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Google sotto la lente Ue: il ranking che penalizza editori e pluralismo



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L’istruttoria UE su Google riapre il nodo del potere algoritmico: la retrocessione dei contenuti incide su libertà economica degli editori e pluralismo. Con il DMA, ranking e trasparenza diventano terreno di verifica tra proporzionalità, non discriminazione e accountability

Pubblicato il 18 nov 2025

Federica Giaquinta

Consigliere direttivo di Internet Society Italia



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La retrocessione dei contenuti Google è al centro di un’istruttoria della Commissione europea che potrebbe ridefinire i confini tra legittimo esercizio del controllo editoriale e abuso di posizione dominante nell’ecosistema digitale.

L’algoritmo come strumento di potere di mercato

L’apertura dell’istruttoria formale da parte della Commissione europea sulle politiche di classificazione dei risultati di ricerca di Google offre quindi un terreno privilegiato per interrogarsi, in chiave giuridica, sul modo in cui l’algoritmo divenga oggi il luogo effettivo di esercizio del potere di mercato e, potenzialmente, di abuso di una posizione gatekeeper in quanto la retrocessione dei contenuti editoriali nei risultati di ricerca – specie quando e se collegata a scelte discrezionali e poco trasparenti in ordine alla “reputazione” dei siti o alla presenza di materiali di partner commerciali – non si esaurisce in una mera questione tecnica di ranking, ma tocca il nucleo della libertà economica degli editori e, per riflesso sistemico, l’architettura stessa del pluralismo informativo nello spazio digitale europeo.

Nel merito della fattispecie esaminata, infatti, il Digital Markets Act, nel qualificare taluni grandi operatori come gatekeeper, li riconosce quali infrastrutture di accesso imprescindibili per il mercato e per gli utenti, ponendoli al crocevia tra dinamiche concorrenziali e garanzie di cittadinanza informativa ed è proprio in questo scenario che diventa chiaro quanto la scelta dell’algoritmo di promuovere o retrocedere determinati contenuti non sia mai neutra, ma si traduce in una modulazione della visibilità e dunque della possibilità stessa per gli editori di intercettare il pubblico, monetizzare i propri investimenti e preservare modelli di business già fragili.

Traffico di ricerca e impatto sugli editori digitali

Quindi se il traffico derivante dai motori di ricerca rappresenta una quota decisiva della domanda effettiva di informazione, allora il declassamento sistematico di certe pagine, specie se riconducibile a criteri opachi o asimmetricamente applicati, può integrare un effetto restrittivo paragonabile, in termini di impatto, a forme più tradizionali di esclusione dal mercato.

Reputazione del sito e discriminazione indiretta degli editori

Il punto è comprendere se la politica di retrocessione dei contenuti possa configurare un uso distorto del potere gatekeeper, non tanto perché l’operatore non dovrebbe contrastare spam o comportamenti manipolativi, quanto perché la linea di confine tra legittima tutela dell’integrità del servizio e selezione discriminatoria degli operatori economici diventa labile, affidata a parametri interni difficilmente sindacabili dall’esterno, infatti la nozione di “reputazione del sito“, se tradotta in regole di ranking che colpiscono in modo sproporzionato o indifferenziato gli editori che ospitano contenuti di terzi, rischia di trasformarsi in una particolare categoria giuridicamente rilevante: non più come semplice criterio tecnico, ma come possibile veicolo di discriminazione indiretta, con conseguenze sulla capacità degli editori di competere su basi eque.

L’algoritmo come regolatore privato del mercato delle idee

Ciò che è in gioco, pertanto, non è soltanto la conformità formale agli obblighi del DMA, trasparenza, non discriminazione, divieto di auto-preferenza, ma la funzione sostanziale dell’algoritmo come regolatore privato di accesso al mercato delle idee e dell’informazione.

Il motore di ricerca, nell’ecosistema digitale contemporaneo, opera ovviamente come un’infrastruttura quasi-essenziale: rende reperibili i contenuti, li ordina secondo una gerarchia che l’utente tende ad accettare come neutrale, orienta l’attenzione e, di conseguenza, il valore economico e simbolico di ciò che appare o scompare dalle prime pagine di risultati – quindi se un editore viene retrocesso non per la scarsa qualità intrinseca del suo prodotto informativo, ma per la presenza di modalità legittime di monetizzazione o di partnership, allora l’intervento algoritmico si traduce in un condizionamento delle scelte imprenditoriali, imponendo di fatto un modello di business “preferito” dal gatekeeper; tale scenario non può quindi non sollevare interrogativi delicati in tema di libertà di iniziativa economica e di autonomia editoriale: fino a che punto un soggetto privato, per quanto regolato, può definire in via unilaterale i parametri di legittimità delle strategie commerciali di un intero settore, specie quando da tali parametri dipende l’accesso effettivo al pubblico?

Equità e contestabilità nella regolazione dei gatekeeper digitali

La risposta del diritto europeo della concorrenza, integrato ora dal DMA, sembra orientarsi verso una crescente valorizzazione del principio di equità e contestabilità: non si tratta di negare al gatekeeper la facoltà di disciplinare il proprio servizio, ma di vincolarla a criteri di proporzionalità, necessità e non discriminazione, soggetti a un controllo pubblico più penetrante di quanto avvenisse in passato.

Trasparenza algoritmica e accountability delle piattaforme dominanti

L’indagine della Commissione assume così il valore di un banco di prova per la capacità dell’ordinamento di penetrare la “scatola nera” algoritmica, non solo chiedendo trasparenza ex post, ma pretendendo che, già in fase di progettazione e implementazione delle politiche di ranking, siano incorporati principi di accountability e di tutela del pluralismo ed è in questo passaggio che si inserisce la dimensione, per così dire, “simbiotica” della riflessione: l’algoritmo non è un’entità autonoma, ma il prodotto di un progetto industriale, di una governance aziendale, di scelte di design che incorporano valori, priorità e strategie competitive, pertanto l’ordinamento, nel momento in cui riconosce il ruolo centrale di tali piattaforme, non può limitarsi a un controllo ex post delle condotte più eclatanti, ma deve senz’altro sviluppare strumenti per valutare l’impatto sistemico delle politiche interne sui mercati collegati, in particolare su quello dell’informazione.

Pluralismo informativo e concentrazione del potere digitale

In questo senso, la retrocessione dei contenuti editoriali diviene un indicatore sintomatico di come la concentrazione del potere di intermediazione digitale possa riverberarsi sulla qualità democratica dello spazio pubblico: se l’accesso alle notizie è mediato da un soggetto che seleziona e ordina in base a criteri non pienamente conoscibili, il rischio è che il pluralismo formale resti tale solo sulla carta, mentre nella pratica la dieta informativa degli utenti venga uniformata da logiche di ranking determinate da obiettivi prevalentemente economici.

Diritto della concorrenza e tutela del pluralismo come bene pubblico

Il diritto è, pertanto, chiamato a colmare un duplice scarto: da un lato, quello tra il linguaggio tecnico dell’algoritmo e le categorie tradizionali del diritto della concorrenza, dall’altro quello tra la dimensione individuale della tutela degli editori e la dimensione collettiva del pluralismo informativo come bene pubblico europeo. L’istruttoria su Google suggerisce che il legislatore europeo, con il DMA, abbia iniziato a riconoscere la necessità di un approccio strutturale che non si esaurisce nella repressione dell’abuso, ma mira a prevenire quelle configurazioni di potere che, pur formalmente legittime, producono effetti distorsivi sulla capacità di scelta dei cittadini e sulla tenuta di un ecosistema mediatico diversificato.

La sfida operativa della regolazione algoritmica europea

In prospettiva, la vera sfida sarà tradurre questa consapevolezza in parametri operativi: definire quando un criterio di ranking diventa discriminatorio, come misurare l’impatto economico della retrocessione di un sito, quali obblighi di motivazione algoritmica possano essere imposti a un gatekeeper senza snaturarne la capacità innovativa.

Sono senz’altro interrogativi che intrecciano concorrenza, diritti fondamentali e politica industriale e che rendono evidente come, nel contesto odierno, la riflessione giuridica sull’abuso di posizione dominante non possa più prescindere dall’analisi delle architetture tecniche che governano la visibilità online. In questa cornice, l’indagine della Commissione europea non è soltanto un procedimento sanzionatorio potenziale, ma un momento di verità per il modello europeo di regolazione dei mercati digitali: dal modo in cui verrà valutata la retrocessione dei contenuti dipenderà in larga misura la credibilità dello sforzo compiuto con il DMA per riequilibrare il rapporto tra potere algoritmico, libertà economica degli editori e salvaguardia del pluralismo informativo come presupposto irrinunciabile delle democrazie contemporanee.

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