I dungeon interiori della nostra psiche funzionano esattamente come quelli videoludici: labirinti oscuri popolati da mostri simbolici, trappole emotive e segreti sepolti che attendono di essere portati alla luce.
La psicologia psicodinamica e il gaming condividono un linguaggio comune fatto di archetipi, sfide e possibilità di trasformazione.
Indice degli argomenti
Il dungeon come metafora della vita: regole chiare contro il caos esistenziale
I dungeon sono luoghi ostili: sotterranei labirintici pieni di mostri, trappole e segreti che i giocatori devono superare per raggiungere obiettivi, tesori o, più semplicemente, per passare alla prossima scena a continuare la storia.
Alcuni momenti della nostra vita assumono contorni altrettanto sfumati e risultano paralizzanti. In quelle circostanze ci farebbe comodo avere una buona armatura o qualche livello in più, degli strumenti simbolici che ci permettano di andare avanti con maggiore convinzione.
E, mentre il videogioco è benevolo nelle sfide, perché consente tentativi multipli e stabilisce regole chiare, la vita è cieca e non fa distinzioni per età, genere o abilità. Come affermava Huizinga (1938), il gioco introduce una cornice protetta, un “cerchio magico” entro cui le prove hanno senso e significato, a differenza delle difficoltà reali che spesso ci travolgono senza avvertimento.
In questo senso, il gioco può essere inteso come uno “spazio transizionale“, secondo la definizione di Winnicott (1971): un territorio intermedio tra realtà interna e mondo esterno, in cui l’individuo può sperimentare, creare e dare forma ai propri contenuti psichici in modo simbolico e sicuro. Il videogioco, come il gioco infantile, diventa così luogo di negoziazione identitaria e di ricostruzione dell’esperienza emotiva.
L’Ombra junghiana e i mostri che abitano l’inconscio
Immaginiamo allora un bambino armato solo di un esile ramoscello costretto a fendere le tenebre della solitudine e dell’angoscia provocata dalla perdita dei genitori. Certe sfide sono così sproporzionate da risultare scorrette, e finiscono per generare fantasmi interiori: dei bossi nascosti nelle camere più remote dei nostri dungeon personali, in attesa di essere affrontati.
Secondo Jung (1954), queste figure oscure appartengono al’archetipo dell’Ombra: contenuti rimossi e aspetti inaccettabili del Sé che, se ignorati, continuano ad agire nell’inconscio, ostacolando il nostro cammino. Non sorprende quindi che i dungeon interiori siano luoghi difficili da esplorare, capaci di confondere e ingannare, popolati tanto da mostri reali quanto da illusioni.
In questi spazi oscuri sperimentiamo blocchi di vario tipo: creativo, emotivo, comunicativo, decisionale. Come sottolinea Hillman (1975), tali impasse rappresentano segnali di profondità psichica, momenti in cui il nostro mondo interiore chiede di essere riorganizzato. Ma non possiamo forzare questi blocchi con “picconi”, perché ciò rischierebbe di minare le fondamenta stesse della nostra struttura psichica. Ciò che serve, piuttosto, è una torcia che illumini il cammino, metafora di consapevolezza, dialogo e accoglienza.
Videogiochi come allenamento alla resilienza: da Dark Souls a Persona 5
Ed è proprio qui che il videogioco, paradossalmente, diventa un alleato. Come osserva McGonigal (2011), i videogiochi ci allenano a immaginare scenari alternativi e a sperimentare la resilienza di fronte al fallimento. Ogni “Game Over” è occasione di apprendimento. Giochi come Dark Souls (FromSoftware, 2011) trasformano la sconfitta in parte integrante della narrazione mutandola in inevitabile fonte di crescita.
Altri titoli, come Persona 5 Royal (Atlus, 2019), fanno un passo ulteriore. Ispirandosi ai concetti junghiani di Ombra e inconscio collettivo, il gioco traduce conflitti interiori e sociali in battaglie simboliche la cui vittoria richiede accettazione, comprensione e integrazione. Attraverso le “personae“, maschere archetipiche che conferiscono poteri al protagonista, viene messo in scena il processo di riconciliazione con sé stessi e con il mondo (Andrews, 2019). La forza non nasce dal dominio individuale, ma dalla connessione con gli altri e dalla capacità di “restituire il favore” alla collettività, riparando le distorsioni che imprigionano la società.
Come scrive Murray (1997), ciò che distingue il medium videoludico è la possibilità di vivere l’esperienza dall’interno: non solo raccontare una storia, ma “agire” in essa. Questo senso di agency ci ricorda che le nostre azioni hanno un peso e che, persino nei dungeon interiori, una via d’uscita è possibile.
Quando l’Io si frantuma: la disgregazione psichica nei dungeon più oscuri
E, mentre L’Io si conferma una risorsa indispensabile per orientarsi, alle volte questo non basta. L’Io, infatti, non è un’istanza compatta e invulnerabile: secondo Jung (1954), esso rappresenta solo una parte del Sé, e quando le tensioni dell’inconscio diventano troppo pressanti può essere travolto e disgregato. Hillman (1975) sottolinea come l’identità personale non sia un monolite ma una costellazione di immagini, archetipi e parti psichiche che chiedono ascolto. In momenti di crisi, questa molteplicità può apparire come una frammentazione dolorosa, e allora l’Io non riesce più a “tenere insieme i pezzi”.
Lo psichiatra R.D. Laing (1960) descriveva l’esperienza psicotica proprio come una “frantumazione dell’essere“, in cui il soggetto si sente disperso in parti inconciliabili. E’ qui che il dungeon interiore si mostra più aggressivo: non si tratta più di evitare trappole o sconfiggere mostri esterni, ma di affrontare le crepe della propria unità psichica, dove l’avversario non è fuori di noi, bensì annidato nelle nostre stesse fratture.
Raccogliere i pezzi: ricostruzione identitaria tra psicosi e kintsugi
Quando la vita ci spezza e ci lascia a brandelli l’impresa non consiste tanto nel trovare l’uscita, quanto nel raccogliere i pezzi di noi stessi e ricomporli in una nuova unità.
Questa esperienza di smarrimento e ricostruzione ha spesso i tratti di una psicosi: voci che ci parlano dall’interno, visioni che deformano la realtà, la sensazione di aver perso il filo che tiene insieme la nostra realtà.
Jung (1954) parlava del rischio di essere inghiottiti dall’Ombra: quando le forze inconsce non vengono integrate, possono travoltere l’Io e dissolverne i confini. In questi momenti, il dungeon interiore si trasforma in un labirinto senza mappe, dove non è chiaro dove sia il nemico e quando possa colpire.
Hellblade: vivere la psicosi dall’interno attraverso il gioco
Un’opera che ha saputo restituire questa esperienza con una potenza rara è Hellblade: Senua’s Sacrifice (Ninja Theory, 2017). Il viaggio di Senua è il viaggio di una mente ferita, che attraversa paesaggi esterni solo per riflettere il tumulto interiore. Le voci che la perseguitano, ricreate con tecniche binaurai per essere percepite direttamente dal videogiocatore, non sono semplici orpelli narrativi, ma parte integrante dell’esperienza: rendono palpabile cosa significhi vivere costantemente divisi tra molteplici frammenti di sé.
Il gioco non chiede soltanto di combattere mostri, ma di resistere al senso di disgregazione, avanzando nonostante la paura e il dubbio. La vera vittoria non è eliminare il dolore, ma imparare a camminare con esso, trasformando la frattura in possibilità di rinascita. In questo senso, Hellblade non rappresenta la psicosi come un ostacolo da “curare”, bensì come un dungeon esistenziale da attraversare e comprendere.
Un’immagine efficace per comprendere questo processo viene dalla pratica giapponese del kintsugi (金継ぎ), l’arte di riparare le ceramiche rotte con polvere d’oro. In questa prospttiva, le fratture non vengono nascoste né cancellate, ma valorizzate come parte della storia dell’oggetto, rendendolo unico e irripetibile. Allo stesso modo, il viaggio di Senua non consiste nel cancellare la ferita della psicosi, ma nel trasformarla in una nuova forma di integrità.
Raccogliere i frammenti della nostra identità diventa allora un compito simile al collezionare un’armatura leggendaria: pezzo dopo pezzo, per migliorare e crescere. In questo processo, il dolore stesso diventa il ferro fuso per la trasformazione.
Expedition 33: l’inconscio collettivo come realtà familiare condivisa
Se il viaggio di Senua in Hellblade rappresenta la discesa nel dungeon di una psiche individuale frantumata, l’universo di Clair Obscur: Expedition 33 (Sandfall interactive), eleva questo concetto a una dimensione familiare e collettiva. L’idea di Jung di un inconscio collettivo, un substrato psichico condiviso dove risiedono archetipi universali, in Expediton 33 assume una forma letterale e tangibile: l’intera realtà di Lumière è l’inconscio della famiglia Dessendre materializzato su una tela.
Questa potente famiglia di pittori possiede la capacità di creare mondi viventi, manifestazioni dirette dei loro pensieri e dei loro traumi. Il mondo di gioco non è altro che una di queste “tele”, un universo nato dal dolore inconsolabile dei genitori, Renoir e Aline (la “Pittrice”), per la perdita del figlio Verso. La dinamica diventa quindi una rappresentazione della psicosi familiare, dove il trauma non è più un’esperienza interiore e isolata, ma si proietta all’esterno fino a diventare l’unica realtà percepibile per chi vi è intrappolato.
I cittadini che scompaiono ogni anno a causa del “Gommage” (rito di passaggio) non muoiono per un destino casuale, ma vengono “cancellati” perché sono proiezioni temporanee, echi di un mondo interiore che si sta lentamente sgretolando. La missione della “Expedition 33” trascende così la semplice sconfitta di un nemico: il suo vero obiettivo è un atto terapeutico: navigare questo inconscio familiare, affrontare il trauma che lo ha generato e, attraverso il processo di accettazione del lutto, “curare” la famiglia Dessendre per spezzare il ciclo di dolore che imprigiona tutti i suoi membri.
In questo senso, i “dungeon interiori” possono estendersi e/o avere radici nel familiare e nel sociale portando la spedizione a raccogliere i frammenti non di un singolo individuo, ma di un intero sistema, trasformando le crepe che hanno generato un mondo di morte in una nuova possibilità di unità e, forse, di guarigione.
Tre paradigmi videoludici: connessione, solitudine e complessità sistemica
Se Persona 5 Royal ci mostra come la connessione con gli altri rafforza la nostra capacità di agire, Hellblade ci ricorda che anche la lotta più solitaria può avere un senso, perché mette in scena la possibilità di non lasciarsi definire dalla frattura, ma di ricompattarsi. Expedition 33 invece mette in guardia sulla complessità del reale che viene impresso in noi anche quando non vorremmo richiedendoci di gestire la tensione tra frammentazione e ricomposizione. In questa polarità si posiziona il videogioco, che metaforicamente, ci restituisce il valoro più profondo del vivere: non evitare le lotte, ma attraversarle e, passo dopo passo, ricostruire il nostro personaggio e il nostro mondo a partire da quel che abbiamo.
Undertale: trasformare lo scontro in incontro attraverso la nonviolenza
Un altro titolo di rilievo, che ci allena ad una prospettiva ulteriore, è Undertale (Fox, 2025). Questo titolo ci guida nella trasformazione del rapporto con i nostri mostri interiori. Per farlo introduce una meccanica di gioco che rende la nonviolenza una scelta concreta e significativa. Ogni incontro con un “mostro” diventa una prova di percezione: il nemico è davvero tale, o si tratta di un essere smarrito (e alle volte ingenuo, ironico), in cerca di riconoscimento e compassione?
Qui il dungeon non è più individuabile in una serie di prove e conflitti, ma diventa uno spazio etico, dove il giocatore impara che la vera forza risiede nella possibilità di dialogare, perdonare e trasformare lo scontro in incontro. Laddove il paradigma classico impone la vittoria attraverso l’eliminazione dell’altro, Undertale sovverte la regola, dimostrando che la pace stessa può costituire la più alta forma di vittoria.
I mostri interiori, lungi dall’essere nemici da sconfiggere, si rivelano utili parti psichice che chiedono ascolto e che colorano il nostro mondo. La sfida si posta quindi dal piano della resistenza a quello della trasformazione: ciò che un tempo paralizzava può diventare risorsa, purché venga accolto e reinserito in una narrazione di senso.
In questa prospettiva, il dungeon interiore non appare più soltanto come un luogo ostile, ma come un laboratorio di possibilità.
VideoGame Therapy: dal flow terapeutico alla trasformazione guidata
I dungeon dell’inconscio, come esplorati attraverso le metafore videoludiche proposte, rappresentano più che semplici sfide da superare: costituiscono autentiche possibilità di sperimentazione e trasformazione psichica, dove lo schermo si fonde con la profondità umana. L’analisi condotta rivela come il videogioco nelle mani di un giocatore smetta di essere semplice intrattenimento e diventi medium terapeutico capace di attivare processi psicologici complessi e portare alla crescita.
La VideoGame Therapy, sviluppata in Italia dal dottor Francesco Bocci (2021), dimostra empiricamente quello che Jung e Hillman avevano teorizzato: l’integrazione dell’ombra e la trasformazione del dolore possono avvenire attraverso l’esperienza simbolica guidata. Nei setting terapeutici, i videogiochi agiscono come “antidepressivi naturali” attivando lo stato di flow, quella condizione di benessere profondo dove l’emisfero destro si libera mentre questto sinistro mantiene il controllo.
Come teorizzato da Csíkszentmihályi (1990), il flow rappresenta uno stato di immersione totale in un’attività significativa, in cui concentrazione, piacere e senso di padronanza convergono. All’interno della pratica terapeutica, questo stato facilita l’integrazione psichica e il recupero di un equilibrio dinamico, poiché il giocatore non si percepisce più come passivo spettatore del proprio disagio, ma come agente attivo del cambiamento.
La dimensione relazionale del gaming terapeutico non va sottovalutata. Contrariamente agli stereotipi, i videogiochi moderni sono esperienze profondamente sociali che facilitano la connessione empatetica tra terapeuta e paziente. Il gioco condiviso diventa linguaggio comune, permettendo forme di comunicazione altrimenti difficili da raggiungere, specialmente con adolescenti e giovani adulti.
Il futuro della cura: esperienze ludiche personalizzate sul vissuto
Guardando al futuro, l’integrazione tra psicologia analitica e tecnologia ludica apre a scenari terapeutici inediti. La possibilità di creare esperienze videolugiche personalizzate a partire dall’anamnesi e dall’ascolto del vissuto del paziente, in modo da adattarsi alle sfide che sta attraversando.
Conclusione: le crepe colmate d’oro tra kintsugi e gaming terapeutico
In conclusione, i dungeon dell’inconscio si rivelano non ostacoli da evitare, ma territori da esplorare con coraggio e saggezza (e con i giusti strumenti). Il videogioco, lungi dall’essere mera evasione, diventa mappa e bussola per questi viaggi interiori: offre linguaggi simbolici per narrare l’inenarrabile, spazi protetti per sperimentare il cambiamento, e soprattutto, la possibilità concreta di trasformare le ferite in fonte di forza. Il kintsugi e i videogiochi più profondi ci ricordano che la vera bellezza nasce dalla possibilità di colmare le crepe con l’oro: nell’animo come nell’arte, è nella trasfomazione del dolore in esperienza che la narrazione raggiunge il suo punto più elevato.
Bibliografia
Andrews, N. (2019). Persona 5 and the Jungian Self: The Shadow, the Persona, and the Hero’s Journey. Routledge.
Bocci, F. (2021). VideoGame Therapy. Curarsi giocando. FrancoAngeli.
Csíkszentmihályi, M. (1990). Flow: The Psychology of Optimal Experience. Harper & Row.
Hillman, J. (1975). Re-Visioning Psychology. Harper & Row.
Huizinga, J. (1938). Homo Ludens. Il gioco come elemento della cultura. Einaudi, 1973.
Jung, C.G. (1954). Gli archetipi e l’inconscio collettivo. Bollati Boringhieri.
Laing, R.D. (1960). L’Io diviso. Studio di psicosi e schizofrenia. Einaudi.
McGonigal, J. (2011). Reality is Broken: Why Games Make Us Better and How They Can Change the World. Penguin Press.
Murray, J. (1997). Hamlet on the Holodeck: The Future of Narrative in Cyberspace. MIT Press.
Winnicott, D.W. (1971). Gioco e realtà. Armando Editore.











