che è ancora ampiamente utilizzato in combinazione con altre funzioni crittografiche (SHA1- SHA256) dalla maggior parte delle “suite” dedicate alla digital-forensics.
[7] Giusto per dare un’idea: l’agente A individua la prova sulla scena del crimine; l’agente B si occupa della acquisizione, raccolta, repertamento della stessa; l’agente C si occupa della conservazione dei reperti presso il comando; l’agente D la ritira ed esamina; l’agente E redige il rapporto finale. 5 soggetti diversi (ho escluso gli eventuali consulenti che potrebbero intervenire per non esaurire le lettere dell’alfabeto…) l’ho fatta facile ma è già complessa. 5 soggetti hanno “maneggiato” quella digital-evidence è fondamentale sapere chi l’ha avuta tra le mani, perché? E cosa ci ha fatto!
[8] Per chi volesse approfondire (chiedendo scusa della sintesi): https://www.agendadigitale.eu/giornalista/pier-luca-toselli/
[9] Salvo sorgano “eccezioni” o contestazioni tecniche dalla controparte.
[10] Questo certo può accadere in quei casi in cui “il file” rappresenta la pistola fumante di quel crimine, sono casi rari ma esistono; tuttavia, la maggior parte dei casi cerca negli artefatti digitali la ricostruzione di un evento, il chi, dove, cosa, come, quando e perché.
[11] Rimando a nota 8.
[12] Mi riferisco alla copia mezzo, di cui trovate miei approfondimenti in rete: “toselli pier-luca copia mezzo” ed anche a quanto scritto a 4 mani con E. Russo in Perquisizioni informatiche, sequestro dei reperti e altri saggi: IISFA Memberbook 2024 IISFA Educational 2024 (pag.53-120 – Capitolo terzo – Lo stato dell’arte delle perquisizioni informatiche e sequestro dei reperti. Nuovi paradigmi.












