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AI e lavoro, nessuna “grande sostituzione” (per ora): i dati Yale–Brookings



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Uno studio del Budget Lab di Yale, in collaborazione con Brookings, confronta i 33 mesi post-ChatGPT con precedenti ondate tecnologiche: la composizione delle occupazioni cambia un po’ più in fretta, ma non in modo anomalo e il trend precede l’AI generativa

Pubblicato il 6 ott 2025

Maurizio Carmignani

Founder & CEO – Management Consultant, Trainer & Startup Advisor



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Nei dati U.S. non si osservano effetti occupazionali “macro” riconducibili all’AI. Gli indici di esposizione, automazione e augmentation non spiegano variazioni di occupazione o disoccupazione. La dinamica settoriale (informazione, finanza, servizi professionali) era già in movimento prima di novembre 2022.

La vera lacuna è di misurazione: servono dati d’uso granulari e comparabili dai principali provider AI per distinguere ipotesi da impatti reali. Nel frattempo, attenzione a giovani laureati e ad adozioni aziendali molto eterogenee.

Cosa dice lo studio di Yale e Brookings (in breve)

L’analisi del Budget Lab di Yale mostra che, a trentatré mesi dal lancio di ChatGPT, non vi è alcuna discontinuità macro evidente. La composizione occupazionale degli Stati Uniti sta cambiando solo leggermente più in fretta rispetto ad altre epoche, ma resta sostanzialmente in linea con i cicli storici precedenti.

Gli indici elaborati per misurare esposizione alle tecnologie di AI (quelli di OpenAI) e il grado di automazione o augmentation dei compiti (quelli di Anthropic) non risultano associati a variazioni significative di occupazione o disoccupazione. In altre parole, non si registra alcuna erosione massiccia della domanda di lavoro cognitivo.

A livello settoriale, informazione, finanza e servizi professionali mostrano spostamenti più rapidi della media, ma l’analisi dimostra che questi trend erano già in corso prima di novembre 2022 e riflettono dinamiche di lungo periodo, come l’evoluzione dei modelli di business o i cicli economici.

Quanto ai giovani laureati tra i 20 e i 24 anni, i dati fanno emergere qualche segnale da monitorare con attenzione. Diversi studi suggeriscono che possano essere più vulnerabili a una transizione tecnologica, ma i dataset sono piccoli, rumorosi e il rallentamento generale del mercato del lavoro spiega gran parte delle differenze osservate. L’istantanea restituita da questa ricerca è di relativa stabilità. l’AI non ha ancora inciso sull’occupazione a livello sistemico, pur avendo acceso l’ansia sociale e mediatica su possibili impatti futuri.

Perché i dati mostrano stabilità

Non sorprende che i dati mostrino un quadro di relativa stabilità, la storia insegna che le grandi trasformazioni tecnologiche raramente producono effetti immediati sull’occupazione, ma richiedono anni o persino decenni per manifestarsi pienamente.

I cambiamenti più rapidi della composizione delle professioni non sono avvenuti durante la diffusione di Internet o dei personal computer, ma negli anni Quaranta e Cinquanta, quando shock bellici e demografici alterarono profondamente la struttura del lavoro.

È dunque coerente che l’AI, pur rappresentando un’innovazione potenzialmente dirompente, non abbia ancora determinato uno spostamento radicale nell’occupational mix. L’adozione diffusa richiede tempo, investimenti, riorganizzazione dei processi e formazione, proprio come accadde per le tecnologie digitali precedenti. Certo, una volta individuata la formula magica dell’adozione, è probabile che i tempi di adozione accelerino rispetto al passato.

Come è stata costruita la ricerca

Per comprendere se l’introduzione dell’AI generativa abbia modificato in modo significativo il mercato del lavoro, i ricercatori hanno utilizzato un indice di dissimilarità che misura quanto la distribuzione delle occupazioni cambia nel tempo, ponendo come punto di partenza novembre 2022 e confrontando i risultati con tre periodi di riferimento: la diffusione dei personal computer a metà anni Ottanta, l’avvento di Internet a fine anni Novanta e un periodo di controllo dopo il 2016.

A questo quadro si aggiungono due misure complementari, l’“exposure” elaborato da OpenAI, che stima la quota di compiti riducibili almeno della metà grazie a GPT-4 e quindi rappresenta un potenziale teorico e l’“usage” rilevato da Anthropic, che classifica i task osservati con Claude distinguendo tra automazione e potenziamento, fornendo un’indicazione dell’utilizzo reale, pur con i limiti di una base utenti fortemente concentrata su scrittura e programmazione. Insieme, questi strumenti offrono una lente utile ma ancora parziale per valutare l’impatto dell’AI sul lavoro.

I limiti delle misurazioni attuali

I limiti delle fonti disponibili emergono con chiarezza. Le metriche di “exposure” elaborate da OpenAI hanno un carattere puramente teorico, misurano il potenziale che l’AI potrebbe avere sui compiti ma non riflettono un utilizzo effettivo, con il rischio quindi di sovrastimare gli impatti occupazionali. Dall’altro lato, i dati di “usage” resi pubblici da Anthropic offrono un’indicazione più concreta, ma rimangono parziali perché dipendono dalla composizione della base utenti di Claude, fortemente orientata a scrittura e programmazione e dunque non rappresentano l’intero ecosistema dell’AI. Questa asimmetria mette in luce la necessità urgente di disporre di log comparabili e trasparenti da parte di tutti i principali provider, da ChatGPT a Copilot, da Gemini a Claude, per poter valutare in modo accurato l’impatto dell’AI sull’occupazione.

Cosa osservare nei prossimi 12 mesi

Nei prossimi dodici mesi sarà fondamentale osservare come l’adozione dell’AI evolverà non solo in termini di curiosità individuale, ma soprattutto come integrazione profonda nei processi aziendali, dagli ERP ai CRM, fino alle piattaforme di produttività. Particolare attenzione andrà data al grado di convergenza tra le misure di esposizione teorica e i dati di utilizzo reale, se questi indicatori inizieranno ad allinearsi, si potranno intravedere i primi effetti occupazionali concreti.

Un altro fronte da seguire è quello dei giovani laureati, per monitorare eventuali segnali di under-employment o difficoltà di inserimento nelle occupazioni più esposte. Dal punto di vista settoriale, i comparti dell’informazione, della finanza e dei servizi professionali continueranno a rappresentare laboratori privilegiati per cogliere i cambiamenti in atto. Infine, la dinamica della produttività sarà un test cruciale, laddove l’impiego di AI agent e strumenti di automazione mostrerà aumenti persistenti di output per ora lavorata, sarà plausibile attendersi nel medio periodo ripercussioni più visibili sull’occupazione.

Le implicazioni per l’Italia

Le implicazioni per il contesto italiano si possono leggere in modo chiaro. Non vi sono segnali che giustifichino allarmismi o narrazioni catastrofiche, più che al panico morale, occorre guardare a un’adozione consapevole, centrata sulla qualità dei processi e sulla formazione delle persone.

Questo significa che istituzioni come ISTAT, INPS, Unioncamere o Banca d’Italia potrebbero replicare l’approccio metodologico dell’analisi americana per monitorare in tempo reale l’evoluzione della composizione occupazionale, offrendo così strumenti concreti a imprese e policy maker.

Serve inoltre un impegno a livello europeo per garantire maggiore trasparenza sui dati di utilizzo dei sistemi di AI, chiedendo ai principali fornitori di condividere dataset comparabili che permettano di misurare l’impatto in modo oggettivo e non solo sulla base di proiezioni teoriche. Infine, particolare attenzione deve essere rivolta ai giovani laureati, con programmi mirati di transizione che facilitino l’ingresso in occupazioni ad alta esposizione e reale utilizzo dell’AI, così da ridurre il rischio di under-employment e valorizzare nuove competenze.

Una lettura critica dei dati

L’assenza di segnali macroeconomici non equivale a una garanzia che l’AI non produrrà impatti rilevanti in futuro. La storia delle tecnologie general purpose suggerisce che gli effetti più profondi arrivano con gradualità, quando gli strumenti non si limitano più a supportare singole attività ma si integrano nei flussi di lavoro e si trasformano in veri e propri agenti capaci di coordinare processi.

In questa fase, i dati mostrano stabilità, ma ciò non significa immobilismo, piuttosto indica che ci troviamo ancora in un momento preliminare, in cui l’adozione non è stata sufficiente a ridisegnare l’occupazione. La lettura critica da trarre è che il tempo gioca un ruolo decisivo e che occorre prepararsi, non cullarsi nell’illusione di una neutralità permanente.

Cosa fare ora per affrontare il futuro del lavoro

Ad oggi, l’AI non ha inciso in maniera dirompente sull’occupazione USA. I cambi osservati restano modesti e in gran parte già presenti prima del 2022, ma questo non deve essere interpretato come un invito alla quiete.

Governare la fase di implementazione, investire su competenze e processi e pretendere trasparenza nei dati d’uso sono condizioni essenziali per affrontare il futuro del lavoro senza cadere in narrazioni semplificate o binarie.

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