Digitale anti-spreco

Semplificare conviene: risparmi enormi per lo Stato e dove trovarli



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L’Italia deve affrontare il problema del debito pubblico attraverso riforme strutturali. La semplificazione amministrativa e la digitalizzazione rappresentano strumenti essenziali per ridurre sprechi, migliorare l’efficienza e liberare risorse per la crescita economica del Paese

Pubblicato il 10 giu 2025

Enzo Chilelli

Presidente Comitato Esperti Fare Sanità



semplificazione amministrativa

La semplificazione amministrativa rappresenta oggi una delle sfide più urgenti per l’Italia, chiamata a ripensare il rapporto tra pubblica amministrazione, cittadini e imprese. Dopo quindici anni dalla prima spending review, il Paese si trova ad affrontare un debito pubblico cresciunto e inefficienze strutturali che richiedono interventi coraggiosi e innovativi.

Anatomia della spesa pubblica: le quattro anomalie di sistema

Sono passati, infatti, quindici anni da quando il termine “spending review” diventava un mantra nell’agenda di governo. L’Italia, e in particolare il Mezzogiorno, già indietro, bloccato da queste azioni ha ampliato il divario con le Regioni europee più avanzate ed è stato raggiunto e superato da molte nazioni appena entrate nell’UE.

La spesa aggredibile nella PA, si evidenziava all’epoca negli atti del Parlamento, era pari a circa 300 miliardi di euro e l’accento fu messo principalmente su quattro “anomalie di sistema”:

  • la struttura della spesa pubblica italiana, dove si spende meno della media dei Paesi OCSE per la fornitura di servizi pubblici e per il sostegno agli individui in difficoltà economica, mentre le spese per i consumi pubblici e per le pensioni superano la media europea; si tratta di due voci che valgono circa 400 miliardi di euro;
  • Pensioni: 338 miliardi di euro;
  • Interessi sul debito pubblico: 91 miliardi di euro;
  • Sanità: 139 miliardi di euro;
  • Istruzione: 73 miliardi di euro;
  • Politiche sociali: 110 miliardi di euro; 
  • Difesa: 21 miliardi di euro;
  • Ordine pubblico: 10 miliardi di euro;
  • Lavoro: 57 miliardi di euro;
  • Sviluppo delle imprese: miliardi di euro;
  • Energia: 30 miliardi di euro;
  • Altri settori: 109 miliardi di euro;
  • l’aumento del costo della produzione dei servizi pubblici (scuola, sanità, difesa, giustizia, sicurezza, ambiente), cresciute, secondo i dati ISTAT, in quarantacinque anni – dal 1979 al 2024 – molto più rapidamente dei costi di produzione dei beni di consumo privati (63 mld è la spesa per gli stipendi dei dipendenti pubblici);
  • l’aumento della spesa dovuto alle diffuse carenze nell’organizzazione del lavoro all’interno delle amministrazioni, alle politiche retributive ed alle attività di acquisto dei beni necessari per la produzione.
  • il distorto rapporto centro-periferia, per cui gli enti territoriali e locali esercitano le stesse funzioni, a prescindere dalle dimensioni e caratteristiche territoriali, con una automatica lievitazione di costi inutili e, spesso, con il blocco di infrastrutture necessarie per la creazione di lavoro.

Oltre la spesa inefficiente: giustizia lenta e carico fiscale

Tuttavia, i problemi del nostro Paese non sono solamente quelli della spesa inefficiente ma, anche la lentezza della nostra giustizia, quella della nostra macchina amministrativa, il carico fiscale necessario al funzionamento dello Stato (nel 2024 era pari ad oltre 1.108 miliardi ovvero oltre il 50% del PIL – circa 2.200 miliardi) sono ostacoli enormi per gli investimenti ed anche su questo sarebbe opportuno agire.

Il debito delle nuove generazioni e la lezione di Draghi

Dal 2020 sembra essere stato eliminato dall’agenda politica il termine spending review lasciando il campo all’ampliamento del debito pubblico per evitare crisi sociali irreversibili, tuttavia, usando le parole di Mario Draghi «Il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani ed è nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre».

Il debito pro-capite oggi è pari a circa 50.000 euro, in crescita!

Gli assi strategici per il cambiamento

Per dare seguito a queste parole serviranno energia e coraggio su tre assi:

  • garantire maggiore equità;
  • semplificare le procedure a favore di cittadini ed imprese. Già governata da norme (L. 35 del 2012 e Agenda per la semplificazione) che, anche se scarsamente attuate, cito testualmente, hanno la finalità di:
    • ridurre il carico burocratico eccessivo, e sempre più intollerabile a fronte della persistente crisi economica, che grava su cittadini e imprese;
    • liberare risorse per la crescita, dare certezza alle attività di imprese e ai diritti dei cittadini;
  • disegnare un Paese con più lavoro attraverso sviluppo di progettualità moderne.

Digitalizzazione tra promesse e contraddizioni

Tre assi su cui la digitalizzazione del Paese, che ha come scopo fondamentale la semplificazione del rapporto tra cittadini, imprese e PA, potrebbe fare moltissimo. Tuttavia, l’informatica appare oggi come un grande ammortizzatore sociale che spesso non semplifica ma gestisce esclusivamente i processi interni. La prova ne è che anziché avere un “Testo unico sul digitale” abbiamo ben 1.101 norme che lo richiamano, con l’assurdità che alcuni Ministeri derogano alle normative nazionali.

Riforme fiscali per maggiore equità

Proviamo ora ad individuare quali possono essere le azioni e le semplificazioni possibili che, senza grandi stravolgimenti normativi, possono garantire una maggiore equità e liberare risorse, sia umane che economiche, all’interno delle PA.

  • Oggi chi vive di rendita paga meno tasse di chi lavora (12,5% sulle rendite finanziarie, 10-20% sugli affitti, etc…) mentre sul lavoro gravano imposte ricomprese tra il 40 ed il 65% (ovviamente comprensive di previdenza).
  • Modificare drasticamente la normativa sulle vendite on-line, la cosiddetta Web-Tax. La tassazione deve avvenire nel Paese in cui si vende il prodotto (in fondo i siti web non sono altro che negozi virtuali)
  • Accelerare sulla riforma del valore catastale degli immobili (ancora oggi fermo ai “vani”), bisogna evitare che un appartamento in periferia paghi più imposte di un appartamento in centro città che ha un valore reale 6-10 volte superiore.
  • Modificare la legislazione fiscale con una norma che, come già avviene per le forniture alla PA, consenta a tutti i professionisti ed imprese di pagare le tasse solamente dopo l’incasso della fattura. Ovviamente lo stesso avverrà per chi riceve la fattura, ovvero la potrà mettere in detrazione solamente dopo l’avvenuto pagamento. Ora che la fatturazione elettronica è avviata. è una riforma semplice ed a costo zero per lo Stato che eliminerebbe moltissimo contenzioso (chi non ha una fattura pagata attualmente ha due problemi, uno con il cliente ed uno con lo Stato che pretende ugualmente il pagamento delle tasse su quelle fatture).

Diritto allo studio e semplificazione delle holding

  • Il diritto allo studio passa anche dal sostegno alle famiglie per i figli, bene l’assegno universale ma va integrato con politiche che rendano gratuito l’accesso alla scuola dal nido all’Università ed anche all’accesso ai libri di testo (troppi, troppo pesanti, troppo frammentati, poco digitalizzati).
  • Eliminare il vantaggio sulla tassazione delle holding (solo il 5% dei dividendi trasferiti è tassato).

Verso un sistema informativo nazionale unificato

  • Dare allo Stato (come peraltro già previsto dalla Costituzione, art. 117/r) la gestione delle banche dati strategiche (Anagrafe, Sanità, Protezione Civile, Ambiente, Catasto, etc…), un sistema informativo nazionale, sul modello previdenziale, motorizzazione civile o agenzia delle entrate, sarebbe molto più efficiente ed efficace di 21 o 7.907 sistemi informativi regionali o comunali. Ovviamente i singoli Comuni, Province e Regioni possono avere la possibilità di implementare i sistemi centrali con propri miglioramenti – utilizzando, ma non modificando, le basi dati nazionali.

La rivoluzione digitale dei servizi pubblici

  • Certa burocrazia non ha più senso di esistere. Invece che finire l’inchiostro delle stampanti e fare la fila in posta, agli sportelli delle pubbliche amministrazioni, delle ASL o dei gestori di servizi pubblici, si dovrà poter gestire online ogni aspetto del rapporto tra cittadini o imprese e pubblica amministrazione. Ovvero: semplificare le procedure amministrative a favore di cittadini ed imprese rendendoli “tutti” completamente digitali (dalla prenotazione al pagamento);
  • Dematerializzare rapidamente tutti i documenti della PA.
  • Tutti i pagamenti verso la PA, gli Enti e le Aziende pubbliche “devono” (che è diverso da “possono”) essere garantiti sul nodo dei pagamenti “PagoPA” aprendo ai canali di banche, tabaccai e poste (meno sportelli al pubblico, meno file per gli utenti, certezza per gli Enti di poter disporre degli importi riscossi nel giusto capitolo di bilancio eliminando il lavoro amministrativo di back office).

Titoli abitativi e certificazione anagrafica unificata

  • Unificare i titoli abitativi: i superbonus hanno messo in evidenza tutte le carenze di un sistema urbanistico antiquato, con la burocrazia che ha bloccato soprattutto le famiglie a basso reddito che non hanno potuto sanare i piccoli abusi (spesso commessi dai costruttori). Bisogna unificare i titoli abitativi: le planimetrie catastali devono avere il medesimo valore delle planimetrie comunali (basta integrare gli archivi).
  • Il certificato anagrafico: passare dalle 20 tipologie di certificati al certificato unico è un modo di risparmiare molto denaro e molta burocrazia, soprattutto se il certificato venisse obbligatoriamente rilasciato on-line evitando così perdite di tempo inutili per i cittadini.

Dirigenti pubblici: il paradosso della valutazione

A volte se le cose non funzionano non è sempre colpa della politica, basta guardare le differenze di servizi tra le varie articolazioni dello Stato (Ministeri, Enti, Regioni, Aziende sanitarie, Province e Comuni) alle diverse latitudini della penisola.

I dirigenti pubblici in Italia sono poco meno di 240.000 (fonte Corte dei conti 2023), risulta ad oggi il paradosso che, nonostante i sistemi di misurazione e valutazione della performance adottati dall’amministrazione pubblica, oltre il 90% di questi raggiunge la valutazione massima di risultato relativa all’attribuzione della retribuzione accessoria incentivante che ammonta a circa 1,5 miliardi l’anno. Eppure, il Paese soffre, è evidente che la PA non è al passo con l’innovazione necessaria, ed è altrettanto evidente che i processi di semplificazione non siano attuati in modo omogeneo.

Incentivi e responsabilità per la PA del futuro

Vanno quindi riscritte le norme relative ai piani di incentivazione per rendere tutti i dirigenti responsabili del buono o cattivo andamento dell’economia nazionale. Puntare alla riduzione del peso burocratico, alla semplificazione delle procedure di accesso per i cittadini e le imprese, alla semplificazione per i pagamenti, alla trasparenza non debbono più essere azioni solo normative ma devono diventare patrimonio condiviso per tutta la PA che, per l’appunto, vede i dirigenti come punto cardine del sistema amministrativo del Paese proprio perché negli anni ’90 si è necessariamente dovuta creare una netta distinzione tra politica ed amministrazione. Una proposta semplice potrebbe essere quella di mettere come primo obiettivo (senza il raggiungimento del quale non si accede al “premio”) la semplificazione di una procedura l’anno a favore di cittadini ed imprese. Probabilmente in pochi anni diventeremmo il Paese più digitalizzato d’Europa.

Riorganizzazione territoriale e gestione dei servizi

Se non è possibile ridurre il numero dei Comuni (al di sotto di un certo numero di residenti i Comuni non hanno la possibilità di offrire servizi adeguati ai propri cittadini), dare alle nuove Province la competenza dei servizi a rete dei propri territori, oggi prevalentemente in mano ai Comuni (strade, rifiuti, protezione civile, servizi anagrafici, servizi urbanistici, promozione e sviluppo territoriale, polizia municipale, assistenza sociale, etc…).

Terzo settore, scuola dell’infanzia e patrimonio pubblico

Essendoci già un finanziamento (5 per mille sul reddito delle persone fisiche) rivolto al Terzo settore (Onlus, Associazioni, Fondazioni), nessuna Pubblica Amministrazione dovrebbe poter finanziare (anche attraverso quote associative) tali entità se non a fronte di servizi certi e misurabili.

Dare al Ministero della pubblica istruzione la gestione degli asili nido (O-3 anni) e della scuola dell’infanzia (3-6 anni). Non ha alcun senso creare uffici preposti nei 7.900 comuni ed avere sugli stessi plessi responsabilità del Comune e della Provincia contemporaneamente.

Il patrimonio immobiliare pubblico mai dismesso: partendo dallo spreco, una delle azioni principali da completare è il censimento del patrimonio immobiliare delle Pubbliche Amministrazioni. Non è sufficiente verificare quali sono, vanno evidenziati gli usi ed i costi che gravano sugli stessi immobili. Poi va tutto pubblicato su un portale, con foto e localizzazione georeferenziata, per consentire a centri studi, università ed associazioni di cittadini di formulare proposte su utilizzi alternativi o alienazione.

Uno studio del Mef ci dice che lo Stato italiano nel suo complesso conta oltre 300 miliardi di patrimonio immobiliare pubblico. I tecnici ministeriali dicono che sono distribuiti su 325 milioni di metri quadrati di superficie. A questi dati mancano i valori di patrimoni delle x-IPAB, lasciti ai poveri dispersi tra strutture private e fondazioni. Tra gli asset figurano uffici per 70 miliardi, abitazioni e scuole per 50, caserme per 25 e impianti sportivi per oltre 4 miliardi.

Il valore delle strutture non utilizzate direttamente dalla pubblica amministrazione, non utilizzate o utilizzate dai privati, è pari a 57 miliardi di euro. Una somma ingente che potrebbe essere utilizzata per finanziarie investimenti pubblici utili ai fini della crescita economica, dell’housing sociale, degli alloggi per gli studenti universitari o, semplicemente, abbattere il debito pubblico, con un altro vantaggio, ridurre la spesa pubblica ricorrente per manutenzione di oltre 1.000 milioni l’anno.

Sprechi immobiliari e partecipazione cittadina

Aggiungiamo alla nota del Mef i dati dell’ultimo commissario alla spending review che indicano che tra Stato centrale, Regioni, Province e Comuni, la spesa per locazioni si aggira intorno ai 12 miliardi di euro annui.

Anche in questo caso sarebbe molto interessante ri-aprire un portale (fu fatto nel 2013 ma, nonostante i 100.000 suggerimenti, durò poco) in cui i cittadini possano rendere note eventuali situazioni di spreco suggerendo possibili soluzioni e condividendo tali informazioni con i media in modo da garantire qualche approfondimento. Oggi questa ricerca è stata lasciata ai media attraverso varie trasmissioni televisive (Report, Le iene, Striscia la notizia, etc…), ma sarebbe molto interessante rendere permanente questa pratica e dare alle varie università la possibilità di studiare ed elaborare le proposte arrivate.

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